La Città metropolitana di Torino fotografa il divario di genere fra i suoi dipendenti

La Città metropolitana di Torino aveva, alla fine del 2020, 789 dipendenti, di cui 426 di sesso maschile e 363 di sesso femminile. Su 15 dirigenti, 6 erano di sesso femminile, ma nelle categorie D e C, che includono i funzionari, le donne erano più numerose (categoria D 144 uomini, 149 donne, categoria C 107 uomini, 185 donne). E anche con un livello più elevato di istruzione: le donne laureate erano il 18% contro il 12% dei dipendenti di sesso maschile. Il divario fra i due sessi, dal punto di vista del lavoro nell’Ente di area vasta, insomma, risultava abbastanza contenuto (e lo è ancora, nonostante i mutamenti nell’organico avvenuti nel 2021, che non inficiano però il quadro generale). Ma come nel resto d’Italia, sulle donne pesa decisamente di più la conciliazione delle esigenze familiari sulla vita lavorativa e quindi fanno un ricorso più elevato alle opportunità a disposizione: permessi, part time, aspettativa, vicinanza al luogo di lavoro.

È quanto emerge da un’indagine interna avviata dalla Direzione Istruzione e sviluppo sociale della Città metropolitana di Torino e sviluppata grazie al lavoro di una tirocinante, Anna Maria Berloco Scalera del corso di laurea magistrale Politiche e servizio sociale, per capire chi sono le lavoratrici della Città metropolitana, quali ruoli ricoprono, quali sono stati i loro percorsi scolastici e di carriera: i risultati sono stati presentati in occasione della Giornata internazionale della donna, lunedì 7 marzo nella sede di corso Inghilterra e on line: come ogni anno, un’occasione di incontro con le dipendenti e i dipendenti dell’ente .

La ricerca ha cercato di raffigurare le funzioni ricoperte dalle donne nelle diverse Direzioni e all’interno delle Società partecipate, raccogliendo storie, esperienze e riflessioni delle lavoratrici che, con impegno e creatività, sono riuscite a trovare un equilibrio tra differenti ruoli e conciliare la cura della famiglia con la propria realizzazione professionale.

“Questo è il primo degli incontri della rassegna che abbiamo chiamato Women@work“ ha spiegato la consigliera delegata metropoliattana alle politiche sociali e di parità Valentina Cera “che proseguirà con altri appuntamenti, perché l’attenzione alle tematiche di parità deve essere una costante. Oggi c’è una direttiva europea che impone alle pubbliche amministrazioni di porre rimedio al gender gap per poter accedere ai finanziamenti dei fondi europei. Anche se la situazione è migliorata, le donne sono più istruite e hanno più opportunità, esiste sempre quell’invisibile tetto di cristallo che le fa arrivare sempre un po’ sotto agli uomini”.

Un “tetto” che si ripresenta in svariate situazioni, dai convegni- come hanno sottolineato la consigliera delegata alle attività produttive Sonia Cambursano e la consigliera di Parità della Città metropolitana Michela Quagliano – così come nello smartworking – a cui ha dedicato una relazione dal titolo “L’equilibrio tra lavoro e vita privata nel post pandemia” di Sonia Bertolini, professoressa associata in Sociologia del Lavoro presso il Dipartimento cultura politica e società dell’Università degli studi di Torino: per molte donne il lavoro agile rappresenta un’opportunità per conciliare meglio vita privata e lavoro ma spesso anche una dimensione “porosa” in cui le due dimensioni si confondono e sovrappongono e che si rivela particolarmente stressante.




CNA Impresa Donna Piemonte: “Il lavoro delle donne è strategico, contribuisce a crescita dell’economia”

Il Piemonte è la seconda Regione del Nord Ovest per presenza di imprenditrici

Resilienti, combattenti, creative, tenaci, innovative, consapevoli di essere una risorsa per il Paese. Dopo tante parole oggi le donne lavoratrici sono in attesa di azioni concrete. Il lavoro delle donne, se sostenuto e riconosciuto finalmente strategico, contribuisce alla crescita dell’economia e alla creazione di una società più giusta.

Per le donne imprenditrici della CNA Piemonte la via maestra verso la parità di genere passa per la promozione della cultura del lavoro e dell’autoimprenditorialità. Il primo passo per conseguire effettive pari opportunità, combattere la violenza sulle donne e innalzare la qualità della loro vita è infatti il raggiungimento dell’indipendenza economica e una sempre maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Mai come ora è determinante rilanciare e valorizzare l’occupazione femminile, sia attraverso il lavoro autonomo che attraverso quello subordinato. L’Europa, con un piano di grandi riforme e di investimenti strutturali indispensabili per la ripresa, ha chiesto al nostro Paese un impegno chiaro che possa condurre al superamento dei tanti gap riguardanti il lavoro femminile. La risposta del policy maker italiano è stata pronta: parte degli obiettivi del PNRR vanno proprio in questa direzione.

“Tra i principali ostacoli che le donne affrontano quotidianamente nel fare impresa vi sono la difficoltà di conciliare gli impegni familiari con la vita professionale e il persistere di opportunità di guadagno economico non soddisfacenti, sia se considerate in termini assoluti sia rispetto a quelle maschili. È tuttavia significativo che, pur operando in condizioni talora meno favorevoli di quelle degli uomini, le imprenditrici si siano ricavate uno spazio sempre più ragguardevole nel sistema produttivo del Paese e forniscano un apporto considerevole alla crescita dell’economia italiana.

Superare le disparità di genere in maniera strutturale è di vitale importanza affinché le donne possano esprimere il loro massimo potenziale, affermando pienamente il loro ruolo di “risorsa primaria” e non ancillare per lo sviluppo del Paese”, afferma la presidente di CNA Impresa Donna Piemonte Rossella Calabrò, forte dei dati contenuti nello studio L’Imprenditoria femminile in Italia, pubblicato oggi dal Centro Studi di CNA.

I numeri del Piemonte

Il Piemonte è la seconda Regione del Nord Ovest con il maggior numero di donne imprenditrici.

Per capire meglio il dato nazionale occorre guardare le cifre riportate da Unioncamere Piemonte sul bilancio anagrafico delle imprese femminili nel 2021.

A fine dicembre 2021 le imprese femminili con sede in Piemonte ammontavano a 96.433 unità, in aumento rispetto alle 95.879 del 2020, ma ancora leggermente inferiori rispetto alle 96.591 di fine 2019.

Le aziende in rosa rappresentano una fetta importante del tessuto imprenditoriale regionale, raggiungendo una quota del 22,5% delle imprese complessivamente registrate in Piemonte; operano prevalentemente nei settori del commercio, dell’agricoltura e dei servizi alla persona; nel 11,8% dei casi sono guidate da straniere; il 10,8% è amministrato da giovani imprenditrici: è questo l’identikit delle imprese femminili registrate in Piemonte.

Nel corso del 2021, il Registro imprese delle Camere di commercio piemontesi ha registrato la nascita di 6.138 imprese femminili, a fronte delle 5.403 che hanno, invece, cessato la propria attività (al netto delle cancellazioni d’ufficio): il saldo tra i due flussi è risultato, dunque, positivo per 735 unità, traducendosi in un tasso di crescita del +0,8%.

Sebbene il dato sia meno brillante rispetto a quello del sistema imprenditoriale valutato nel suo complesso (+1,1%), l’imprenditoria femminile piemontese manifesta una maggiore vivacità, sia in termini di natalità (tasso del 6,4%, a fronte del 5,9% registrato per il totale delle imprese), che di mortalità (tasso del 5,6%, contro un 4,8%).

La dinamica mostrata dalla componente femminile del tessuto imprenditoriale piemontese appare, tuttavia, meno intensa rispetto a quanto osservato a livello complessivo nazionale (+1,5%).

Un quarto delle 96.433 imprese guidate da donne svolge la propria attività nel commercio, seguito, a distanza ragguardevole, dalle attività dell’agricoltura, che concentrano il 13,3% delle realtà imprenditoriali, e dalle altre attività dei servizi, in cui trovano spazio le attività dei servizi alla persona, che convogliano il 12,0% delle aziende. Quote significative di imprese femminili operano, inoltre, nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione (9,8%) e in quelle immobiliari (7,8%).

Valutando l’incidenza delle imprese femminili sul totale delle registrate per settore, si segnala l’importante specializzazione femminile delle altre attività dei servizi (oltre il 57,6% delle imprese è amministrato da donne), delle attività di alloggio e ristorazione (31,3%) e di noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (30,5%).

Analizzando la dinamica espressa dalle imprese nel corso nel 2021 emerge come, a fronte di una crescita complessiva dello 0,8%, esistano rilevanti differenze settoriali.

Le imprese femminili hanno subito ancora una contrazione nel comparto agricolo (-1,5%) e sono rimaste sostanzialmente stabili in quello turistico (-0,1%). Uno sviluppo di intensità limitata ha riguardato le altre attività di servizi (+0,6%), il commercio e l’industria manifatturiera (entrambi i settori con un tasso di crescita del +0,8%). Le attività immobiliari hanno vissuto un incremento dell’1,2% e il Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese del +3,1%. Il ritmo espansivo ha assunto maggior intensità nelle attività finanziarie e assicurative (+3,6%), nel comparto delle costruzioni (+4,2%) e soprattutto nelle attività professionali scientifiche e tecniche (+6,4%).

