Embraco, il Consiglio chiede un luogo di confronto

La Regione Piemonte è impegnata ad “attivarsi per creare un luogo di confronto e discussione tra tutti i soggetti coinvolti – sia amministratori locali che realtà imprenditoriali del territorio – al fine di valutare soluzioni condivise e sviluppare nuove opportunità per i lavoratori”.

Questo dopo l’approvazione all’unanimità, nella seduta del Consiglio regionale del 28 gennaio, dell’ordine del giorno 177 “Impegno della Regione Piemonte per i lavoratori ex Embraco”, prima firmataria Francesca Frediani (M5s), riguardante la vicenda della mai attuata riconversione dello stabilimento di Riva di Chieri (To).

Prima della votazione è intervenuta l’assessore al lavoro Elena Chiorino che, esprimendo il parere favorevole della Giunta regionale sul documento, ha richiamato alla necessità di atti concreti come la convocazione, del 3 febbraio, di un tavolo di confronto al Mise, anche se al momento non si hanno notizie di imprenditori interessati allo stabilimento di Chieri. L’assessore ha espresso la possibilità di ragionare attorno ad un tavolo regionale dopo l’incontro al ministero.

Sono stati anche approvati all’unanimità, sul tema delle conseguenze della adozione da parte di diversi paesi europei del sistema di etichettatura “Nutri-score”, la mozione 156, primo firmatario Paolo Demarchi (Lega) e l’ordine del giorno 166, primo firmatario Paolo Ruzzola (Fi).

Il 156, “impegna la Giunta ad attivarsi presso il Governo affinché intervenga vigorosamente presso le istituzioni europee per evitare l’utilizzo di tale classificazione alimentare al fine di tutelare, in tutte le sedi necessarie, il ‘Made in Italy’ di qualità, la salute dei cittadini e l’economia piemontese”. Il 166 “impegna la Giunta ad assumere ogni iniziativa utile, presso le sedi europee e nazionali, affinché venga sostenuto il modello italiano “Nutrimeter” a livello comunitario, al fine di tutelare realmente la salute dei cittadini e salvaguardare le eccellenze italiane ed un intero comparto produttivo”.




Il giorno della memoria celebrato a Palazzo Cisterna

Con la visita di quattro scolaresche alla mostra I mondi di Primo Levi. Una strenua chiarezza” è stato celebrato stamani a Palazzo Dal Pozzo della Cisterna ilGiorno della Memoria.

La mostra, curata dalla Città Metropolitana di Torino e dal Centro internazionale di studi “Primo Levi” nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore e scienziato torinese, è prorogata sino a venerdì 31 gennaio.

La proroga ha consentito di inserire la mostra nel calendario delle iniziative che il 27 gennaio di ogni anno commemorano le vittime dell’Olocausto: fu proprio il 27 gennaio 1945 il giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

Avevano richiesto e hanno ottenuto di poter visitare l’allestimento nella giornata del 27 gennaio una classe terza media degli Istituti Riuniti Salotto e Fiorito di Rivoli,una quinta dell’Istituto di Istruzione Superiore Gobetti Marchesini Casale Arduino di Torino, una terza e una quinta dell’Istituto Giulio Natta di Rivoli.

Gli studenti hanno incontrato nella Sala Consiglieri della sede aulica della Città Metropolitana il Vicesindaco metropolitano Marco Marocco, lo storico e collaboratore del Centro Studi Primo Levi Guido Vaglio, i responsabili del Centro stesso e i funzionari del Centro Servizi Didattici della Città Metropolitana, che hanno coordinato a partire dall’ottobre scorso la visita di un’ottantina di istituti scolastici alla mostra, con la presenza di circa 2000 studenti e dei loro insegnanti.

Il Vicesindaco Marocco ha sottolineato il contributo della mostra al contrasto all’indifferenza che rischia di circondare argomenti come l’Olocausto, mentre il professor Vaglio si è soffermato sul valore della testimonianza di Primo Levi e sulla sua poliedrica figura di scienziato, scrittore, poeta, testimone della Shoah e semplice cittadino torinese.

“Uno degli obiettivi del Centro Studi, – ha spiegato Vaglio – è appunto di far conoscere Primo Levi anche al di là della sua figura di testimone della Shoah. Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo, ma Levi era anche un chimico appassionato di tutte le discipline scientifiche, di etimologia e di giochi di parole. Era un uomo pieno di interessi e curiosità verso il mondo. Il suo modo di scrivere esprimeva inoltre una pacatezza e una precisione che sono un esempio per tutti ancora oggi”.

La mostra I mondi di Primo Levi. Una strenua chiarezza” è ad ingresso libero dal lunedì al venerdi dalle 9 alle 16. Oltre agli studenti, sono numerosi i cittadini che la visitano ogni giorno, in questi tempi confusi da troppe false notizie e da striscianti revisionismi; tempi in cui tornano a ripetersi drammatici episodi di discriminazione e di antisemitismo. Particolarmente suggestiva la collocazione a Palazzo Cisterna, tra stucchi e arredi d’epoca, dove tra lo scalone di marmo e i corridoi aulici si stagliano scale metalliche in alluminio, pannelli illuminati, percorsi a tunnel che disegnano gli aspetti della vita di un uomo che è stato chimico, scrittore, deportato nel campi di sterminio di Auschwitz, testimone e divulgatore della storia più drammatica del ‘900, padre di famiglia e cittadino torinese.

