Confindustria Novara Vercelli Valsesia, migliorano le prospettive le industrie

Migliorano le prospettive per l’industria delle province di Novara e di Vercelli. Secondo le previsioni congiunturali di Confindustria Novara Vercelli Valsesia (Cnvv) per il trimestre aprile-giugno 2023  il saldo tra la percentuale degli imprenditori che si dichiarano ottimisti e quella di coloro che sono pessimisti sull’incremento della produzione registra una crescita in entrambi i territori, salendo a 18,3 punti nel Novarese (rispetto ai 3,7 della precedente rilevazione) e a -1,1 (rispetto ai precedenti -9,6 punti) in provincia di Vercelli. I saldi ottimisti/pessimisti relativi agli ordini totali ed esteri passano rispettivamente da 6,5 a 11,3 e da -6,6 a 7,4 punti in provincia di Novara, da -18,1 a -10,5 e da -13,2 a -4,2 punti in provincia di Vercelli.

«Nonostante l’incertezza e la conseguente difficoltà di fare previsioni – commenta il presidente del Comitato Piccola Industria di Cnvv, Giorgio Baldini – le nostre aziende stanno lavorando: la tensione sulle materie prime che aveva caratterizzato i trimestri precedenti si è allentata anche se continuiamo a registrare notevoli difficoltà nel reperire manodopera specializzata. Gli impianti funzionano a livelli elevati, ma potremmo tutti lavorare meglio se ci fossero le condizioni per fare maggiori investimenti per l’ampliamento della capacità produttiva».
«Le previsioni di investimenti significativi – aggiunge il direttore di Cnvv, Carlo Mezzano – segnalano stabilità nel Novarese, con il 31% delle imprese intenzionate a farne, e un andamento altalenante in provincia di Vercelli, dove si registra un calo dal 28,9% al 25,9% rispetto al trimestre precedente. Stabili sono invece le previsioni di investimenti di sostituzione: al 52,7% nel Novarese e al 41,2% nel Vercellese».
Positive e in crescita risultano le aspettative di occupazione in entrambi i territori, con il saldo tra ottimisti e pessimisti relativo alla volontà di fare nuove assunzioni che sale da 1,9 a 20 punti in provincia di Novara e da 1,2 a 10 punti in provincia di Vercelli, mentre la percentuale di imprese che intendono fare ricorso alla cassa integrazione si contrae, nei due territori, rispettivamente dal 5,7% al 3,6% e dal 17,1% al 9,2%.
La percentuale di aziende che segnalano ritardi negli incassi rispetto ai tempi di pagamento pattuiti segnala andamenti contrastanti nelle due province, passando dal 21,7% al 17,1% in quella di Novara e dal 14,8% al 16,3% in quella di Vercelli.
I dati relativi ai principali settori produttivi, elaborati in forma aggregata e con media ponderata sulle due province, prevedono un andamento positivo nel metalmeccanico, nel chimico e nel tessile-abbigliamento, un miglioramento delle aspettative nella rubinetteria-valvolame e una maggiore incertezza nell’alimentare, dove i principali indicatori segnalano andamenti contrastanti.



Confindustria Torino, Gallina: “Non si può esludere il settore auto”

Nel Decreto Rilancio non possono mancare le misure a sostegno dell’auto – commenta Dario Gallina, Presidente dell’Unione Industriale di Torino. “La loro assenza sarebbe indice di una grave miopia, che rischierebbe di far collassare un settore fondamentale per l’economia del nostro Paese e del nostro territorio”.

Gli ultimi dati, raccolti nel contesto della crisi scaturita dall’emergenza sanitaria, mostrano un sostanziale azzeramento delle vendite. Secondo le prime stime, il 2020 rischia di registrare un calo di oltre mezzo milione di immatricolazioni, corrispondente al crollo del 25% del mercato nazionale.

“Ciò porterà delle ricadute pesantissime in termini occupazionali per una filiera che rappresenta circa il 6% del PIL italiano – aggiunge Gallina. – Per questo è importante agire con immediatezza e senza esitazioni, con interventi mirati che stimolino la domanda e la capacità produttiva, salvaguardando in questo modo la filiera e migliaia di posti di lavoro”.