Le Province piemontesi

L’analisi territoriale rivela come la componente femminile assuma una rilevanza maggiore nei sistemi imprenditoriali di Alessandria (23,2%) e di Novara, Verbania e Asti, realtà in cui le imprese femminili rappresentano il 23,0% delle imprese provinciali. A Vercelli l’incidenza delle imprese “in rosa” si attesta al 22,9% e a Cuneo al 22,6%. Al di sotto della media regionale, infine, risulta la concentrazione di imprese femminili a Torino (22,3%) e a Biella (20,8%).

Quanto alla dinamica esibita nel corso del 2021, si evidenziano variazioni positive per la maggior parte delle province. Solo Alessandria (-0,3%) e Cuneo (-0,2%) segnano dati ancora, seppur debolmente, negativi. Asti registra una variazione piatta (+0,1%), mentre Biella manifesta una crescita di mezzo punto percentuale, seguita a breve distanza da Vercelli (+0,6%).

Al di sopra della media regionale appare il risultato delle imprese in rosa di Verbania (+0,9%), Novara (+1,3%) e Torino (+1,3%).

Non solo impresa. Donne lavoratrici in proprio e dipendenti.

Riprendendo nuovamente le conclusioni del report nazionale del Centro Studi CNA, nel 2020 il tasso di occupazione femminile italiano (percentuale delle donne occupate rispetto alla popolazione femminile in età lavorativa) si attestava al 52,1%, quasi venti punti meno rispetto a quello maschile (71,8%). Oltre a risultare il secondo più basso dell’Unione Europea (solo in Grecia la percentuale di donne che lavorano è più bassa che in Italia), il tasso di occupazione femminile si è ridotto in maniera più marcata di quello maschile rispetto al 2019 (rispettivamente -2,0 punti percentuali contro -1,5 punti percentuali) evidenziare quanto la pandemia esplosa in quell’anno sia stata penalizzante soprattutto per le donne, sia a causa della specializzazione produttiva, che le vede più presenti nei settori più colpiti dalla crisi (moda, settore turistico, servizi per la persona, organizzazione di eventi), sia perché “costrette” a dovere provvedere all’assistenza di figli e anziani durante i mesi del lockdown.

Oltre ad avere meno opportunità lavorative, le donne in Italia continuano a percepire retribuzioni più basse di quelle maschili a parità di lavoro e mansioni. Basti dire che, nella media delle imprese del settore privato, la retribuzione oraria dei dipendenti di sesso maschile supera quella femminile di 7,2 punti percentuali.

Occorre però sottolineare come gli squilibri retributivi che penalizzano le donne diminuiscono in modo considerevole con il ridursi della dimensione di impresa, dice CNA nel suo report. Se infatti la retribuzione oraria maschile supera quella femminile di 17,1 punti percentuali nelle grandi imprese, nelle microimprese il differenziale retributivo tra uomini e donne si assottiglia notevolmente e non tocca i 2 punti percentuali (+1,8% a favore degli uomini).

 

I dati appena citati, riguardanti i divari salariali e l’impegno lavorativo delle donne nel sistema produttivo, evidenziano quanto nelle imprese più piccole l’aspetto relazionale tra lavoratori e datori di lavoro risulti fondamentale e come la conoscenza diretta tra loro, facilitata proprio dalla piccola dimensione aziendale, consenta una valutazione dei dipendenti legata al merito, alla efficienza e non influenzata da pregiudizi di alcun tipo.

Considerazioni analoghe possono essere effettuate a proposito della presenza delle lavoratrici dipendenti nelle imprese suddivise secondo la dimensione. Complessivamente, le lavoratrici rappresentano il 40,5% dell’occupazione totale delle imprese nel settore privato. Questa quota risulta però molto più elevata nelle microimprese (0-9 addetti) nelle quali supera i 47 punti percentuali.

 

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Confagricoltura Alessandria sull’Ucraina: no al protezionismo alimentare

“Spetta alla Commissione Europea il compito di assicurare il regolare funzionamento del mercato unico. Va respinto qualsiasi tentativo di ‘protezionismo alimentare’ tra gli Stati membri dell’Unione”.

E’ la ferma presa di posizione del presidente di Confagricoltura Alessandria, Luca Brondelli, sulla decisione assunta dal Governo ungherese di sospendere le esportazioni di grano per assicurare i rifornimenti interni e contenere la crescita dei prezzi.
“Anche la Bulgaria – aggiunge Brondelli – ha stabilito di aumentare per precauzione gli stock pubblici di cereali per un ammontare di 1,5 milioni di tonnellate, con il risultato pressoché scontato di ridurre i volumi delle vendite all’estero”.


“A seguito dei drammatici avvenimenti in corso in Ucraina, i mercati internazionali delle principali materie prime agricole sono sotto pressione
– sottolinea il Presidente di Confagricoltura Alessandria – ma vanno respinte le iniziative nazionali unilaterali all’interno dell’UE. La capacità produttiva di cereali dell’Unione è tale da poter gestire anche questa difficilissima situazione. Serve però un coordinamento della Commissione, alla quale abbiamo già chiesto di rimuovere, in vista dei nuovi raccolti, i limiti all’utilizzo dei terreni agricoli”.

L’auspicio di Confagricoltura Alessandria è che la crisi in Ucraina si risolva il più rapidamente possibile al tavolo negoziale. Dagli eventi in atto emerge comunque la necessità di verificare se le scelte fatte sulla nuova PAC siano idonee a salvaguardare la capacità produttiva europea e l’efficienza delle imprese che producono per il mercato.

“C’è anche un altro elemento a destare forte preoccupazione: nei giorni scorsi il ministero dell’Industria e del Commercio della Russia ha raccomandato agli operatori di sospendere le esportazioni di fertilizzanti. Le vendite all’estero di nitrato di ammonio sono già state bloccate fino ad aprile. Le conseguenze possono essere particolarmente pesanti sul piano della disponibilità e dei prezzi. Rischiamo una contrazione dei raccolti” commenta il Presidente dell’Organizzazione agricola alessandrina.

La Federazione Russa produce 50 milioni di tonnellate di fertilizzanti, circa il 15% dell’intera produzione mondiale. L’Unione Europea e il Brasile sono i principali acquirenti. “La situazione va attentamente monitorata – puntualizza infine Brondelli – Potrebbe rendersi indispensabile una reazione concertata in sede multilaterale per garantire al massimo le operazioni colturali in vista dei nuovi raccolti”.




Pnrr e transizione digitale, l’Istat nel Progetto del Catalogo Nazionale Dati

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede una linea di investimento dedicata alla Transizione Digitale e, in particolare, alla componente dati e all’interoperabilità tra le basi informative delle pubbliche amministrazioni, denominata Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND).

L’investimento prevede la realizzazione di un Catalogo Nazionale Dati (NDC), con l’obiettivo di fornire un modello e uno standard comune e favorire lo scambio, l’armonizzazione e la comprensione delle informazioni tra le amministrazioni pubbliche nell’ambito della Piattaforma Digitale Nazionale Dati. Il Catalogo metterà a disposizione degli enti vocabolari controllati e classificazioni capaci di rendere più funzionale l’accesso a basi informative diverse.

Ciò sarà reso possibile attraverso un lavoro di mappatura delle banche dati e dei flussi informativi, di documentazione di schemi di dati e distribuzione del catalogo. Tutto nell’ottica di un rafforzamento della sicurezza nella PA, in termini di cybersecurity e di maggiore efficienza e accessibilità dei servizi.

Grazie alle proprie competenze tecniche e metodologiche, l’Istat sarà il soggetto attuatore del progetto Catalogo Nazionale Dati, fornendo anche servizi di formazione e di supporto per accompagnare le pubbliche amministrazioni nel percorso di transizione digitale.
Per gestire la complessità del progetto è prevista la costituzione di: un Comitato di attuazione per il governo e l’indirizzo dell’accordo, cui partecipano il Dipartimento per la trasformazione digitale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Istat, ma aperto anche ad altri possibili soggetti pubblici, quali Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), PagoPA e Cnr.

Per lo sviluppo del Piano progettuale, che prevede un budget di 10,7 milioni di euro, è richiesto un importante impegno di risorse umane di elevata competenza tecnica da reclutare mediante nuove assunzioni. Per l’Istat, specificatamente, è previsto il reclutamento fino a 25 persone a tempo pieno.

 




Guerra in Ucraina: aumento del prezzo delle materie prime agricole

Oltre al dramma umanitario, l’inizio delle ostilità in Ucraina sta anche causando un dramma dal punto di vista commerciale ed economico. Tra le conseguenze nefaste che si stanno registrando in seguito allo scoppio della guerra vi è anche il vertiginoso incremento del prezzo delle materie prime agricole.

Mais e grano tenero sono i prodotti agricoli che maggiormente dipendono dalle importazioni da Russia e Ucraina e il prezzo di queste commodities è destinato a salire ulteriormente, mentre al momento non si registrano variazioni sul grano duro, quello destinato alla produzione della pasta, il cui prezzo risente soprattutto della mancata produzione in Canada e dei rincari dei costi di produzione.