La mostra, ideata e realizzata da Fabio Levi e Peppino Ortoleva e allestita dall’architetto Cavaglià, è suddivisa in sei sezioni: Carbonio, Il viaggio verso il nulla / Il cammino verso casa, Cucire parole, Cucire molecole, Homo faber, Il giro del mondo del montatore Tino Faussone.





Rc auto: i piemontesi vedranno peggiorare la propria classe di merito nel 2020

Il nuovo anno si apre con una brutta notizia per più di 96.400 piemontesi; tanti sono gli automobilisti che, secondo l’osservatorio Rc auto di Facile.it, a causa di un sinistro con colpa dichiarato nel 2019 dovranno fare i conti con un peggioramento della propria classe di merito e, di conseguenza, un premio RC auto più caro rispetto a quello pagato l’anno prima.

In termini percentuali si tratta del 4,04% del campione analizzato (oltre 32.600 preventivi di rinnovo RC auto raccolti in Piemonte a dicembre 2019 tramite le pagine di Facile.it); il valore non solo risulta essere superiore a quello nazionale (3,76%), ma è anche in lieve aumento rispetto al dato regionale rilevato nel 2018, quando la percentuale degli automobilisti piemontesi che ha fatto i conti con un peggioramento della classe di merito era pari al 4,01%.

Buone notizie, invece, per gli automobilisti virtuosi; a dicembre 2019, secondo l’osservatorio RC auto di Facile.it, per assicurare un veicolo a quattro ruote in Piemonte occorrevano, in media, 507,63 euro, vale a dire il 6,98% in meno rispetto allo stesso periodo del 2018. Il dato è stato calcolato sulla base di 525.064 preventivi di rinnovo RC auto e relative migliori offerte medie disponibili online*.

L’andamento provinciale
Analizzando il campione su base provinciale emerge che Torino è la provincia che ha registrato la percentuale più alta di automobilisti che hanno denunciato all’assicurazione un sinistro con colpa (4,37%) e che, per questo motivo, vedranno peggiorare la propria classe di merito e, con essa, salire il costo dell’RC auto. Segue nella graduatoria la provincia di Cuneo, dove la percentuale di chi ha dichiarato un incidente con colpa è pari al 4,33%.
Valori inferiori alla media regionale, invece, per le province di Novara (3,63%), Verbano-Cusio-Ossola (3,27%) e Alessandria (2,95%). Chiudono la classifica regionale Asti (2,93%), Vercelli e Biella, aree dove la percentuale di coloro che hanno denunciato un incidente con colpa è pari, rispettivamente, al 2,80% e al 2,57%.

Il profilo di chi vedrà peggiorare la classe di merito
Guardando più da vicino il profilo degli automobilisti piemontesi che hanno dichiarato alle assicurazioni un sinistro con colpa, la prima differenza che emerge è legata al sesso; fra gli uomini la percentuale è pari al 3,92%, mentre nel campione femminile sale al 4,27%.
Analizzando il campione in base alle professioni dichiarate in fase di preventivo emerge che al primo posto si posizionano gli insegnanti; sono loro la categoria che, in percentuale, ha dichiarato più sinistri con colpa (6,41%). Al secondo posto si trovano i pensionati, con una percentuale pari al 5,92%, mentre gli artigiani si posizionano al terzo posto con il 4,80%.
Nel senso opposto, invece, si trovano i disoccupati (2,99%), il personale medico (3,15%) e i commercianti (3,26%).




Nomine: riapertura dei termini per la Commissione di Garanzia

Sono iniziate le procedure per la riapertura dei termini per le candidature a diversi enti, come la Commissione di garanzia, il Cda della Azienda pubblica di servizi alla persona “Casa benefica”, il Consorzio di bonifica “Associazione irrigazione Est Sesia” di Novara e la Commissione per il patrimonio speleologico.

La data ultima per la presentazione delle candidature è quindi stabilita per il 7 febbraio, in particolare per:

  • Commissione di garanzia: elezione di un componente in sostituzione di Paolo Cattaneo;
  • Un membro del Consiglio di amministrazione della Azienda pubblica di servizi alla persona Casa Benefica;
  • Un rappresentante al Consorzio di irrigazione e bonifica “Associazione Irrigazione Est Sesia” di Novara – Assemblea dei Delegati;
  • 3 rappresentanti per la Commissione tecnico consultiva per la tutela del patrimonio speleologico della Regione Piemonte.

L’istanza di candidatura deve essere sottoscritta e presentata al Presidente del Consiglio regionale inviandola all’indirizzo pec unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore.

