A tu per tu con Elisa Giordano, fondatrice del marchio torinese Irreplaceable
Elisa Giordano è una giovane donna torinese con una laurea in ingegneria dell’informazione e un’interessante esperienza maturata nell’ambito delle fonti d’energia alternativa. All’incirca otto anni fa ha deciso di orientare il suo futuro professionale verso il mondo della moda, diventando in seguito fondatrice di Irreplaceable, marchio di maglieria di cachemire.
La sua determinazione, e la sua passione per tutto ciò che è creatività, l’hanno spinta a farsi avanti in un settore tutt’altro che semplice, dove regna un’evidente concorrenza.
1)Elisa, come sono stati i suoi esordi in questo ambito?
Ho un passato da ingegnere nel settore dell’energia rinnovabile. Ma nel 2013, per una serie di avvenimenti famigliari, ho deciso di cambiare strada professionale per inseguire la passione della moda. Dopo un viaggio a Parigi ho colto un’opportunità e ho iniziato a collaborare per la maison francese Yves Saint Laurent. Un’esperienza estremamente formativa durata fino al 2018. Durante quegli anni, mi è venuta l’idea di una collezione di maglieria per bambini ispirata dai miei figli. Un’avventura iniziata quasi per gioco che lentamente è diventata una sfida sempre più grande che alla fine mi ha assorbito completamente. Dai bambini sono passata ad altre collezioni, in particolare a quella per la donna: la volevo sicura, moderna, femminile e indipendente; è così che è nato il mio brand IRREPLACEABLE, da questa aspirazione.
2) Nonostante i vantaggi dell’inclusione femminile nell’andamento economico del paese, in un modo lavorativo tradizionalmente “dominato” dagli uomini, l’universo femminile continua a essere ancora poco rappresentato. Secondo lei quali sono i freni che incontrano? E’ il sistema socio-culturale da ripensare o forse la mancanza di politiche di sostegno efficaci per le imprenditrici-madri di famiglia?
In Italia credo entrambe le cose. Le statistiche sono piuttosto eloquenti: siamo ancora molto lontani dal raggiungere altre realtà, anche europee, che sulla parità di genere sono decisamente avanti a noi, non solo come remunerazione, ma anche dal punto di vista dell’occupazione femminile. Nel mondo imprenditoriale, la situazione è ancora più complicata dal fatto che nell’accesso al credito, indispensabile per far crescere un’azienda quando non si hanno capitali iniziali, le resistenze sono ancora troppe. Alle difficoltà che tutti i giovani imprenditori incontrano e conoscono bene – burocrazia, balzelli, complessità amministrative – per una imprenditrice si aggiungono ostacoli culturali e sociali: e’ come se noi donne dovessimo sempre dimostrare qualcosa in più per farci rispettare ed essere prese in considerazione. A tutto questo si aggiungono le difficoltà di chi, anche in questo caso per la cultura dominante, è anche madre perché oltre alla paura di non farcela, ci si scontra anche con la quotidiane difficoltà di dover conciliare il ruolo di mamma con gli impegni lavorativi. Le percentuali di donne imprenditrici rispetto agli uomini parlano da sole: le giovani sotto i 35 anni nel nostro Paese rappresentano solo il 13 %, percentuale che sale, ma non abbastanza, per le società di capitali al 22%.
3)Da anni la moda vale decine di miliardi di euro. Secondo la società italiana di consulenza
Prometeia le prospettive di crescita preventivate all’avvio dello scorso anno non si sarebbero dovute smentite con l’inizio della pandemia. Qual è stato l’impatto del Covid 19 sulle vendite del suo marchio?