Nelle ultime ore – rilevano i tecnici della Confagricoltura di Asti – si è registrato un aumento che sfiora il 10% per il grano. Per mais e soia l’incremento è, rispettivamente, del 5% e del 4%.

Sull’andamento delle quotazioni – sottolinea il presidente di Asti Agricoltura Gabriele Baldi incide prima di tutto il blocco dell’attività nei porti dell’Ucraina. I mercati riflettono l’assoluta incertezza sui tempi e sulle modalità per la ripresa delle esportazioni di prodotti agricoli”.

Questa guerra sta generando problemi insostenibili per tutto il comparto agricolo, in modo particolare per gli allevatori, che rappresentano sicuramente la categoria maggiormente danneggiata”, afferma Enrico Masenga, coordinatore del settore tecnico della Confagricoltura di Asti. “Dall’aumento del prezzo dei cereali – alla base di tutti i mangimi animali – deriva un innalzamento dei costi di alimentazione che si attestavano già su valori elevati. Ne consegue quindi una perdita netta per ogni capo allevato e una forte difficoltà da parte delle aziende a sostenere i costi di allevamento”.

Stessa sorte anche per i produttori di cereali che non riescono a beneficiare di questi aumenti in quanto sono costretti a fare i conti con un incremento di gas e petrolio che ha fatto lievitare considerevolmente i costi di produzioni, in modo particolare per quanto riguarda i concimi.  “Il grano è aumentato del 30% (20% in più rispetto allo scorso anno con un ulteriore incremento del 10% dallo scoppio della guerra) – continua Masenga –  mentre i concimi sono aumentati del 250%: ci troviamo quindi di fronte ad un saldo totalmente negativo. Rispetto agli anni precedenti, l’aumento dei costi va ad erodere il maggiore introito ricavato dalla vendita”.

All’aumento dei costi, si aggiunge anche la tensione nei Paesi che sono i principali destinatari dei cereali prodotti in Ucraina e nella Federazione Russa”, dichiara Mariagrazia Baravalle, direttore di Asti Agricoltura. “E’ il caso dell’Egitto e della Tunisia, dove le scorte disponibili sono in grado di coprire il fabbisogno interno fino a giugno. Inoltre, sono state riviste al ribasso le previsioni relative ai raccolti di cereali in Argentina e Brasile a causa di una stagione particolarmente secca”.

Auspichiamo in tempi brevi un piano di ripresa per arginare l’impatto della crisi in atto per sostenere i redditi degli agricoltori tagliati dalla crescita dei costi di produzione, salvaguardando il potenziale produttivo del sistema agroalimentare europeo”, affermano il presidente Baldi e il direttore Baravalle. “ La riduzione della produzione avrebbe effetti particolarmente negativi sull’inflazione”.




Il numero di imprese straniere in provincia di Cuneo batte la pandemia

Il numero di imprese straniere iscritte a fine 2021 presso il Registro imprese della Camera di commercio di Cuneo è di 4.225 unità, guidate per il 25,7% da donne e per il 20,4% da giovani. Tuttavia, a dispetto di una numerosità in costante aumento all’interno del sistema economico cuneese, occupano un peso inferiore (6,4%) rispetto alla media piemontese (11,4%).

Le imprese straniere in provincia di Cuneo

Anno 2021

  Imprese straniere registrate % sul totale delle imprese Tasso di crescita
Cuneo 4.225 6,4% +5,9%
Piemonte 48.676 11,4% +5,9%

Fonte: elaborazioni Camera di commercio di Cuneo su dati InfoCamere

 

“Anche nel 2021 la pandemia non ha interrotto la dinamica di crescita dell’imprenditoria straniera nella nostra provincia – sottolinea il presidente Mauro Gola –. Il settore edile ha vissuto un vero e proprio boom e le società di capitale hanno fanno segnare il tasso di crescita più elevato a riprova di una sempre maggiore strutturazione delle imprese straniere che, da presenza marginale, si stanno trasformando in una componente sempre più significativa del tessuto produttivo provinciale”.

Malgrado il protrarsi di condizioni economiche poco favorevoli, la componente straniera del tessuto imprenditoriale locale continua a mostrare una vivacità superiore rispetto al complesso totale delle imprese cuneesi. Nel corso del 2021, a fronte della nascita di 547 attività, si sono registrate 298 cessazioni (valutate al netto di quelle d’ufficio) con un saldo positivo di 249 unità. Il tasso di crescita raggiunto è del +5,9%, molto più elevato rispetto a quello della totalità del tessuto imprenditoriale che ha registrato +0,4%. Esaminando l’andamento dei tassi di crescita degli ultimi cinque anni, si evidenzia come alla dinamica negativa della totalità delle imprese della Granda, fatta eccezione per il 2021, si sia contrapposta la performance di segno “più” delle imprese straniere. L’analisi dei flussi sottolinea un evidente dinamismo sia sul fronte della natalità (+13,0%) che della mortalità (+7,1%), in entrambi i casi superiori ai rispettivi indici calcolati per l’intero universo delle imprese cuneesi (+5,3% e +4,9%).

Anche per il 2021 il settore in cui le aziende straniere sono maggiormente presenti si conferma essere quello delle costruzioni, con 1.354 attività registrate. Il bonus del 110% previsto dal Governo ha contribuito a favorire il comparto edile, la cui variazione dello stock risulta, infatti, molto positiva (+10,1%). Le attività commerciali accolgono quasi un quarto delle 4.225 aziende a conduzione straniera, con un andamento positivo (+3,8%). Quanto alla dinamica esibita dagli altri principali settori di specializzazione, assistiamo all’espansione della base imprenditoriale sia nei servizi di alloggio e ristorazione (+6,0%) sia nell’agricoltura (+2,1%).

I principali settori di attività economica delle imprese straniere

registrate in provincia di Cuneo

Anno 2021

Settore Imprese straniere registrate al 31/12/2021 % imprese straniere sul totale delle registrate % sul totale imprese straniere Tassi di var. % annuale stock
Costruzioni 1.354 15,4% 32,0% +10,1%
Commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli e motocicli 833 7,2% 19,7% +3,8%
Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione 401 10,1% 9,5% +6,0%
Agricoltura, silvicoltura pesca 374 2,0% 8,9% +2,1%
Attività manifatturiere 323 6,0% 7,6% +2,4%

 

Fonte: elaborazioni Camera di commercio di Cuneo su dati InfoCamere

 

L’analisi per forma giuridica segnala una maggiore incidenza di ditte individuali nelle realtà guidate da stranieri rispetto al tessuto imprenditoriale provinciale valutato nel suo complesso (rispettivamente il 78,9% rispetto al 61,9% del totale imprese). Le società di capitale si attestano al 10,1%, mentre le società di persone sono l’8,5% delle aziende a prevalente conduzione straniera, quote che salgono rispettivamente al 13,6% e al 22,3% nella media generale. Simile per i due aggregati è la rilevanza residuale delle altre forme, il cui peso si attesta rispettivamente al 2,5% e al 2,2%.

                   

Esaminando i dati relativi alla natimortalità della componente straniera in base alla forma giuridica, emerge una tendenza al progressivo rafforzamento strutturale: le società di capitale chiudono l’anno con il tasso di crescita più elevato (+15,0%), frutto di una buona natalità (+17,2%) e di una mortalità molto contenuta (+2,2%). Le imprese individuali evidenziano tassi di natalità (+13,8%) e mortalità (+8,0%) con un indice di crescita del +5,8%. Seguono le altre forme che denotano stabilità e le società di persone (-0,6%).

 

 




Consiglio sul clima, Allasia: fare sinergia per trovare soluzioni

Emergenza ecoclimatica e obiettivo della riduzione delle emissioni climalteranti entro il 2030”.Questi i temi al centro del Consiglio regionale aperto a cui hanno partecipato rappresentanti delle istituzioni, associazioni ambientaliste, Atenei piemontesi, organizzazioni sindacali  e di categoria.

Ad aprire la seduta, il presidente del Consiglio regionale del Piemonte Stefano Allasia “Il Consiglio di oggi, il secondo sull’argomento dal 2019, ci dà l’occasione di confrontarci nuovamente in maniera approfondita su un tema cosi attuale e cruciale. La gravità della situazione ambientale è infatti sotto i nostri occhi. Siamo chiamati a dare il nostro contributo nella consapevolezza che esso potrà produrre i suoi frutti solamente se misure di rispetto dell’ambiente e della riduzione delle emissioni clima alteranti verranno prese da tutti gli attori in campo. Ben venga quindi un dibattito informato e costruttivo – proprio a partire da quest’Aula – che inviti a non abbassare la guardia e coinvolgere tutti gli attori a fare sinergia  nel trovare soluzioni efficaci e non più procastinabili per il futuro del nostro pianeta”.