Sono mantenute valide le candidature già pervenute che, quindi, non dovranno essere ripresentate.

I bandi e tutte le informazioni necessarie per eventuali candidature per i garanti o per gli altri organismi in scadenza, sono disponibili presso gli uffici della Commissione consultiva per le nomine e nell’area dedicata ai comunicati della Commissione nomine, sul sito istituzionale del Consiglio regionale.




1 impresa su 3 è guidata da donne

Un milione e 340mila imprese, 3 milioni di occupati e un forte apporto al sistema dell’istruzione e del welfare di natura privata, così importante per agevolare la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro delle famiglie.

E’ la fotografia delle imprese femminili, scattata dall’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere e InfoCamere.

Nella scelta di aprire una attività autonoma, sono molte le donne che preferiscono orientarsi verso i settori che offrono servizi alle famiglie, come quelli che si occupano di istruzione, o che operano nella sanità e nell’assistenza sociale. In questi ambiti, infatti, più di una impresa su tre è gestita da donne, con tassi di femminilizzazione, quindi, ben superiori a quello medio (22%).

“La predilezione femminile per questi settori – ha dichiarato Tiziana Pompei, vice segretario generale di Unioncamere – è confermata anche nel lavoro dipendente. Secondo le ultime previsioni Excelsior di Unioncamere e Anpal, relative alla domanda di lavoro delle imprese nel mese di gennaio, le donne continuano a essere maggiormente richieste soprattutto nei servizi alle persone (30% richieste di personale femminile). A seguire le imprese ricercano dipendenti donne soprattutto nei servizi di alloggio, ristorazione e turistici (28% richieste di personale femminile) e nel commercio (26%)”.

I dati al 30 settembre scorso mostrano che nell’Istruzione le 9.600 imprese femminili sono oltre il 30% del totale, con un aumento di circa 1.500 unità rispetto a settembre 2014.

Nel campo sanitario e dell’assistenza sociale, poi, le 17mila imprese femminili oggi esistenti rappresentano quasi il 38% del totale, con un incremento di oltre 2.400 imprese rispetto a cinque anni fa e una forte specializzazione nella cura e nell’assistenza all’infanzia.

A dimostrarlo sono le 3.400 attività femminili che gestiscono servizi di asili nido, baby-sitting e assistenza diurna per minori disabili, che sono quasi l’82% di quelle registrate (4.170) e risultano in aumento di circa 200 unità rispetto a 5 anni fa.

Questa rete di imprese dedita alla cura dei bambini si configura, insomma, come una sorta di “soccorso rosa” per i papà e le mamme lavoratrici, e risulta particolarmente numerosa e fitta in alcune regioni (Lombardia e Lazio innanzitutto), meno diffusa, invece, nelle regioni più piccole, come Valle d’Aosta, Molise  e la Basilicata.

 




Ancora scarsa la conoscenza e l’applicazione dell’economia circolare tra le imprese manifatturiere piemontesi

La principale motivazione che spinge verso i principi di economia circolare è la riduzione dei costi, il principale ostacolo la mancanza di esperienza o carenza di competenze sul tema

 

L’economia circolare rappresenta un nuovo paradigma economico emergente in grado di sostituirsi a modelli di crescita incentrati su una visione lineare, puntando ad una riduzione degli sprechi e ad un radicale ripensamento nella concezione dei prodotti e nel loro uso nel tempo. Essa rivaluta il potenziale economico degli output che oggi costituiscono solo un’esternalità negativa (rifiuti, scarti, inutilizzato) e propone di reimmetterli nel sistema, creando cicli rigenerativi.

Adottare un approccio circolare significa rivedere tutte le fasi della produzione e prestare attenzione all’intera filiera coinvolta nel ciclo produttivo, attraverso i principi base di eco-progettazione, utilizzo di energie rinnovabili, riciclo, riuso e recupero dei materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al minimo gli sprechi.

La sfida che si pone davanti al sistema produttivo risulta particolarmente importante perché richiede di adottare attività e processi di produzione e di consumo che siano sostenibili e in grado di gestire in modo consapevole ed efficiente le risorse del pianeta.

 

Per indagare il grado di conoscenza e di applicazione dei principi dell’economia circolare in Piemonte, Unioncamere Piemonte ha sottoposto un breve questionario a un campione significato di imprese manifatturiere regionali. La rilevazione è stata condotta nei mesi di ottobre e novembre e ha coinvolto 1.851 imprese aziende del territorio.

Dall’analisi effettuata è emerso come il 43% circa delle imprese manifatturiere intervistate non sia ancora a conoscenza di quelli che sono i principi base dell’economia circolare, la percentuale sale al diminuire della dimensione aziendale e risulta più elevata nei territori del nord-est, in particolare a Vercelli e Verbania.