IRREPLACEABLE è una piccola realtà imprenditoriale concentrata sull’easywear, con un prodotto ancora poco distribuito all’estero e questo ha limitato l’impatto. Abbiamo ovviamente incontrato difficoltà legate alle vendite attraverso la rete retail italiana, per via della chiusura dei negozi, ma è stato mitigato grazie al canale online. La vera differenza, però, l’ha fatta l’attaccamento, direi l’affetto, della nostra clientela al brand, grazie al quale siamo riusciti a contenere la crisi, mantenendo pressoché stabile il fatturato in un settore che l’anno scorso ha perso quasi il 30% a causa di questa tragica pandemia. La crisi ha avuto sicuramente un impatto nelle prospettive di crescita. Ma nei momenti di crisi, se si crede davvero al proprio prodotto, credo si debba avere il coraggio di investire. E così abbiamo fatto, cercando nuovi spazi: ne è nato un atelier che vogliamo sia un salotto in cui la nostra clientela possa scoprire le novità di IRREPLACEABLE in un ambiente sicuro e accogliente. Ma questo non basta: l’obiettivo di quest’anno è quello di mantenere i nostri standard di qualità e al contempo investire maggiormente in tecnologia sempre più sostenibile, anche grazie a maggiori sinergie fra gli operatori del settore.
4) Se è vero che sono i “dettagli” a fare la differenza, oggi più di ieri si parla di perseguire un’etica sociale e ambientale. La produzione più sostenibile, quella attenta all’ecologia quanto a non contribuire nel creare disuguaglianze sociali, pare essere uno dei nuovi goal tra i principali brand a livello mondiale. Anche Irreplaceable si impegna verso una produzione più sostenibile?
Assolutamente si. Fin dagli esordi IRREPLACEABLE è stata attenta all’utilizzo di filati esclusivamente naturali e ha voluto sempre, nonostante i costi più elevati di queste materie prime, mantenere tale filosofia. E’ una questione di etica, ma anche di attenzione alla clientela. La pandemia ha impresso una accelerazione anche da questo punto di vista: i consumatori sono sempre più attenti alle tematiche della sostenibilità e, soprattutto i giovani, non accettano compressi e premiano chi è attento all’ambiente e agli ecosistemi. Per questo, uno dei nostri investimenti futuri sarà per l’utilizzo di filati riciclati. L’attenzione riguarda anche i nostri fornitori, che devo seguire medesimi standard in termini di sostenibilità. Non è solo la moda ad essere orientata da questa tendenza: l’esempio più lampante a Torino è quello del Green Pea, il progetto di Oscar Farinetti in cui moda e architettura si fondono con uno sguardo al futuro.
5) Infine, dal suo punto di vista, si è fatta un’idea di cosa riserverà questo 2021 alle piccole ma frizzanti realtà imprenditoriali – come la sua – nel campo della moda? Teme il sempre maggiore successo delle grandi catene (vedi Zara, Mango, Oviesse, H&M ecc…), economicamente accessibili alla maggior parte delle persone, a discapito vostro e, indirettamente, dal manufatto di qualità?
Il 2021 sarà un anno di transizione, in buona misura ancora complicato da molte incertezze sia economiche che politiche. Non temo il successo di fenomeni come Zara, H&M, o altri colossi del settore. Io stessa mi diverto a curiosare nei grandi negozi delle catene del fashion. Ma sono realtà molto lontane dalla mia perché nate e cresciute intorno alla cosiddetta Fast Fashion, ovvero il susseguirsi ininterrotto di nuovi prodotti senza vere collezioni dettate dai tempi della moda. C’e’ da dire che le grandi catene hanno risentito maggiormente della crisi dovuta al Covid, non solo per i costi fissi (negozi fisici e personale) che devono sostenere, ma anche per il drastico calo del turismo e con esso della clientela internazionale. Fattori che penso possano pesare sulla creatività. E ritengo che la crisi, che purtroppo non è solo sanitaria ma anche economica, spinga la clientela a ricercare capi unici e di qualità. Non solo dal punto di vista del design e dell’estetica, ma anche dell’esperienza emozionale che l’acquisto di un prodotto che duri nel tempo può trasmettere. Qualità e sostenibilità sono sicuramente due elementi chiave di questa filosofia.