“La Regione  – ha dichiarato Alberto Cirio, presidente della Giunta regionale – è fortemente consapevole che il cambiamento climatico sia una sfida di portata mondiale che mostra i propri effetti e impatti anche sul nostro territorio. Oggi però siamo anche di fronte ad una nuova consapevolezza, non solo da parte dei decisori politici, ma anche dei cittadini, così come delle imprese. L’evolversi della situazione ambientale, sociale ed economica, rende a oggi ancora più urgente un’azione in grado di garantire coordinamento e coerenza sui diversi fronti di impegno regionale e nello stesso tempo il coinvolgimento e l’impegno di tutti i soggetti della società civile piemontese in percorsi attivi e partecipati, verso un modello di sviluppo carbon free e più resiliente agli effetti del cambiamento climatico. Investire sul verde – conclude –  rappresenta sicuramente solo una parte dell’azione necessaria per contribuire alla mitigazione del fenomeno del Cambiamento Climatico, ma rappresenta un investimento che consente di migliorare la qualità del nostro territorio su tanti altri aspetti dati i tanti servizi ecosistemici forniti dalla componente verde”.

Delle tante azioni messe in campo, anche nei due anni di pandemia ha invece parlato Matteo Marnati, assessore regionale all’ambiente “Nonostante la pandemia, non ci siamo mai fermati, abbiamo avviato azioni concrete i cui effetti si vedranno nel medio e lungo termine. Abbiamo messo mano alla riforma alla  legge sui rifiuti che spinge su bioeconomia ed economia circolare, approvato il piano tutela delle acque, il nuovo piano energetico regionale, aderito al progetto Urban forestry (progetti di ripresa e resilienza che metteranno a disposizione 500 milioni di euro per l’ambiente), aderito alla strategia dell’idrogeno di cui siamo capofila a livello europeo;  promosso il patto dei sindaci per la transizione energetica, avviato la strategia di sviluppo sostenibile, lavorato al Piano Energetico Ambientale regionale, costruiremo l’Osservatorio regionale sul Cambiamento Climatico. La transizione ecologica  – ha concluso – deve avere una sua sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Non è più il momenti della protesta, certamente utile a mobilitare le masse e le coscienze,  ma è il momento di  passare alla fase della concretezza

Per Ruggero Reina di “Extinction Rebellion”, una delle associazioni che ha richiesto il Consiglio straordinario sul clima, questo appuntamento “rappresenta un fallimento, ottenuto dopo uno sciopero della fame, in cui si ridiscute della emergenza deliberata dallo stesso Consiglio due anni fa. Nel frattempo cosa è successo?” Per Reina è necessario che la risposta all’emergenza climatica venga messa nella responsabilità dei cittadini, che su questo, a differenza delle istituzioni, non sono sufficientemente informati. “I cittadini per far sentire la loro voce, hanno necessità di dati. E’ necessario che il governo informi tutti i cittadini sulla situazione reale, è a rischio il futuro della nostra specie”. Reina ha proposto la costituzione di assemblee di cittadini deliberative.

Il senso della proposta è stato spiegato da Rodolfo Lewanski, un ex professore universitario. Si tratta di assemblee di cittadini che soppesano le diverse ipotesi in campo, e sono scelti a sorteggio su un campione rappresentativo dei diversi strati sociali: “Non è fantapolitica, se ne occupano da anni organizzazioni come l’Ocse,cui partecipa anche l’Italia. In Francia c’è la Convention pour le clima, voluta da Macron, altre esperienze ci sono nel mondo”. Per Lewanski “la democrazia rappresentativa è in affanno. Questo è un modo per affrontare la crisi democratica, una risposta efficace che già funziona in molti paesi”.

Luca Sardo, coordinatore di “Friday for future”, ha sostenuto che le difficoltà che si hanno nel far assumere alla politica un impegno prioritario sul clima sono dovute a due atteggiamenti: “In molti c’è un negazionismo, non si vuole riconoscere che l’emergenza climatica è conseguenza dell’inquinamento dell’uomo. In altri c’è il tentativo di scaricare su altri, la Cina e l’India, la responsabilità dell’inquinamento. La responsabilità è invece anche del mondo occidentale. Non possiamo pensare che lo sviluppo tecnologico ci salverà, occorre intervenire subito, anche perché a pagare di più saranno i più poveri. Noi non smetteremo di mobilitarci per arrivare a risposte reali e concrete”.

“L’obiettivo della Commissione europea, attraverso l’approvazione del Green deal- ha sottolineato Tiziana Beghin, parlamentare europea- è quello di rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro. Si tratta di un insieme di provvedimenti e finanziamenti che prevedono la revisione del piano di legislazione corrente e nuove iniziative regolatorie che vadano nella direzione della riduzione 55% del CO2 entro il  2030. La commissione europea sta poi lavorando alla revisione  dello scambio delle quote di CO2, ad una tassa CO2 alla frontiera, da far pagare non alle imprese europee ma dai competitor internazionali, alle nuove normative sui veicoli affinché si restringano i parametri massimi consentiti per le emissioni CO2, per arrivare a veicoli a emissioni zero.  La transazione climatica è qualcosa che non va lasciato alle dinamiche di mercato ma occorre avviare schemi di supporto anche per le  piccole aziende. Rispetto al passato c’è un approccio più costruttivo ma non ancora abbastanza veloce”.

Per la senatrice Virginia Tiraboschi, si tratta di un argomento di importanza costituzionale perche riguarda risvolti di carattere socioeconomico, non a caso  è  trasversale a molti ministeri (sviluppo economico, transazione digitale, comparto agricoltura, turismo). Una  sfida epocale che cambierà il volto del mondo intero. Sono molti i provvedimenti arrivati al Parlamento attraverso le Commissioni che richiedono riforme complesse perché cambiano meccanismi di anni  e, per questo, l’approccio  deve essere obiettivo e  non ideologico. Mi auguro che in quest’ottica i partiti tornino a svolgere ruolo di cerniera tra cittadini e istituzioni, legandosi al panorama europeo”.

Mauro Barisone, vicepresidente dell’Anci Piemonte ha sottolineato le difficoltà dei Comuni “che sono gli enti più vicini ai cittadini, ma vivono una condizione drammatica, perché gestiscono un patrimonio che si depaupera sempre di più per gli aumenti dei costi”. Per Barisone, sull’emergenza climatica va bene la partecipazione dei cittadini e l’ascolto dei giovani, “ma le forze politiche, a tutti i livelli, devono mettere da parte le divisioni continue e i particolarismi. Solo l’unione, la volontà di convergere, permetteranno di raggiungere risultati su un tema così importante”.




CNA Giovani Imprenditori: “Il Piemonte e l’Italia tornino a essere alleati dei giovani che vogliono fare impresa” 

“Il Piemonte e l’Italia ritornino a essere alleati dei giovani, dell’impresa e dei giovani che vogliono fare impresa”. È questo l’appello del presidente di CNA Piemonte Giovani Imprenditori, l’imprenditore biellese Andrea Valentini.

I numeri, infatti, non sono dalla parte degli under 35 che decidono di creare la propria azienda. Ai giovani sta passando la voglia di fare impresa, il Covid ha dato il colpo di grazia, ma se vogliamo garantire un futuro all’Italia e al Piemonte occorre invertire la tendenza. Lo dice uno degli ultimi rapporti di Unioncamere Infocamere aggiornato alla fine del 2020, quindi al termine del primo periodo pandemico.

In 10 anni sono mancate all’appello quasi 156mila imprese giovanili, con un calo del -22,4%. Il risultato è che a fine 2020 si contano circa 541 mila imprese giovanili iscritte al Registro delle Imprese delle Camere di commercio contro le 697mila presenti nel 2011. E se prima un’impresa su 10 era under 35 ora il peso dei giovani sul tessuto imprenditoriale è sceso all’8,9%. È quanto emerge dall’indagine Unioncamere-InfoCamere sulla nati-mortalità delle imprese, secondo cui la crisi pandemica ha certamente contribuito a frenare la voglia di fare impresa dei giovani, che tradizionalmente incide per quasi un terzo sulle nuove iscrizioni. Solo nel 2020 si sono perse 18.900 nuove imprese giovanili rispetto al 2019, con una perdita del 18,0% contro il -16,9% delle altre imprese.

“Come CNA siamo molto attenti alla nascita delle nuove imprese giovanili perché oltre il 90%, come confermano anche i dati, sono delle microimprese. E in tutte le province piemontesi, un imprenditore su dieci è un giovane o una giovane. Siamo pronti ad affiancare i giovani imprenditori e le giovani imprenditrici nel loro percorso, ma abbiamo bisogno che enti e istituzioni regionali considerino le associazioni di categoria interlocutori per la creazione di tavoli e politiche di sostegno”, spiega Valentini. La presenza degli assessori regionali Andrea Marnati e Andrea Tronzano alla finale del premio Cambiamenti, oltre alle attività successive con il tavolo per le startup sono primi passi verso un percorso di concertazione.

“Altro discorso importante è la mortalità delle nostre imprese – aggiunge Valentini -. Sappiamo che in questi tempi che spingono sull’innovazione e sulla digitalizzazione, le imprese dei giovani e le startup possono diventare risorse non solo per il mercato, ma anche per le partnership con imprese consolidate che devono innovare processi e prodotti. Perdere per strade idee, competenze e voglia di fare impresa, potrebbe compromettere anche tutto il tessuto imprenditoriale esistente anche nel medio e lungo periodo”.