 

A livello settoriale le carenze conoscitive più consistenti riguardano le industrie del legno e del mobile (47,8%) e quelle meccaniche (46,8%). Tra le imprese manifatturiere piemontesi che dichiarano, invece, di conoscere i principi base dell’economia circolare meno del 10% applica tali principi in maniera sostanziale, il 48% li attua solo parzialmente, mentre il 43% non li applica. Tra le realtà aziendali che applicano già i principi di economia circolare si rileva una particolare attenzione sul tema dei rifiuti, su quello della riduzione dei materiali e sul risparmio energetico.

 

Le Camere di commercio piemontesi hanno deciso quest’anno di intraprendere un primo progetto di informazione e formazione per le imprese sull’economia circolare – commenta il Presidente di Unioncamere Piemonte, Vincenzo Ilotte -. Il progetto ha come obiettivo quello di sensibilizzare le imprese e il territorio sui temi dell’economia circolare, nell’ottica di far acquisire una maggiore consapevolezza di pratiche e modelli di business sostenibili per l’ambiente che siano competitivi anche da un punto di vista economico. Sono le stesse imprese a testimoniare la necessità di un intervento su questi temi: il 43% delle aziende piemontesi dichiara, infatti, di non sapere cosa sia l’economia circolare. Il nostro dovere è rispondere alla necessità di approcciare questa tematica non solo da una prospettiva sociale”.

  

Il 31% di aziende ha già ridotto i rifiuti, il 46% sta iniziando a farlo e circa il 10% di aziende sta programmando queste azioni per il futuro. Il 45% sta già svolgendo e implementando attività di riduzione dei materiali/uso materiali riciclati/eco-design, il 20% sta pianificando queste azioni per il futuro, mentre un 10% dichiara di non avere in programma queste azioni.

 

Rispetto al risparmio energetico, il 54% delle imprese piemontesi che applicano i principi dell’economia circolare è orientato al tema del risparmio energetico, avendo già in corso o in via di implementazione le azioni di riduzione dei consumi, il 22,5% sta pianificando queste azioni per il futuro, il 9% non lo farà.

 

La principale motivazione che spinge le aziende piemontesi verso i principi di economia circolare è la riduzione dei costi (68,2% delle risposte), seguono il miglioramento dell’immagine del brand (vero soprattutto per le aziende tessili, alimentari e quelle petrolifere, plastiche, chimiche) e la risposta ad adempimenti legislativi.

 

 

Tra gli ostacoli che hanno, invece, limitato o impedito l’introduzione di pratiche di economia circolare troviamo la mancanza di esperienza o carenza di competenze sul tema (30,4% delle risposte), l’indisponibilità o insufficienza di informazioni (24,1%) e i costi elevati per introdurre l’innovazione (23,1%).

 In allegato, comunicato stampa dettagliato.




Allasia e Piastra presidente e vicepresidente dell’Aiccre

Stefano Allasia, presidente del Consiglio regionale, è stato eletto presidente della Federazione piemontese dell’Aiccre ed Elena Piastra sindaco di Settimo Torinese vicepresidente, per l’appunto dell’Associazione italiana per il Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa.

“Sono contento per questo nuovo incarico, ritengo sia prioritario che un maggior numero di amministrazioni faccia parte dell’Aicree. Per un’azione più incisiva ed efficace, è anche sicuramente necessario un  più attivo coinvolgimento degli organismi europei a cominciare dai nostri europarlamentari eletti.

È nostro compito dialogare con l’Unione europea, saperne cogliere tutte le opportunità che offre a favore dei nostri territori e farla percepire alle comunità locali quale realtà utile”: queste le parole del presidente dell’Assemblea legislativa subalpina, Stefano Allasia, al termine della seduta odierna del direttivo regionale, tenutasi a Palazzo Lascaris.

Nel corso della riunione si è parlato delle attività del programma 2020 e, in particolare, del ciclo di cinque incontri organizzato dall’Aiccre con l’Ires Piemonte “Europa presente. Vent’anni dopo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Lo scopo dell’iniziativa, che partirà con l’incontro su “Protezione della salute”, martedì 18 febbraio alla Sala conferenze di Ires a Torino, è quello di una lettura pragmatica e attuale dei diritti sanciti dalla Carta.




Istat: il 36,3% dei pensionati sotto i mille euro

Nel 2018, il numero di beneficiari resta stabile a 16 milioni rispetto al 2017. Ampia la disuguaglianza di reddito tra i pensionati: al quinto con redditi pensionistici più alti va il 42,4% della spesa complessiva. Un pensionato su quattro percepisce un reddito lordo da pensione sopra i 2.000 euro.

Oltre un terzo dei pensionati vive in coppia senza figli (35,5%), poco più di un quarto da solo (27,4%). Per quasi 7 milioni e 400mila famiglie con pensionati i trasferimenti pensionistici rappresentano più dei tre quarti del reddito familiare disponibile. 

In calo i pensionati da lavoro che dichiarano di essere occupati (-21,3% rispetto al 2011). 

La spesa per pensioni è il 16,6% del Pil

Nel 2018, i pensionati sono circa 16 milioni, per un numero complessivo di trattamenti pensionistici erogati pari a poco meno di 23 milioni. La spesa totale pensionistica (inclusa la componente assistenziale) nello stesso anno raggiunge i 293 miliardi di euro (+2,2% su variazione annuale). 