“In linea con quanto già richiesto dall’Anfia e condiviso da tutte le categorie sindacali, chiediamo – aggiunge il Presidente degli industriali torinesi – che sia immediatamente previsto un incentivo per l’acquisto di auto e veicoli commerciali in stock da parte di cittadini e imprese: l’immobilizzazione delle vetture nei concessionari, infatti, rischia di rallentare la ripresa delle attività produttive, con le prevedibili ricadute economiche e sociali. Inoltre, per coniugare le esigenze ambientali e commerciali con quelle della filiera, servono incentivi per l’acquisto di vetture eco-compatibili, sia di livello alto, sia per quanto riguarda quelle di fascia più bassa, che in particolare include i modelli prodotti nel nostro Paese”.

In Piemonte operano circa 750 imprese automotive, pari al 35% dell’intero comparto nazionale, con oltre 70mila occupati diretti e indiretti e un fatturato che, prima dell’emergenza, costituiva circa il 40% di quello totale del settore. A seguito dell’emergenza, attualmente i lavoratori meccanici in cassa integrazione nel nostro territorio sono circa 50mila.

“Il futuro dell’automotive – conclude Gallina – si decide ora, per questo serve una visione complessiva di politica industriale e un progetto di sviluppo a lungo termine.

Se oggi il Governo perdesse l’occasione di inserire incentivi alla domanda, potremmo non essere in grado di attenuare l’impatto di questa crisi, che ha colto il settore auto proprio mentre cambiava pelle, in un momento di epocale transizione tecnologica. Ora la sfida è quella di proseguire sulla strada verso una sempre maggiore sostenibilità, salvaguardando l’occupazione e la sopravvivenza delle nostre imprese”.

 




Le Rsa chiedono sostegno economico. Audizione delle associazioni imprenditoriali di settore

Nelle residenze sanitarie assistite mancano infermieri, i costi sono aumentati per far fronte all’acquisto di strumenti e dispositivi di protezione e l’occupazione dei posti letto è diminuita.

Questi alcuni dei problemi segnalati nell’audizione dei rappresentanti di ANASTE (Associazione nazionale strutture terza età), UNEBA (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale), Legacoop, Confcooperative, AGCI (Associazione generale cooperative italiane), Confapi Sanità e Confindustria davanti al gruppo di lavoro che sta svolgendo l’indagine conoscitiva sulla gestione dell’emergenza sanitaria, presieduto da Daniele Valle.

Per Confindustria da parte della Regione c’è stata e c’è attenzione, ma serve un sostegno economico perché le misure adottate per contrastare la pandemia hanno comportato sforzi definiti insostenibili per le aziende. E poi va rivalutata l’importanza delle strutture sul territorio: con un miglior funzionamento di queste ultime, gli ospedali non andrebbero in affanno come avvenuto.

Confapi ha precisato che oggi nelle Rsa i problemi di marzo non si verificano più, ci sono il 3,5 per cento di contagi tra il personale e il 5 per cento tra gli ospiti, ma restano aperte una serie di questioni. Ad esempio il  monitoraggio per isolare il virus, la carenza di infermieri disponibili, le lacune della medicina territoriale, la mancata revisione delle tariffe. A questo si aggiunge il fatto che le assicurazioni si stanno rifiutando di stipulare polizze con le Rsa, che in caso di dovuto indennizzo rischierebbero dunque il fallimento, obbligando gli operatori a rivolgersi a compagnie straniere per ricevere le coperture adeguate.

Per Anaste punto centrale è la revisione del piano tariffario, con una retta media di 85 euro giornalieri è impensabile poter assistere persone non autosufficienti garantendo servizi di qualità. Confcooperative ha parlato di un modello organizzativo non adeguato, che sconta mancanze strutturali e che non prevede regole univoche su tutto il territorio regionale. Inoltre, è stato rilevato che su 780 presidi autorizzati, sembrano avere dignità solo quelli che ospitano anziani che hanno diritto alla quota di compartecipazione sanitaria, 14 mila ospiti su un totale di circa 45 mila.

Sulla necessità di ripensare a riqualificare il personale, in particolare gli operatori socio sanitari (OSS), perché vengano formati ad esempio per somministrare terapie, si è espressa anche Agci, che ha ricordato come in Lombardia la sperimentazione abbia dato buoni risultati, risolvendo in parte la carenza di infermieri.