Lo “spopolamento” dell’imprenditoria giovanile  dell’ultimo  decennio  ha  colpito  maggiormente  i  settori  tradizionali delle costruzioni, del commercio e dell’industria manifatturiera, sia in valore assoluto che relativo. Nel primo, in dieci anni si è praticamente dimezzato lo stock delle imprese edili under 35 esistenti alla fine del 2011, passate da 135mila a poco più di 65mila unità alla fine del 2020 (69mila imprese in meno, pari ad una riduzione nel decennio del 51,8%). Nel commercio, la riduzione è stata di circa 50mila unità (-25,5%) e nelle attività manifatturiere di poco più di 17mila (-36,8%). Consistenti, in termini relativi, anche le riduzioni fatte registrare dai comparti delle attività immobiliari (-31,2%) e del trasporto e magazzinaggio (-24,9%). Ad espandersi (+3mila imprese nell’intero periodo, +14% in termini relativi) è stato il solo comparto dei servizi alle imprese.

 

Tab. 1 – Imprese giovanili per regione

Valori assoluti e percentuali al 31 dicembre degli anni 2011 e 2020

 

Imprese registrate
Valori assoluti Variazioni %
Regione 31.12.2020 31.12.2011 Var. assoluta

2020-2011

Var. %

2020/2011

Var. % media

annua

ABRUZZO 12.668 17.838 -5.170 -29,0% -2,9%
BASILICATA 5.946 7.447 -1.501 -20,2% -2,0%
CALABRIA 22.691 30.117 -7.426 -24,7% -2,5%
CAMPANIA 73.421 83.002 -9.581 -11,5% -1,2%
EMILIA ROMAGNA 31.299 43.870 -12.571 -28,7% -2,9%
FRIULI-VENEZIA GIULIA 7.042 9.162 -2.120 -23,1% -2,3%
LAZIO 56.078 63.997 -7.919 -12,4% -1,2%
LIGURIA 12.724 16.059 -3.335 -20,8% -2,1%
LOMBARDIA 74.763 95.790 -21.027 -22,0% -2,2%
MARCHE 12.201 18.458 -6.257 -33,9% -3,4%
MOLISE 3.360 4.512 -1.152 -25,5% -2,6%
PIEMONTE 37.875 51.716 -13.841 -26,8% -2,7%
PUGLIA 39.851 53.866 -14.015 -26,0% -2,6%
SARDEGNA 15.114 20.021 -4.907 -24,5% -2,5%
SICILIA 53.049 68.952 -15.903 -23,1% -2,3%
TOSCANA 31.049 44.711 -13.662 -30,6% -3,1%
TRENTINO – ALTO ADIGE 9.478 9.594 -116 -1,2% -0,1%
UMBRIA 7.301 10.149 -2.848 -28,1% -2,8%
VALLE D’AOSTA 1.063 1.338 -275 -20,6% -2,1%
VENETO 34.186 46.827 -12.641 -27,0% -2,7%
ITALIA 541.159 697.426 -156.267 -22,4% -2,2%

Fonte: InfoCamere-Unioncamere, Movimprese

 

 

Tab. 2 – Imprese giovanili per classi di addetti (*)

Valori assoluti e percentuali al 31 dicembre degli anni 2011 e2020

 

 

Classe di Addetti

Imprese

registrate

% classe

sul totale

31.12.2020 31.12.2011 31.12.2020 31.12.2011
Fino a 5 addetti 355.414 484.160 93,1% 94,0%
6-9 addetti 15.427 18.512 4,0% 3,6%
10-49 10.408 11.516 2,7% 2,2%
50-249 521 656 0,1% 0,1%
oltre 250 39 24 0,0% 0,0%
Totale 381.809 514.868 100,0% 100,0%

Fonte: InfoCamere-Unioncamere, Movimprese-INPS

(*) Il numero degli addetti è aggiornato al 30 settembre di ogni anno

 

Tab. 3 – Imprese giovanili per natura giuridica

Valori assoluti e percentuali al 31 dicembre degli anni 2011 e2020

Imprese registrate
Natura giuridica 31.12.2020 31.12.2011 Var. assoluta

2020-2011

Var. %

2020/2011

IMPRESA INDIVIDUALE 379.857 510.470 -130.613 -25,6%
SRL 64.028 80.223 -16.195 -20,2%
SRL CON UNICO SOCIO 3.123 12.917 -9.794 -75,8%
SRL SEMPLIFICATA (*) 54.481 0 54.481
SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICE 13.514 35.777 -22.263 -62,2%
SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO 12.615 38.502 -25.887 -67,2%
ALTRE FORME 13.541 19.537 -5.996 -30,7%
TOTALE 541.159 697.426 -156.267 -22,4%

Fonte: InfoCamere-Unioncamere,Movimprese

(*) Forma giuridica introdotta successivamente al 2011.

 

 

Tab. 4 – Imprese giovanili per natura giuridica

Valori assoluti e percentuali al 31 dicembre degli anni 2011 e2020

Settore Imprese giovanili % giovanili sul totale (2020) Var. assoluta 2020-2011 Var. % 2020/2011
A Agricoltura, silvicoltura pesca 56.305 7,7% -5.298 -8,6%
B Estrazione di minerali da cave e miniere 54 1,3% -58 -51,8%
C Attività manifatturiere 29.505 5,4% -17.198 -36,8%
D Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condiz… 449 3,4% 28 6,7%
E Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione d… 611 5,2% -60 -8,9%
F Costruzioni 65.044 7,8% -69.878 -51,8%
G Commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di aut… 143.769 9,6% -49.252 -25,5%
H Trasporto e magazzinaggio 10.629 6,4% -3.529 -24,9%
I Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione 58.797 12,7% 515 0,9%
J Servizi di informazione e comunicazione 12.246 8,7% -2.032 -14,2%
K Attività finanziarie e assicurative 14.068 10,9% -1.465 -9,4%
L Attività immobiliari 9.748 3,3% -4.421 -31,2%
M Attività professionali, scientifiche e tecniche 17.907 8,0% -463 -2,5%
N Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imp… 25.523 12,1% 3.132 14,0%
O Amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale… 1 0,7% 1 0,0%
P Istruzione 2.001 6,2% 6 0,3%
Q Sanità e assistenza sociale 2.857 6,3% -272 -8,7%
R Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e diver… 7.620 9,6% -1.177 -13,4%
S Altre attività di servizi 34.446 13,9% -1.852 -5,1%
T Attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro p… 3 8,6% 3 0,0%
U Organizzazioni ed organismi extraterritoriali 0 0,0% 0 0,0%
X Imprese non classificate 49.576 12,3% -2.997 -5,7%
TOTALE SETTORI 541.159 8,9% -156.267 -22,4%

Fonte: InfoCamere-Unioncamere,Movimprese

 

Tab. 5 – Imprese giovanili per provincia

Imprese registrate e % sul totale imprese in provincia al 31 dicembre 2020 e 2011

Provincia Imprese

giovanili

% giovanili

sul totale

(2020)

% giovanili

sul totale

(2011)

Provincia Imprese

giovanili

% giovanili

sul totale

(2020)

% giovanili

sul totale

(2011)