Il peso relativo della spesa pensionistica sul Pil si attesta al 16,6%, valore appena più alto rispetto al 2017 (16,5%), segnando un’interruzione del trend decrescente osservato nel triennio precedente. Infatti, dopo l’aumento del rapporto tra spesa pensionistica e Pil indotto dalla forte contrazione dell’economia negli anni di crisi (con un picco del 17,0% nel 2014), l’andamento più favorevole della crescita e il dispiegamento degli effetti delle riforme sulla spesa hanno determinato una sua riduzione fino al minimo del 16,5% nel 2017 . 

Gran parte della spesa (265 miliardi, il 91% del totale) è destinata alle pensioni IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti), legate a un pregresso contributivo proprio o di un familiare, a cui si aggiungono 4,2 miliardi erogati a copertura di 716mila rendite dirette e indirette erogate per infortuni sul lavoro e malattie professionali. Le pensioni assistenziali (invalidità civile, pensione sociale e pensione di guerra) sono circa 4,4 milioni e impegnano 23,8 miliardi.

Si riduce il rapporto tra numero di pensionati IVS e occupati, che misura il carico dei pensionati sopportato da quanti partecipano attivamente al mercato del lavoro. Nel 2018 ci sono 606 pensionati da lavoro – con pensione diretta o indiretta – ogni 1.000 persone occupate, erano 683 nel 2000. Il rapporto è diminuito di quasi 6 punti nei sei anni successivi alla riforma del sistema pensionistico del 2012, mentre nei precedenti dodici anni si era ridotto di 2 punti.

Le distribuzioni territoriali delle pensioni, dei relativi beneficiari e della composizione tra categorie di prestazioni risentono sia delle differenze nei livelli e nella dinamica dell’occupazione sia della diversa struttura per età della popolazione tra regioni, mediamente più anziana nel Nord del Paese. 

Più del 50% della spesa complessiva è erogata a residenti al Nord, soprattutto come beneficiari di pensioni IVS – il resto nel Mezzogiorno (27,8%) e al Centro (21,1%).

Anche tenendo conto delle differenze territoriali nella struttura per età della popolazione, il tasso di pensionamento risulta più elevato al Nord (262 pensionati ogni 1.000 abitanti), scende nel Mezzogiorno (257) ed è in assoluto più basso al Centro (253). In media si calcolano 259 pensionati ogni 1.000 abitanti; tale valore è più alto per le donne in conseguenza della maggiore speranza di vita che aumenta la probabilità di diventare percettrici di pensione indiretta. 

L’importo medio lordo dei singoli trattamenti nel 2018 non supera i 500 euro mensili per le pensioni assistenziali e ammonta a quasi 1.469 euro per quelle di vecchiaia (17.634 euro annui). Il reddito pensionistico, ottenuto considerando che un percettore può cumulare più trattamenti, sale in media rispettivamente a 1.175 euro e a 1.800 euro mensili.

Al 20% dei redditi pensionistici più bassi poco più del 5% della spesa 

Il 36,3% dei pensionati riceve ogni mese meno di 1.000 euro lordi, il 12,2% non supera i 500 euro. Un pensionato su quattro (24,7%) si colloca, invece, nella fascia di reddito  superiore ai 2.000 euro. 

Il divario di genere è a svantaggio delle donne, più rappresentate nelle fasce di reddito fino a 1.500 euro. La concentrazione di percettori uomini, invece, è massima nella classe di reddito più alta (3.000 euro e più) dove ci sono 266 pensionati ogni 100 pensionate (Tavola 4 in allegato). 

Le donne sono la maggioranza sia come percettrici di pensioni (55,5%) sia come pensionate (52,2%), ma ricevono il 44,1% della spesa complessiva. L’importo medio delle pensioni di vecchiaia è più basso rispetto a quello degli uomini del 36,7%, quello delle pensioni di invalidità è del 33,8%. Per le pensioni di reversibilità invece le donne percepiscono 1,5 volte l’importo degli uomini.

Lo svantaggio delle donne si spiega con il differenziale salariale dovuto a carriere contributive più brevi e a una minore partecipazione  al mercato del lavoro. Le donne sono titolari del 44,3% delle pensioni di vecchiaia, del 45,8% delle invalidità previdenziali e del 26,5% delle rendite per infortunio sul lavoro. La presenza femminile è invece dominante tra le pensioni ai superstiti (86,3%), anche per una più elevata speranza di vita, e tra le pensioni assistenziali .

Complessivamente più di due terzi dei pensionati (67,2%) beneficiano di una sola prestazione, un quarto ne percepisce due, il restante 8% tre o più. Il cumulo di più pensioni riguarda soprattutto le donne: le pensionate rappresentano il 58,6% tra i titolari di due pensioni e salgono al 69,4% tra i titolari di tre o più prestazioni. In media però il reddito pensionistico delle donne è il 27,9% in meno di quello degli uomini, differenza che sale al 36,7% per l’importo delle singole pensioni. Essere titolari di più prestazioni riduce quindi lo svantaggio rispetto agli uomini. 