Gli auditi hanno sottolineato che da quando il presidente Alberto Cirio ha preso in mano la situazione delle Rsa c’è stata un’accelerazione nella soluzione dei problemi, che la piattaforma digitale funziona. Ciò consente di non dover più rincorrere i referti. Inoltre i tamponi rapidi, di cui si attende la seconda fornitura, stanno funzionando nell’individuare e isolare più velocemente i positivi, ma è importante che il tamponamento sia fatto in maniera sistematica. Manca, hanno precisato, il terzo anello: trovare strutture idonee dove evacuare temporaneamente i casi positivi per la quarantena, per poi farli rientrare in Rsa.

Sono intervenuti per porre domande il presidente Valle, i consiglieri Valter Marin e Alessandro Stecco (Lega), Monica Canalis e Domenico Rossi (Pd), Marco Grimaldi (Luv) e Francesca Frediani (M5s).




Confindustria Piemonte: Le previsioni delle imprese piemontesi per il terzo trimestre 2021

L’indagine congiunturale trimestrale, realizzata a giugno da Confindustria Piemonte e dall’Unione Industriale di Torino, conferma e rafforza i segnali di miglioramento già delineati a marzo. La ripresa sta acquistando velocità, coinvolgendo anche settori, territori e tipologie dimensionali che nei mesi scorsi avevano manifestato maggiore incertezza.

Tutti gli indicatori registrano un buon progresso, rispetto a marzo, sia nel manifatturiero che nel terziario. Le 1.200 imprese del campione si attendono, per i prossimi mesi, una crescita di attività e ordini: i saldi complessivi riferiti a produzione e ordinativi migliorano di oltre 10 punti percentuali, dopo i 17-18 punti guadagnati a marzo. Molto significativa l’accelerazione dell’export, dopo un lungo periodo di difficoltà. Diminuisce considerevolmente il ricorso alla CIG (che sta ritornando su livelli fisiologici); aumenta la quota di imprese che hanno in programma investimenti significativi. In ulteriore salita il tasso di utilizzo di impianti e risorse, tornato sui valori medi di lungo periodo. Si rafforzano notevolmente anche le attese delle imprese di minori dimensioni (sotto i 50 addetti), anche se gli indicatori rimangono meno positivi rispetto alle grandi imprese.

Nel manifatturiero, il 30,5% delle imprese prevede un aumento della produzione, contro il 12,7% che si attende una diminuzione. Il saldo (pari a +17,8 punti percentuali) migliora di 9,2 punti rispetto a marzo. Analoghe le previsioni sugli ordinativi: il 32,6% si attende un aumento, il 14,1% una riduzione. In forte accelerazione l’export: il saldo sale a +11 punti dagli zero punti di marzo. Sale di oltre tre punti il tasso di utilizzo degli impianti (74,9%), vicino al pieno utilizzo. Si rafforzano gli investimenti: la percentuale di aziende con programmi di spesa di un certo impegno aumenta di quasi 4 punti, riportandosi sui livelli del 2018 (30,1%). Cala di oltre 10 punti il ricorso alla CIG (17,3%), che ritorna quasi ai valori pre crisi.
Le attese migliorano in tutti i settori. Spicca l’ottima performance della metalmeccanica: l’indicatore relativo alla produzione sfiora i 30 punti percentuali, rafforzandosi ulteriormente rispetto a marzo. In particolare, le attese si consolidano nei comparti dei prodotti in metallo e della meccatronica.

Bene alimentare e manifatture varie (gioielli, giocattoli, ecc.). In recupero il tessile-abbigliamento: il saldo ottimisti-pessimisti ritorna in zona espansiva dopo 12 trimestri. Migliorano anche le attese delle imprese chimiche e della gomma-plastica. Si consolidano le aspettative di edilizia e indotto (impiantisti ecc.).
A livello territoriale, le previsioni si rafforzano in tutte le aree. Il miglioramento degli indicatori è particolarmente marcato a Cuneo (+16 punti rispetto a marzo), Asti (+15 punti), Alessandria (+13 punti), Novara (+12 punti). Bene anche Vercelli e Verbania. A Torino le attese si mantengono positive ma con indicatori più prudenti rispetto alla media regionale. Un caso a parte è Biella: sulla spinta del comparto della moda i saldi ottimisti-pessimisti ritornano al di sopra del livello di equilibrio tra espansione e contrazione dell’attività dopo oltre tre anni.