AGRIGENTO 4.965 12,2% 15,1% MESSINA 6.873 10,9% 13,7%
ALESSANDRIA 2.996 7,2% 9,7% MILANO 27.412 7,3% 8,1%
ANCONA 3.205 7,2% 10,4% MODENA 5.058 7,0% 8,9%
AOSTA 1.063 8,7% 9,6% MONZA E BRIANZA 5.957 8,0% 10,1%
AREZZO 2.801 7,5% 10,7% NAPOLI 37.634 12,3% 14,7%
ASCOLI PICENO 1.768 7,2% 10,1% NOVARA 2.695 9,2% 12,2%
ASTI 1.972 8,5% 10,2% NUORO 3.620 12,0% 14,1%
AVELLINO 4.935 11,1% 13,9% ORISTANO 1.190 8,3% 12,2%
BARI 14.853 10,1% 13,9% PADOVA 6.619 6,9% 9,0%
BELLUNO 1.199 7,9% 9,3% PALERMO 11.922 12,1% 15,3%
BENEVENTO 3.859 10,9% 13,5% PARMA 3.183 7,0% 9,3%
BERGAMO 8.058 8,6% 11,6% PAVIA 3.907 8,4% 11,5%
BIELLA 1.162 6,7% 9,8% PERUGIA 5.377 7,4% 10,4%
BOLOGNA 6.549 6,9% 8,5% PESARO E URBINO 2.491 6,4% 9,9%
BOLZANO 4.787 8,0% 8,1% PESCARA 3.386 9,1% 11,6%
BRESCIA 10.063 8,6% 11,7% PIACENZA 1.998 6,9% 9,6%
BRINDISI 3.804 10,1% 13,7% PISA 3.368 7,7% 11,3%
CAGLIARI 5.484 7,8% 11,2% PISTOIA 2.551 7,8% 11,4%
CALTANISSETTA 2.719 10,7% 15,6% PORDENONE 1.727 6,7% 8,2%
CAMPOBASSO 2.360 9,1% 12,2% POTENZA 3.741 9,7% 11,9%
CASERTA 12.586 13,0% 17,0% PRATO 3.030 9,1% 14,1%
CATANIA 11.970 11,5% 15,6% RAGUSA 3.983 10,7% 14,7%
CATANZARO 4.228 12,3% 16,6% RAVENNA 2.431 6,3% 8,7%
CHIETI 3.339 7,4% 10,7% REGGIO CALABRIA 6.745 12,6% 17,5%
COMO 3.794 7,9% 10,8% REGGIO EMILIA 4.411 8,2% 11,3%
COSENZA 7.400 10,8% 15,5% RIETI 1.621 10,4% 12,5%
CREMONA 2.450 8,5% 12,0% RIMINI 2.686 6,8% 9,1%
CROTONE 2.441 13,5% 18,0% ROMA 40.212 8,1% 9,7%
CUNEO 5.880 8,9% 10,5% ROVIGO 1.987 7,5% 10,7%
ENNA 1.894 12,6% 19,1% SALERNO 14.407 12,0% 14,5%
FERMO 1.521 7,4% 10,4% SASSARI 4.820 8,7% 11,4%
FERRARA 2.473 7,2% 9,5% SAVONA 2.425 8,2% 10,3%
FIRENZE 7.969 7,4% 9,9% SIENA 2.036 7,2% 9,9%
FOGGIA 7.700 10,6% 13,4% SIRACUSA 3.881 9,9% 13,5%
FORLI’ – CESENA 2.510 6,0% 8,7% SONDRIO 1.314 9,1% 10,8%
FROSINONE 5.072 10,4% 14,1% TARANTO 4.911 9,7% 12,5%
GENOVA 6.301 7,4% 8,8% TERAMO 3.067 8,5% 12,2%
GORIZIA 743 7,5% 9,1% TERNI 1.924 8,8% 10,9%
GROSSETO 2.031 7,0% 9,2% TORINO 20.820 9,5% 11,5%
IMPERIA 2.166 8,4% 10,3% TRAPANI 4.842 10,2% 13,1%
ISERNIA 1.000 10,7% 14,2% TRENTO 4.691 9,3% 9,4%
L’AQUILA 2.876 9,6% 13,1% TREVISO 5.909 6,8% 8,4%
LA SPEZIA 1.832 8,8% 10,7% TRIESTE 1.227 7,6% 8,0%
LATINA 5.974 10,4% 12,7% UDINE 3.345 6,8% 8,4%
LECCE 8.583 11,5% 15,7% VARESE 5.493 8,2% 10,6%
LECCO 2.174 8,5% 10,8% VENEZIA 5.528 7,2% 8,8%
LIVORNO 2.506 7,6% 10,2% VERBANIA 1.015 8,0% 10,7%
LODI 1.421 8,6% 12,5% VERCELLI 1.335 8,4% 11,9%
LUCCA 3.144 7,4% 10,8% VERONA 7.441 7,7% 10,4%
MACERATA 3.216 8,5% 11,1% VIBO VALENTIA 1.877 13,6% 17,5%
MANTOVA 2.720 7,0% 10,4% VICENZA 5.503 6,8% 9,1%
MASSA CARRARA 1.613 7,2% 11,0% VITERBO 3.199 8,4% 11,6%
MATERA 2.205 10,0% 12,4% ITALIA 541.159 8,9% 11,4%

Fonte: InfoCamere-Unioncamere, Movimprese

 

Ma di fronte al Covid i giovani imprenditori si mostrano più resilienti e sembrano guardare al futuro con maggiore positività rispetto agli altri colleghi. Secondo un’indagine del Centro Studi delle Camere di commercio G. Tagliacarne sull’impatto della pandemia sull’attività 2020 dell’imprenditoria giovanile, il 43% dichiara di non avere avuto perdite di fatturato contro il 36% delle altre imprese.

E chi ha perso terreno ha maggiori aspettative di recupero. Il 68% delle imprese under 35 manifatturiere prevede infatti un ritorno ai livelli produttivi del pre-covid entro il 2022, contro il 60% delle altre imprese. Una percentuale che sale al 75% per gli imprenditori giovani che hanno investito in industria 4.0.  A conferma che il digitale è un potente acceleratore di competitività. Più in particolare in questo decennio le imprese giovanili sono calate di 16 punti in più rispetto alla riduzione della popolazione giovanile tra i 18 e i 34 anni (-22,4% contro – 8%). A fronte di questa forbice il rapporto tra imprese giovanili e popolazione giovanile ha perso mediamente un punto per ogni anno passando dal 61,5‰ del 2011 al 51,9‰ del 2020.

Mentre negli anni pre Covid, uno dei maggiori problemi per l’imprenditoria giovanile era la sopravvivenza delle imprese, secondo i dati raccolti dal 2011 al 2018, quando riescono a superare la fase di avvio, i giovani “under 35” sono più resistenti rispetto agli altri imprenditori. Inoltre, un’impresa giovanile su 3 chiude i battenti nei primi 5 anni di vita e di queste quasi la metà non supera il biennio. Il risultato è che in otto anni si sono perse 122mila imprese “under 35”, portando a quota 575mila l’esercito delle iniziative imprenditoriali guidate da giovani.




Bollette e materie prime: sette imprese su dieci si sono “giocate” la ripresa e il 7% paventa fermo attività 

Ci siamo già “giocati” gran parte della cosiddetta ripresa. Il caro bollette e il caro materie prime stanno gravando fortemente sul settore dell’artigianato e della micro impresa piemontese. Secondo i dati di un’indagine di CNA: 

  • Gli incrementi risultano infatti compresi tra il +18,6% nella filiera del turismo e il +33,1% nel settore delle costruzioni 
  • Le imprese che intendono ritoccare i listini al rialzo sono, infatti, il 62,8% nella manifattura e il 54,4% nelle costruzioni 
  • Il 77,5% ritiene invece che l’aumento del costo dell’energia possa determinare una riduzione dei margini di guadagno. Il resto si divide tra quanti pensano di dovere ridurre la produzione (10,6%) e quanti paventano addirittura il fermo dell’attività (6,8%) 
  • Il 37% delle imprese che intende rinviare gli investimenti programmati 

Sul fronte del caro materie prime, i numeri arrivano suddivisi per provincia all’interno della Regione Piemonte grazie a una sezione dedicata del rapporto Monitor Piccole Imprese 2021, presentato il 26 gennaio scorso e curato dal prof Daniele Marini, docente di sociologia dei processi economici all’Università di Padova, direttore scientifico di Research&Analysis di Community e responsabile scientifico del progetto Monitor Piccole Imprese di CNA Piemonte in collaborazione con UniCredit. 

  • In Piemonte i costi di approvvigionamento di materie prime sono aumentati in modo significativo per 81,3% delle imprese 
  • La metà fra gli interpellati (55,6%) dichiara aumentato il livello di prezzo dei prodotti finiti. Mentre il 41,2% ha ritenuto più utile mantenere i livelli di prezzo, assorbendo così la maggiorazione dei costi e limando i propri margini. Molto poche sono le ditte che hanno potuto abbassare i prezzi ai clienti (3,2%) 
  • In ambito provinciale, sono le ditte cuneesi (+61,2) e alessandrine (+61,2) ad avere incrementato maggiormente i prezzi finali, mentre verbanesi (+45,9), astigiane (+45,5) e biellesi (+42,4) sono fra quelle che più di altre l’hanno mantenuto invariato.  
  •  Chi in misura maggiore ha cercato un aumento dei prezzi finali sono state le ditte più strutturate (+61,5, 5-9 addetti). Soprattutto sono le ditte dell’edilizia (+70,2) ad aver incrementato i prezzi finali. 

“Il panorama che avevamo davanti qualche mese fa all’insegna dell’ottimismo e della crescita, oggi si porta dietro il tema del rallentamento. Elemento significativo ed estremamente preoccupante sono il calo dei consumi e l’aumento dell’inflazione che stiamo registrando nelle ultime settimane. Sono elementi che fotografiamo nei timori della popolazione e nella parallela risposta dei mercati. Per questo abbiamo chiesto e chiediamo che i decisori politici nazionali e regionali si impegnino prioritariamente su questo fronte” ha dichiarato il segretario regionale di CNA Piemonte Delio Zanzottera. “Dobbiamo lavorare insieme alla Regione Piemonte e alle altre istituzioni alla creazione di politiche pubbliche a favore delle nostre imprese in un momento delicato come quello che stiamo vivendo. Siamo infatti ben lontani dalla fine dell’emergenza. Qualora questo momento rappresentasse la fine della pandemia come l’abbiamo vissuta, l’emergenza per le nostre imprese permarrà ancora per un tempo che non siamo in grado di circoscrivere”, ha aggiunto il presidente regionale di CNA Piemonte Bruno Scanferla. 

 

Bollette – Caro Energia: le imprese si riducono i guadagni o aumentano i prezzi finali, col rischio del blocco della produzione 

 Per le imprese che hanno partecipato all’indagine CNA nella media dei dodici mesi 2021 gli aumenti delle bollette risultano molto più marcati: rispetto al 2019 gli incrementi risultano infatti compresi tra il +18,6% nella filiera del turismo e il +33,1% nel settore delle costruzioni.  

La portata degli aumenti del prezzo dell’energia pagato dalle imprese potrebbe concorrere ad alimentare le pressioni inflazionistiche in maniera significativa nel 2022. Il 53% delle imprese crede infatti di trasferire i rincari sui prezzi dei loro prodotti. Di queste, il 44,7% intende farlo in misura parziale, l’8,4% interamente. 