La distribuzione dei beneficiari secondo il reddito da pensione mostra che il 20% di quanti percepiscono i redditi pensionistici più bassi dispone del 5,2% del totale delle risorse pensionistiche mentre il quinto più ricco ne possiede otto volte di più (42,4%).

In generale, per le donne è più frequente una presenza nel segmento più povero della distribuzione dei redditi pensionistici mentre quella  degli uomini cresce all’aumentare dei quintili: una pensionata su quattro (24,7%) appartiene al quinto con pensioni di importo più basso e solo il 13,2% si colloca in quello più elevato; per gli uomini, invece, tali quote si attestano, rispettivamente, al 15,3% e al 27,4%. 

I pensionati con redditi da pensione meno elevati risiedono soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono più diffuse le pensioni assistenziali a svantaggio di quelle da lavoro e dove il quinto di popolazione che appartiene alla fascia di reddito da pensione più basso percepisce fino a 7 mila euro lordi annui; nel Nord la soglia sale a quasi 9 mila euro. Il quinto di pensionati con redditi pensionistici più elevati percepisce al Centro e al Nord-ovest oltre 27 mila euro lordi annui, nelle Isole oltre 24 mila euro

Redditi pensionistici cresciuti molto più delle retribuzioni tra 2000 e 2018

I beneficiari dei trattamenti pensionistici di vecchiaia sono maggiormente concentrati negli ultimi due quinti (49,4%) e assorbono, complessivamente, quasi i tre quarti di questo tipo di trasferimenti (73,6%). Al contrario, quasi il 60% dei pensionati di invalidità da lavoro si colloca nei primi due quinti; inoltre, al quinto più elevato (12,6%) è destinato il 32% del reddito, quota analoga a quella che va complessivamente ai due quinti più bassi.

All’estremo opposto, i titolari di prestazioni assistenziali sono particolarmente concentrati nel primo (74%) e nel secondo quinto (24,7%) della distribuzione, riflesso della scarsa variabilità negli importi di questo tipo di prestazioni. Allo stesso modo i beneficiari di rendite corrisposte a seguito di infortunio sul lavoro (pensioni indennitarie) si collocano in grande maggioranza nel primo quinto (83,5%).

Negli ultimi anni, l’andamento dell’importo medio delle pensioni IVS ha seguito un trend crescente, frutto soprattutto del cambiamento della composizione di questa categoria di percettori: è, infatti, progressivamente aumentato il peso delle pensioni maturate nelle fasi di maggiore crescita economica – caratterizzate da una dinamica salariale favorevole – mentre è diminuito il peso dei trattamenti delle generazioni più anziane con una storia contributiva più breve e frammentata e profili salariali e contributivi mediamente più bassi. 

In termini nominali l’importo medio delle prestazioni del 2018 è aumentato del 70% rispetto a quello del 2000, con una dinamica più marcata rispetto a quella registrata dalle retribuzioni medie degli occupati dipendenti. Rispetto al 2000, infatti, le retribuzioni sono aumentate del 35% in un contesto di crisi economica che si è associata anche a provvedimenti di blocco dei rinnovi contrattuali nel settore pubblico, favorendo così l’allargamento del gap tra le due curve. 

Il progressivo raggiungimento dell’età pensionabile da parte di generazioni che possono vantare carriere lavorative più lunghe e in posizioni professionali più elevate ha favorito la redistribuzione dei redditi a vantaggio dei pensionati, contribuendo a ridurre il rischio di povertà per alcuni segmenti di famiglie più vulnerabili.

Secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro, i pensionati da lavoro che percepiscono anche un reddito da lavoro, pari a 406 mila, diminuiscono anche nel 2018 (-1,2% rispetto all’anno precedente e -21,3% dal 2011), soprattutto nelle regioni centro-meridionali. Si tratta di uomini in quasi otto casi su dieci, dei quali circa l’85% svolge un’attività lavorativa indipendente, oltre due terzi risiedono nelle regioni settentrionali mentre un terzo lavora a tempo parziale. La metà dei pensionati occupati ha al massimo la licenza media (31% per il complesso degli occupati), uno su quattro è in possesso di un diploma. Il segmento dei laureati, oltre un quinto del totale, è l’unico in aumento rispetto sia all’anno precedente sia al 2011. 

In virtù dell’aumento dei requisiti anagrafici e contributivi necessari per il pensionamento, continua a crescere anche l’età media dei pensionati che lavorano. Circa il 77% ha almeno 65 anni (53,7% nel 2011) mentre il 39,5% è over 70 (25,0% nel 2011). Tra il 2011 e il 2018 si sono invece più che dimezzati i 60-64enni. L’età media dei pensionati con redditi da lavoro supera quindi i 68 anni e mezzo (66 nel 2011), con livelli più alti per gli uomini, anche se con un differenziale in diminuzione (69 anni contro i 68 delle donne). 