Nei servizi il miglioramento del clima di fiducia è ancora più sensibile. L’indicatore relativo ai livelli di attività guadagna 18 punti rispetto alla rilevazione di marzo. Il 28,9% delle aziende si attende un aumento dei livelli di attività, solo il 7,0% una riduzione. Indicazioni analoghe riguardano gli ordinativi. Accelerano gli investimenti: il 23,6% delle imprese ha in programma investimenti rilevanti. Diminuisce in misura marcata il ricorso alla CIG: (12,4% dal 20,1% di marzo. Significativa la forte riduzione della quota di imprese che segnalano ritardi nei pagamenti (24,1% dal 32,8% di marzo). A registrare un miglioramento più marcato delle aspettative sono i comparti del commercio, dell’ICT e dei servizi alle imprese; buoni progressi per i servizi alle persone, più incerto il settore della logistica.

Commenti sulle previsioni del terzo trimestre 2021
Giorgio Marsiaj, Presidente dell’Unione Industriale di Torino: «La nostra indagine conferma che anche a livello locale, finalmente, possiamo iniziare a costruire la ripresa. Superata l’emergenza, ora è il momento di dare a questa fase espansiva delle basi solide che la rendano sostenibile anche nel medio e lungo periodo. Questa crisi ci ha insegnato a collaborare: lavoratori, imprese e istituzioni, per mantenere la coesione sociale e territoriale messa a rischio dalla natura fortemente asimmetrica della recessione. Le cicatrici lasciate dalla crisi restano tuttavia profonde: per ricostruire occorre indirizzare le energie del Paese e del nostro territorio verso la crescita e l’attrattività del nostro sistema produttivo, puntando su quei grandi progetti che stanno definendosi in Piemonte: penso ad esempio al nuovo Centro nazionale per la mobilità sostenibile, alla Città dell’aerospazio, e alla Città della salute».

Marco Gay, Presidente di Confindustria Piemonte: «L’indagine ci permette di guardare con fiducia ai prossimi mesi. Insieme alla chiara volontà del tessuto industriale piemontese, i driver della ripresa sono soprattutto quattro: il contenimento della pandemia attraverso la campagna vaccinale, la ripresa globale, l’intenzione delle imprese di investire e l’avvio del PNRR con l’arrivo della prima tranche di aiuti già prima dell’estate, senza dimenticare la programmazione regionale 2021-2027. L’Europa è uscita rafforzata dalla crisi: non era scontato che venisse approvato un programma di spesa ambizioso e sfidante. È stata una conferma del fatto che solo attraverso una maggiore integrazione i paesi europei potranno giocare da protagonisti sulla scena mondiale. Oggi abbiamo gli strumenti per trasformare la ripartenza in ripresa».

Riportiamo in dettaglio i principali risultati dell’indagine.

Comparto manifatturiero
Per le circa 840 aziende del campione, si rafforza l’ottimismo per il prossimo futuro. Le previsioni per il III trimestre 2021 su produzione, ordini, export e occupazione, già positive a marzo, registrano un deciso miglioramento. Frena il ricorso agli ammortizzatori sociali, che interessa ora il 17% delle imprese.

In particolare, il saldo sulla produzione totale passa da +8,6% a +17,8% e quello sugli ordinativi totali da +7,2% a +18,5%. Le attese sull’export passano da +0,1% a +11,1%. Positive anche le previsioni sull’occupazione, il cui saldo passa da +5,8% a +12,4%.
Pur in un contesto di ripresa, si conferma la correlazione tra produzione e propensione alle esportazioni: tutte le imprese, di ogni dimensione, presentano saldi positivi tra ottimisti e pessimisti, ma quelle che non commerciano con l’estero faticano comunque un po’ di più. Le piccolissime esportatrici, che vendono all’estero meno del 10% del fatturato, registrano un saldo ottimisti pessimisti del +10,0%, le piccole che esportano dal 10 al 30% del fatturato totalizzano +18,3%. Per le medie esportatrici, che esportano tra il 30 e il 60% del fatturato, il saldo è +16,3%, mentre per le grandi (oltre 60% del fatturato) è +32,2%.
Resta ampio il divario tra la performance delle imprese con oltre 50 addetti e quelle più piccole, con saldi rispettivamente pari a +26,6% (era +20,5% a marzo) e +13,2% (era +2,5%).