 L’aumento dei prezzi di vendita nei prossimi mesi appare più probabile nei settori dell’industria: le imprese che intendono ritoccare i listini al rialzo sono, infatti, il 62,8% nella manifattura e il 54,4% nelle costruzioni. Si tratta di settori che, se da un lato presentano processi produttivi con consumi energetici in media più elevati, dall’altro subiscono un effetto a cascata poiché operano in filiere nelle quali già i fornitori di beni intermedi e di semilavorati hanno aumentato i prezzi di vendita in risposta al caro-energia. 

 La più alta incidenza della spesa per le materie energetiche sui costi totali riguarda in particolare le imprese manifatturiere, mentre il rincaro dei beni intermedi sta interessando soprattutto il settore delle costruzioni alle prese anche con la scarsità dei prodotti intermedi e dei semilavorati. A questo proposito è probabile che nel settore delle costruzioni, che ha registrato una forte espansione nel 2021, il 17,6% delle imprese che dichiara di volere traslare interamente i rincari sui prezzi di vendita sia costretta a farlo anche a causa delle difficoltà di approvvigionamento. 

La preoccupazione manifestata dal sistema produttivo nei riguardi dei rincari energetici, che molto spazio ha trovato nei media, è confermata dalle indicazioni delle imprese intervistate. Tra queste, infatti, solo il 5% immagina che l’impennata dei prezzi dell’energia non avrà effetti significativi sulla loro attività. 

 Il 77,5% ritiene invece che l’aumento del costo dell’energia possa determinare una riduzione dei margini di guadagno. Si tratta di un dato preoccupante considerando che la ripresa registrata nel 2021, pur significativa, non è stata sufficiente in molti settori a ripianare le perdite determinate dalla recessione innescata dalla pandemia. 

Il resto del campione si divide tra quanti pensano di dovere ridurre la produzione (10,6%) e quanti paventano addirittura il fermo dell’attività (6,8%). 

Rispetto alla media del campione, il timore di una diminuzione dei profitti appare più diffusa nel commercio (85,9%) e nei servizi per la persona (79,2%). Si tratta di quei settori che più di altri hanno subito le restrizioni sociali necessarie per contrastare la pandemia (le attività commerciali sono state spiazzate dalla forte diffusione delle vendite on-line mentre i servizi per la persona, che comprendono estetisti e parrucchieri, sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire). 

 La possibilità di dovere ridurre la produzione è paventata invece soprattutto dalle imprese manifatturiere (13,4%) che, come detto, sono quelle con consumi energetici mediamente più alti. Il fermo dell’attività è infine una eventualità considerata soprattutto dalle imprese operanti nella filiera del turismo (24%). 

Le imprese sono intenzionate a intraprendere iniziative per mitigare gli effetti negativi derivanti dal caro-bollette. 

La riduzione delle spese correnti, diverse da quelle attinenti all’acquisto dei prodotti energetici, è l’azione di contrasto maggiormente richiamata dagli intervistati (43,6%) insieme ad un più frequente aggiornamento dei listini (42%). Rilevante appare poi la quota di imprese che intende rinviare gli investimenti programmati (37%). Le azioni appena citate rappresentano evidentemente interventi di rapida attuazione, posti in essere per tamponare immediatamente l’emergenza. 

 Meno diffuse appaiono invece le azioni di natura strutturale. Le imprese che dichiarano di volere investire in tecnologie di efficientamento energetico sono infatti il 19,2% del totale, quelle che invece pensano di dovere ridurre gli organici e/o il monte salari sono rispettivamente il 10,8% e il 7,6% del campione. 

Questo il quadro generale. A livello settoriale però le risposte delle imprese risultano piuttosto eterogenee. 

 

La riduzione delle spese correnti diverse dall’energia è una strategia che risulta diffusa soprattutto nel settore dei trasporti (53,6%). Si tratta di un dato non sorprendente considerando il forte peso dell’energia stessa (in questo caso i combustibili per autotrazione) sul totale dei costi aziendali. 

La manifattura è invece il settore dove si intende contrastare il caro-energia con un mix di interventi. Da un lato, infatti, circa la metà delle imprese (il 50,8%) contempla la possibilità di aggiornare frequentemente i listini. Dall’altro, data la consapevolezza di operare in condizioni di forte concorrenza (molte imprese manifatturiere rivolgono la loro offerta anche oltre confine), appare molto consistente la quota di rispondenti che pensa di reagire al caro-bolletta rinviando al futuro investimenti già programmati (41%). 

Le scelte più drastiche, che implicano un ridimensionamento strutturale delle attività svolte, sono segnalate con maggiore frequenza nei settori che hanno riportato le maggiori perdite durante la recessione. Tra questi spicca la filiera del turismo dove molto consistente è la quota di imprenditori che crede di dovere licenziare (24%) e/o ridurre il costo complessivo delle retribuzioni/compensi (19,8%). 

 

I costi delle materie prime: Asti e Cuneo le più colpite 

 I costi di approvvigionamento di materie prime per le imprese sono aumentati in modo significativo per una parte cospicua (81,3%) delle interpellate, in una misura eccezionale rispetto a tutte le rilevazioni precedenti. Mentre solo per il 17,4% sono rimasti stabili nell’ultimo periodo e per una quota marginale (1,3%) sono diminuiti. Il saldo sale a +80,0, nettamente più elevato rispetto agli anni precedenti. 

Primo semestre 2021: i costi delle materie prime (rispetto al secondo semestre 2020; val. %) 

Costi materie prime  Aumento  Stabile  Diminuzione  Saldo 
2021  81,3  17,4  1,3  +80,0 
2020*  37,0  57,2  5,8  +31,2 
2019**  55,2  43,4  1,4  +53,8 
2018***  61,1  37,1  1,8  +59,3 
Province         
Alessandria  87,1  12,0  0,9  +86,2 
Asti  82,8  16,1  1,1  +81,7 
Biella  72,8  27,2  0,0  +72,8 
Cuneo  85,4  14,6  0,0  +85,4 
Piemonte Nord  80,5  17,8  1,7  +78,8 
Novara  80,9  19,1  0,0  +80,9 
Verbania-Cusio-Ossola  76,5  22,3  1,2  +75,3 
Vercelli  80,0  13,3  6,7  +73,3 
Torino  81,4  16,9  1,7  +79,7 
Dimensione         
1 addetto (titolare)  76,3  21,3  2,4  +73,9 
2-4 addetti  81,4  17,1  1,5  +79,9 
5-9 addetti  85,7  13,7  0,6  +85,1 
Oltre 10 addetti  83,2  16,8  0,0  +83,2 
Settore         
Manifatturiero  85,6  13,3  1,1  +84,5 
Edilizia  90,0  9,4  0,6  +89,4 
Commercio e servizi  71,0  26,8  2,2  +68,8 
Fatturato         
Fino a 50mila€  78,8  19,0  2,2  +76,6 
50-100mila€  79,9  19,4  0,7  +79,2 
101-500mila€  81,7  17,5  0,8  +80,9 
Oltre 501mila€  85,8  13,5  0,7  +85,1 
Apertura mercati         
Diretta  83,4  14,8  1,8  +81,6 
Indiretta  79,8  19,0  1,2  +78,6 
Domestico  81,9  17,0  1,1  +80,8 

 

All’interno dell’universo degli interpellati non si rilevano fratture di rilievo, a mettere in luce come il tema dei costi accomuni l’intero sistema produttivo. A voler individuare le realtà più problematiche possiamo sottolineare come le imprese alessandrine (87,1%) e cuneesi (85,4%) denuncino le maggiorazioni di costi più elevate, e così pure le ditte dell’edilizia (90,0%), quelle che presentano i fatturati più elevati (85,8%, oltre 500 mila €) o che hanno sbocchi diretti su mercati esteri (83,4%). In ogni caso, il tema dell’aumento dei costi coinvolge indifferentemente l’intero sistema produttivo. 