Nel 2018, lavora nel settore dei servizi il 64,6% dei percettori di pensione (da lavoro) che continuano a essere occupati; di questi, meno di un terzo è impiegato nel commercio.

Il confronto con il collettivo degli occupati nel suo complesso mostra differenze significative. I pensionati che lavorano sono più spesso impiegati in agricoltura – con un’incidenza quattro volte superiore rispetto al totale degli occupati – e nel commercio (quasi una volta e mezzo superiore alla media) e risultano sovra rappresentati anche nelle attività professionali e servizi alle imprese. Nel settore istruzione e sanità e nell’industria in senso stretto, al contrario, l’incidenza è molto minore.

Oltre il 43% dei pensionati che lavorano svolge una professione qualificata (compresa nei primi tre grandi gruppi della classificazione delle professioni CP2011), una quota più alta rispetto al totale degli occupati, lo stesso si verifica per gli operai (31,0% contro 22,5%).

Considerando solo l’occupazione indipendente (85,3% dei lavoratori beneficiari di una pensione da lavoro), il 54,0% è rappresentato da lavoratori autonomi (in calo ininterrotto dal 2013), il 28,3% da liberi professionisti (in forte crescita rispetto al 2017), il 6,5% da coadiuvanti nell’azienda familiare mentre il 6,0% è formato da imprenditori, quota in diminuzione rispetto all’anno precedente. Tra l’esiguo gruppo dei dipendenti, invece, oltre la metà è operaio e circa il 30% è impiegato.




Ebano spa di Novara porta il capitale sociale di Cef publishing a un milione

Sviluppare in Italia il mercato della FAD, la formazione a distanza, con l’obiettivo di consolidare il posizionamento come principale player italiano del settore.

E’ con questi obiettivi che Ebano spa ha aumentato ad un milione il capitale sociale di CEF Publishing e l’ha trasformata in SPA.


La holding fondata e guidata dal Presidente della Piccola Industria di Confindustria Carlo Robiglio, a fine estate, aveva rilevato le quote di minoranza di CEF, diventandone proprietaria al 100%.

“Puntare sulla formazione è fondamentale per la crescita del Paese”, dichiara Robiglio. “Competenza e formazione continua saranno la chiave per l’occupazione e con CEF vogliamo fare la nostra parte. La ratio di questa scelta è nella volontà di irrobustire la capitalizzazione della società, che realizza corsi di formazione in modalità FAD per il mercato consumer.

Lavoriamo per apportare notevoli innovazioni di processo, con aspettative concrete di positive ricadute a breve, nonché innovazioni di prodotto, che a medio termine dovrebbe mettere ancor più CEF Publishing nella condizione di competere come azienda leader, nel mercato di riferimento nazionale”.

“Mai come in questa epoca – continua Robiglio – e, direi, in questo preciso momento ancor più per il nostro Paese, è fondamentale aggiornare e rafforzare continuamente le competenze. Il rischio altrimenti, in una società ipercompetitiva, è che in breve diventino obsolete, con la conseguente inevitabile fuoriuscita dal mondo del lavoro. La formazione continua a distanza può contribuire a reinserire la fascia 40/50 anni nel mondo del lavoro.


Dobbiamo passare dal concetto del ”valore del titolo” (cioè qualche cosa di acquisito e riconosciuto una volta per tutte e per la vita) al “valore della competenza” (che deve essere continuamente acquisita ed implementata) dove la formazione, insieme alla persona, diventano centrali”.

Sono i numeri a rappresentare la costante crescita del Gruppo Ebano: circa 18 milioni di fatturato nel 2018 ed una crescita negli ultimi 6 anni dell’800%, 8 società controllate, 15 partnership produttive, più di 250 dipendenti e collaboratori, una clientela media annuale che ormai supera le seimila unità per il solo business della formazione a distanza e un piano di crescita per linee interne ed esterne con investimenti nel solo 2018 di 700 mila euro.


L’azienda è stata premiata da Deloitte a maggio a Milano nella sede di Borsa Italiana con il Premio “Deloitte Best Managed Companies” (BMC): il riconoscimento rivolto alle aziende che si sono distinte per strategia, competenze, impegno verso le persone e performance, promosso da Deloitte in collaborazione con ALTIS Università Cattolica, Confindustria e ELITE, il progetto del London Stock Exchange Group che supporta lo sviluppo e la crescita delle imprese ad alto potenziale.


Il Gruppo Ebano, tramite Cef Publishing, è anche in Elite, il programma internazionale nato in Borsa Italiana nel 2012 in collaborazione con Confindustria e dedicato alle aziende più ambiziose, con un modello di business solido ed una chiara strategia di crescita. Il Gruppo è fortemente impegnato nel sociale e nella sostenibilità. La politica aziendale di Ebano, volta a perseguire alti standard in termini di sostenibilità e impatto sociale, ha permesso, attraverso la partecipata Cef Publishing, di ottenere la Certificazione b Corp®, rilasciata dalla B Corporation, l’ente non-profit americano.