Si attenua considerevolmente il ricorso alla CIG, per la quale fa richiesta il 17,3% delle aziende (dal 28,1% della scorsa rilevazione, a marzo).
Il 30,1% delle rispondenti ha programmi di investimento di un certo impegno (erano il 26,3% a marzo). Recupera il tasso di utilizzo della capacità produttiva, che passa dal 71,1% al 74,9%.

Varia un poco la composizione del carnet ordini, in particolare calano le aziende con ordini per meno di un mese (16,2%). Aumentano invece quelle con visibilità 1-3 mesi (4,8%), quelle che hanno ordinativi per un periodo di 3-6 mesi (20,1%) e oltre i 6 mesi (13,9%).
Stabili i tempi di pagamento che sono in media di 81 giorni; per la Pubblica Amministrazione i tempi medi sono di 88 giorni. È fornitore degli enti pubblici circa il 18% delle aziende manifatturiere. Cala ulteriormente il numero di imprese che segnalano ritardi negli incassi (21,4%).

A livello settoriale la metalmeccanica registra un marcato miglioramento, con un saldo tra ottimisti e pessimisti di oltre 5 punti in più rispetto a dicembre (+27,7%); recuperano, in particolare, prodotti in metallo (+36,5%), macchinari e apparecchi (+18,6%), industria elettrica (+11,5%) e metallurgia (+30,3%). Si assesta l’automotive, pur restando in territorio positivo (+4,3%).

Tra gli altri comparti manifatturieri, spicca l’andamento di alimentare (+19,8%), gomma-plastica e chimica (rispettivamente +11,1% e +10,0%) edilizia (+14,7%) e impiantisti (+18,8%). Bene anche manifatture varie (+20,5%), cartario-grafico (8,1%), legno (+13,3%). Sembra riprendersi, dopo 10 trimestri, il tessile-abbigliamento, che registra un saldo ottimisti-pessimisti del 7,6%.

A livello territoriale gli indicatori restano positivi in tutte le aree; la performance migliore si registra a Cuneo, Asti, Alessandria e Novara (con saldi, rispettivamente, del 24,1%, 25,0%, 15,8% e 29,9%). Bene anche Vercelli e Verbania (rispettivamente 13,0% e 30,0%). A Torino le attese restano prudenti (10,7%), mentre a Biella il clima di fiducia torna positivo (6,6%), dopo un lungo periodo di incertezza.

 

Comparto dei servizi
Per le 356 aziende del campione si registrano indicatori in consolidamento, dopo la già buona performance di marzo.
In particolare, il saldo ottimisti-pessimisti sui livelli di attività passa da +4,2% a +21,9%. Quello sugli ordini totali passa da +2,6% a +19,4%. Migliora il saldo sull’occupazione da +5,2% a +17,1%. Le imprese con programmi di investimento di un certo rilievo passano da 19,4%, a 23,6%.
Cresce ulteriormente il tasso di utilizzo delle risorse (80%), cala di oltre 7 punti il ricorso alla CIG (12,4%).

Anche nel terziario si registra qualche variazione per la composizione del carnet ordini. Scendono al 13,0% le aziende con ordini per meno di un mese, il 34,1% ha ordinativi per un periodo di 1-3 mesi, il 21,5% per 3-6 mesi, mentre il 31,4% ha visibilità oltre i 6 mesi. Migliorano i tempi di pagamento. La media è di 66 giorni: il ritardo sale a 90 per la Pubblica Amministrazione, con cui ha rapporti di fornitura circa il 45% delle aziende del campione. In calo di oltre 8 punti le imprese che segnalano ritardi negli incassi (24,1%).
A livello settoriale, con la riapertura dopo il lungo lockdown, riparte il settore del commercio e turismo (il saldo passa da -15,6% di marzo a +30,2%); buon andamento per servizi alle imprese e ICT (rispettivamente +33,3% e 23,9%), utility (+13,6%) e gli altri servizi (+13,6%). Ancora prudente il comparto della logistica (+6,6%).