 

Primo semestre 2021: il prezzo dei prodotti finiti (rispetto al secondo semestre 2020; val. %) 

Prezzo prodotti finiti  Aumento  Stabile  Diminuzione  Saldo 
2021  55,6  41,2  3,2  +52,4 
2020*  21,3  69,1  9,6  +11,7 
2019**  26,2  66,7  7,1  +19,1 
2018***  31,0  62,8  6,2  +24,8 
Province         
Alessandria  63,8  33,6  2,6  +61,2 
Asti  48,9  47,7  3,4  +45,5 
Biella  47,8  46,8  5,4  +42,4 
Cuneo  62,2  36,8  1,0  +61,2 
Piemonte Nord  53,8  43,8  2,4  +51,4 
Novara  55,8  42,4  1,8  +54,0 
Verbania-Cusio-Ossola  47,1  51,7  1,2  +45,9 
Vercelli  57,1  35,8  7,1  +50,0 
Torino  56,1  40,3  3,6  +52,5 
Dimensione         
1 addetto (titolare)  51,4  43,8  4,8  +46,6 
2-4 addetti  53,6  42,8  3,6  +50,0 
5-9 addetti  63,8  33,9  2,3  +61,5 
Oltre 10 addetti  54,3  44,2  1,5  +52,8 
Settore         
Manifatturiero  46,8  49,7  3,5  +43,3 
Edilizia  71,2  27,8  1,0  +70,2 
Commercio e servizi  46,0  49,2  4,8  +41,2 
Fatturato         
Fino a 50mila€  48,7  47,0  4,3  +44,4 
50-100mila€  55,4  41,2  3,4  +52,0 
101-500mila€  59,1  38,3  2,6  +56,5 
Oltre 501mila€  63,7  34,9  1,4  +62,3 
Apertura mercati         
Diretta  61,3  35,6  3,1  +58,2 
Indiretta  53,2  41,6  5,2  +48,0 
Domestico  55,9  41,9  2,2  +53,7 

 

Parzialmente diversa è la questione dei prezzi dei prodotti finiti. Nonostante il costo dell’approvvigionamento sia aumentato per una quota importante, tale incremento si scarica solo parzialmente sul prezzo finale. La metà fra gli interpellati (55,6%) dichiara di avere realizzato un aumento, in decisa crescita rispetto alle precedenti rilevazioni. Mentre il 41,2% ha ritenuto più utile mantenere i livelli di prezzo, assorbendo così la maggiorazione dei costi e limando i propri margini. Molto poche sono le ditte che hanno potuto abbassare i prezzi ai clienti (3,2%). 

In questo caso, possiamo osservare alcune articolazioni interessanti: 

In ambito provinciale, sono le ditte cuneesi (+61,2) e alessandrine (+61,2) ad avere incrementato maggiormente i prezzi finali, mentre verbanesi (+45,9), astigiane (+45,5) e biellesi (+42,4) sono fra quelle che più di altre l’hanno mantenuto invariato. 

Chi in misura maggiore ha cercato un aumento dei prezzi finali sono state le ditte più strutturate (+61,5, 5-9 addetti). Soprattutto sono le ditte dell’edilizia (+70,2) ad aver incrementato i prezzi finali. 

Infine, sono state costrette a comprimere maggiormente i prezzi quelle imprese che hanno sbocchi diretti sui mercati internazionali (+58,2). 

Come si è potuto osservare, nel rapporto fra costi di approvvigionamento e definizione dei prezzi finali non esiste una correlazione simmetrica. Le ditte artigiane e le piccole imprese hanno conosciuto un aumento rilevante nel 2021 dei costi delle materie prime e dei servizi, ma cercano di contenere il rincaro dei prezzi finali, limando così i margini al fine di rimanere competitive sui mercati. Tuttavia, una simile strategia è plausibile per chi ha strutture dimensionali che consentano di distribuire all’interno dell’impresa il minor introito, chi realizza prodotti o servizi particolarmente richiesti dal mercato o è presente su mercati più ampi di quello domestico. Viceversa, le aziende con più difficoltà (le ditte edili o quelle con pochissimi addetti) cercano più di altre di scaricare il costo sul prezzo finale, ma con esiti che non sembrano sortire effetti particolarmente positivi

41,6  5,2  +48,0 
Domestico  55,9  41,9  2,2  +53,7 

 

Parzialmente diversa è la questione dei prezzi dei prodotti finiti. Nonostante il costo dell’approvvigionamento sia aumentato per una quota importante, tale incremento si scarica solo parzialmente sul prezzo finale. La metà fra gli interpellati (55,6%) dichiara di avere realizzato un aumento, in decisa crescita rispetto alle precedenti rilevazioni. Mentre il 41,2% ha ritenuto più utile mantenere i livelli di prezzo, assorbendo così la maggiorazione dei costi e limando i propri margini. Molto poche sono le ditte che hanno potuto abbassare i prezzi ai clienti (3,2%). 

In questo caso, possiamo osservare alcune articolazioni interessanti: 

In ambito provinciale, sono le ditte cuneesi (+61,2) e alessandrine (+61,2) ad avere incrementato maggiormente i prezzi finali, mentre verbanesi (+45,9), astigiane (+45,5) e biellesi (+42,4) sono fra quelle che più di altre l’hanno mantenuto invariato. 

Chi in misura maggiore ha cercato un aumento dei prezzi finali sono state le ditte più strutturate (+61,5, 5-9 addetti). Soprattutto sono le ditte dell’edilizia (+70,2) ad aver incrementato i prezzi finali. 

Infine, sono state costrette a comprimere maggiormente i prezzi quelle imprese che hanno sbocchi diretti sui mercati internazionali (+58,2). 

Come si è potuto osservare, nel rapporto fra costi di approvvigionamento e definizione dei prezzi finali non esiste una correlazione simmetrica. Le ditte artigiane e le piccole imprese hanno conosciuto un aumento rilevante nel 2021 dei costi delle materie prime e dei servizi, ma cercano di contenere il rincaro dei prezzi finali, limando così i margini al fine di rimanere competitive sui mercati. Tuttavia, una simile strategia è plausibile per chi ha strutture dimensionali che consentano di distribuire all’interno dell’impresa il minor introito, chi realizza prodotti o servizi particolarmente richiesti dal mercato o è presente su mercati più ampi di quello domestico. Viceversa, le aziende con più difficoltà (le ditte edili o quelle con pochissimi addetti) cercano più di altre di scaricare il costo sul prezzo finale, ma con esiti che non sembrano sortire effetti particolarmente positivi. 




Osservatorio export delle province di Novara e Vercelli

La dinamica dell’export complessivo e manifatturiero delle province di Novara
e Vercelli globalmente considerate

Nel terzo trimestre del 2021 prosegue il recupero delle esportazioni complessive,
osservabile sia a livello provinciale che a livello nazionale: l’export delle province di Novara
e Vercelli è infatti cresciuto del +7,3% rispetto al terzo trimestre del 2020; quello italiano è
risultato in progresso del +13,6%.

Si rileva, dunque, un certo rallentamento rispetto alle performance del trimestre precedente, ma occorre considerare che il secondo trimestre del 2020 è stato il più catastrofico dell’anno e che, di conseguenza, la componente del rimbalzo nel secondo trimestre del 2021 è stata più forte. Osservando il dato relativo ai primi nove mesi dell’anno, le esportazioni complessive delle province di Novara e Vercelli
sono cresciute del +13,6% tendenziale; quelle italiane del +20,1%.

Considerando le sole esportazioni manifatturiere delle province di Novara e Vercelli, pari a
5,8 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2021, si registra un incremento del +13,4%
rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; incremento trasversale a tutti i settori, con le sole eccezioni del piccolo comparto del coke e prodotti petroliferi raffinati, che flette del 20,6%; di quello più rilevante degli articoli farmaceutici e botanici, che si riduce del 2,5%; e degli articoli di abbigliamento, che si contraggono del 14,3%. All’interno dell’aggregato prodotti tessiliabbigliamentopelliaccessori (che nel complesso registra un progresso del +2,6%), l’export di prodotti tessili cresce invece del +13,5%. Quanto agli altri settori manifatturieri, le performance migliori si registrano per i mezzi di trasporto (+33,7%); i metalli di base e prodotti in metallo (+23,5%); i macchinari e apparecchi (+20,2%), con al loro interno il comparto della rubinetteria e valvolame che mette a segno un +20,6%.

Le sostanze e prodotti chimici crescono del +19,1%; i prodotti alimentari, bevande e tabacco del +16,8%; gli articoli in gomma e materie plastiche del +13,9%. Molto buona anche la crescita dell’export dei comparti più piccoli del legno, prodotti in legno, carta e stampa (+25,9%) e dei computer, apparecchi elettronici ed ottici (+15,9%); infine, gli apparecchi elettrici crescono di un più ridotto +5,4%.Per quanto riguarda la ripartizione geografica dell’export manifatturiero delle due province, nei primi nove mesi del 2021 si osserva un incremento tendenziale del +16,9% delle vendite dirette all’interno dell’Ue27 e del +8,8% verso i Paesi extraUe.

Le esportazioni di manufatti dirette verso i 27 Paesi Ue, pari a 3,35 miliardi di euro, rappresentano nei primi nove mesi del 2021 il 58,0% dell’export manifatturiero delle province di Novara e Vercelli considerate insieme; quelle dirette verso i mercati extraUe, pari a 2,43 miliardi di euro, equivalgono al 42,0% dell’export manifatturiero delle due province.


Quanto ai singoli mercati di sbocco, nei primi nove mesi del 2021 si evidenziano
performance molto buone verso tutti i principali Paesi di destinazione dell’export
manifatturiero delle province di Novara e Vercelli globalmente considerate, fatta eccezione
(come già rilevato nel precedente Osservatorio) per il Regno Unito, che flette del 1,8% ma
si conferma il quarto mercato di destinazione delle esportazioni manifatturiere delle due
province; e soprattutto per la Svizzera, che flette del 44,5% conservando, tuttavia, l’ottava posizione. Gli incrementi maggiori dell’export si registrano verso la Cina (+32,2%) che guadagna una posizione, divenendo sesta; il Belgio (+29,6%) che rimane fermo al decimo posto; i Paesi Bassi (+24,5%) che perdono una posizione divenendo settimi; e la Spagna (+20,4%) che si conferma quinta.