I numeri di Cef Publishing

Più di quarantamila corsisti in dieci anni. Nella gran parte dei casi, destinatarie dei corsi di formazione a distanza sono donne. Accade in quattro delle cinque aree tematiche finora proposte  dai corsi di Cef Publishing: Estetica e benessere (98%), Sanità (97%), Sociale (92%), Animal care (76%). L’unica eccezione: la ristorazione. Corsi come quello per “Cuoco professionista chefuoriclasse” attraggono in pari misura uomini e donne. Non solo. La ristorazione è anche una delle due aree, insieme a Estetica e benessere, in cui i corsi di Cef Publishing/Gruppo Ebano registrano una frequenza pari ad almeno il 20% anche nelle regioni meridionali.


Tra i docenti dei corsi  lo Chef stellato Antonino Cannavacciuolo per il corso “Cuoco professionista CHEFuoriclasse” e il truccatore e imprenditore nel mondo della cosmetica Diego Dalla Palma per il corso “Professionista della Bellezza e del Benessere. Percorso Immagine”.
In generale, il tasso di maggior frequenza si rileva nel Nord Ovest (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia), con oscillazioni che, a seconda delle tematiche, vanno dal 36 al 39% degli iscritti complessivi.

I numeri degli iscritti ai corsi di Cef Publishing/Gruppo Ebano dicono che la Fad è utilizzata soprattutto da soggetti con un titolo di studio medio: diploma professionale o maturità. A seconda della tipologia di corsi, l’incidenza sul totale passa da un minimo del 26% a un massimo del 37% per la maturità e da un minimo del 29% a un massimo del 37% per il diploma professionale.
Non manca una fascia cospicua di corsisti in possesso di licenza media, così come, sul fronte opposto, una quota di laureati, con incidenza che sfiora il 10%.


Quanto all’età dei corsisti, per almeno il 70-80% si tratta di soggetti dai 17 ai 45 anni. Con partecipazione complessivamente più folta per la fascia 26-35, mentre tra i più giovani (17-25) sono particolarmente seguiti (41%) i corsi dell’area Animal care.


La formazione a distanza, tra gli altri meriti, ha quello di ridurre tempi, costi e inquinamento ambientale, in una logica di sviluppo sostenibile sempre più attuale e inderogabile. 




USA – Cina: vigilare sulle dinamiche dei flussi commerciali

Dovremo esaminare con grande attenzione i contenuti del nuovo accordo tra Stati Uniti e Cina. Dalle anticipazioni che sono state diffuse, l’intesa potrebbe alterare i flussi e le dinamiche del mercato delle commodities agroalimentari a livello mondiale.

Lo ha dichiarato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, a proposito dell’annuncio della Casa Bianca relativo alla firma, il 15 gennaio, della cosiddetta “fase uno” dell’accordo tra Stati Uniti e Cina.

Da parte statunitense è stato indicato che le autorità di Pechino hanno assunto l’impegno a far salire almeno fino a 40 miliardi di dollari in due anni le importazioni di prodotti agroalimentari dagli Usa.

“In pratica, le importazioni della Cina dovrebbero raddoppiare in valore rispetto ai livelli in essere fino all’avvio del contenzioso commerciale – ha sottolineato Giansanti – L’aumento andrebbe a scapito degli altri principali fornitori del mercato cinese: Unione europea, Australia, Argentina e Nuova Zelanda. Da parte nostra, invitiamo la Commissione Ue a valutare se la nuova intesa tra Stati Uniti e Cina rispetta in pieno le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) in materia di libera concorrenza”.

Confagricoltura ricorda, in particolare, le recenti vicende che hanno caratterizzato il commercio internazionale della soia.

A seguito del crollo delle esportazioni verso la Cina, gli Stati Uniti sono diventati il primo fornitore di soia del mercato europeo con un’incidenza di oltre il 70% sul totale delle importazioni. La percentuale risulta più che raddoppiata rispetto alla situazione in essere alla metà del 2018.

“Questa situazione è destinata a cambiare – ha aggiunto il presidente di Confagricoltura – a seguito della nuova intesa tra Stati Uniti e Cina e la prevedibile ripresa delle esportazioni di soia statunitense verso il mercato cinese. Fino all’avvio del contenzioso commerciale, il 60% delle esportazioni complessive di soia degli Usa era destinato alla Cina”.

“Dovremo verificare con attenzione gli effetti sui prezzi della rotazione dei flussi commerciali, che sembra prossima. Inoltre, a livello europeo, occorre varare un piano straordinario per l’aumento della produzione di cereali e proteine vegetali, al fine di ridurre la dipendenza dalle importazioni dai Paesi terzi”.

Confagricoltura segnala, infine, che le importazioni cinesi di soia prodotta negli Usa sono già in ripresa. Lo scorso mese di novembre, stando ai dati del ministero dell’agricoltura di Pechino, gli acquisti sono ammontati a 2,6 milioni di tonnellate: il quantitativo mensile più elevato dall’inizio del 2018.