 




Nati-mortalità delle imprese piemontesi: -1517 aziende nel 2019

La performance peggiore viene registrata dalle imprese dell’agricoltura e del commercio In base ai dati del Registro imprese delle Camere di commercio, emerge come nel 2019 siano nate 25.972 aziende in Piemonte, a fronte delle 24.156 nuove iscrizioni registrate nel corso del 2018.

Al netto delle 27.489 cessazioni (valutate al netto delle cancellazioni d’ufficio, in leggero aumento rispetto alle 26.136 del 2018), il saldo appare negativo per 1.517 unità.

Lo stock di imprese complessivamente registrate a fine dicembre 2019 presso il Registro imprese delle Camere di commercio piemontesi ammonta così a 428.457 unità, confermando il Piemonte in 7ª posizione tra le regioni italiane, con il 7,0% delle imprese nazionali.

Il bilancio tra nuove iscrizioni e cessazioni si traduce in un tasso di crescita del -0,35%, lievemente migliore rispetto al dato registrato nel 2018 (-0,45%), e ancora in controtendenza rispetto alla mediaitaliana (+0,44%) del 2019.

Tra le regioni, la crescita più sensibile in termini assoluti si registra, ancora una volta, nel Lazio (con 9.206 imprese in più rispetto al 2018, corrispondenti a un tasso di crescita dell’1,4%, il migliore tra le regioni), seguito da Campania (5.746) e Lombardia (+5.073). Sul fronte opposto, oltre al Piemonte (-1.517), sono Emilia-Romagna (-1.431) e Marche (-909) le regioni che hanno fatto segnare le contrazioni più apprezzabili nel numero di imprese registrate mentre, in termini percentuali, a segnare maggiormente il passo è stato il Friuli Venezia Giulia (-0,7%).

“Il tasso di crescita delle imprese piemontesi è ancora negativo, e soprattutto in controtendenza rispetto al dato italiano: nel 2019 abbiamo perso oltre 1.500 imprese. L’ossatura del sistema produttivo regionale continua, infatti, ad essere costituita soprattutto da aziende di piccole e medie dimensioni, pur ospitando anche realtà più grandi: sicuramente la frammentazione produttiva non ha aiutato le imprese del territorio a resistere al meglio alle prolungate difficoltà.

Le Camere di commercio, in sinergia con gli altri attori istituzionali, continueranno a offrire tutti gli strumenti necessari per porre fine a questo trend, grazie a servizi di accompagnamento all’imprenditorialità, match tra domanda e offerta lavorativa e know how innovativo” commenta Vincenzo Ilotte, Presidente Unioncamere Piemonte. Non emergono novità di rilievo analizzando la natimortalità delle imprese per classe di natura giuridica.

A conferma di un trend ormai consolidato, infatti, il bilancio del tessuto imprenditoriale resta positivo quasi esclusivamente per merito delle imprese costituite in forma di società di capitale, che hanno registrato nel 2019 un tasso di crescita del +2,58%. Continuano a ridursi, invece, le società di persone (-2,19%) e le ditte individuali (-0,56%), stabile invece l’aggregato delle altre forme (-0,04%).

alutando i tassi annuali di variazione percentuale dello stock delle imprese registrate per settori di attività economica, si osserva come, anche nel 2019, gli altri servizi abbiano sperimentato la performance migliore (+1,44%), seguiti dal comparto del turismo (+0,51%). Negativo l’andamento segnato da tutti gli altri comparti. In particolare l’agricoltura (-1,76%) e il commercio (-1,60%) registrano le contrazioni più elevate. L’industria in senso stretto evidenzia un tasso di variazione del -1,19%; meno intenso il calo delle costruzioni (-0,38%)

Le imprese artigiane nel 2019 Concentrando l’attenzione sull’aggregato costituito dalle imprese artigiane emerge come, anche nel 2019, queste realtà costituiscano una fetta importante del tessuto produttivo regionale e nazionale. Le oltre 115mila aziende artigiane presenti sul territorio piemontese rappresentano circa il 27% delle imprese totali della regione. La presenza artigiana risulta più forte nel nostro territorio rispetto alla media delle altre regioni italiane.

A livello nazionale, infatti, l’artigianato raccoglie il 21,3% delle realtà imprenditoriali. L’anno appena concluso è stato ancora critico per questa parte del sistema imprenditoriale locale che ha registrato un tasso di crescita del -0,51%, risultato lievemente peggiore rispetto a quello del tessuto imprenditoriale preso nel complesso, ma in miglioramento se confrontato con la performance evidenziata dalle aziende artigiane nel 2018 (-1,12%).




Nasce #UIDatastream, la nuova rubrica social dell’Unione Industriale di Torino

Una raccolta di dati e un’illustrazione sintetica degli indicatori economici del Piemonte di più diretto interesse per le imprese. Si inizierà con un focus sulle singole province per proseguire poi su approfondimenti settoriali sull’andamento dell’economia locale.

Sono questi i contenuti di #UiDatastream, la rubrica social avviata dall’area Comunicazione insieme al Servizio Studi Economici dell’Unione Industriale di Torino.

Il nuovo format, che sarà disponibile sui canali social dell’Unione Industriale già da oggi, vuole ripensare la comunicazione dei dati economici: un modo immediato e interattivo di raccontare il nostro territorio, analizzandone punti di forza e debolezze, in una fotografia dello stato di salute del mondo industriale piemontese.

Ogni puntata – che sarà trasmessa il martedì e il giovedì alle ore 12 – prenderà in considerazione l’economia di una provincia, sulla base degli indicatori disponibili.

L’Ufficio Studi economici dell’associazione ha sviluppato una raccolta di analisi sulla base delle congiunture economiche dell’ultimo anno nelle diverse province piemontesi. Spunti di riflessione – questi – particolarmente interessanti in un momento in cui si sta scrivendo il futuro della nostra vocazione industriale. La ripresa ancora incerta dopo i mesi di lockdown che hanno compromesso la sussistenza di molte attività produttive, le misure necessarie per la ripartenza, i settori di eccellenza su cui puntare trovano così una nuova chiave di lettura.

Il primo appuntamento è online oggi sui canali LikedIn e Youtube dell’Associazione, inaugurando il format con un focus sull’economia della Regione Piemonte nel suo complesso.




Le previsioni delle imprese piemontesi per il primo trimestre 2021

Il 2020 è stato un anno particolare da tutti i punti di vista, caratterizzato da una crisi di profondità e natura assolutamente eccezionali.

Il PIL piemontese diminuirà quest’anno di oltre il 10%: una caduta leggermente superiore a quella stimata a livello nazionale. In forte flessione investimenti e consumi delle famiglie, in crisi l’export data la portata globale della recessione. La prevista ripresa 2021, pur robusta, sarà comunque insufficiente a ritornare sui livelli pre-crisi: ci vorranno ancora almeno due anni.

L’indagine congiunturale trimestrale, realizzata a dicembre da Confindustria Piemonte e dall’Unione Industriale di Torino conferma il clima di grande incertezza e cautela in cui operano le nostre imprese.

Nel complesso gli indicatori non si discostano in misura apprezzabile da quelli di settembre; a fronte di saldi ottimisti-pessimisti praticamente immutati, oltre la metà delle imprese non segnala variazioni rispetto al trimestre in corso. D’altra parte, si registra un sensibile scostamento tra manifattura e servizi: nel primo caso gli indicatori sono allineati o lievemente più favorevoli rispetto a settembre; nei servizi, invece, il clima di fiducia peggiora in modo piuttosto marcato, soprattutto a Torino.

Le oltre 1.200 imprese del campione si attendono, per i prossimi mesi, condizioni di mercato ancora problematiche e incerte. Nel complesso gli indicatori aggregati non si discostano da quelli rilevati a settembre: produzione e ordini restano in calo, mentre qualche miglioramento è riferibile a CIG (in lieve calo) e investimenti (in aumento di 4 punti percentuali).

Nel comparto manifatturiero, il 15,7% delle imprese prevede un aumento della produzione, contro il 26,2% che si attende una diminuzione. La grande maggioranza (58,1%) non si aspetta variazioni. Il saldo (pari a -10,5 punti percentuali) migliora di un punto rispetto a settembre. Sostanzialmente analoghe le previsioni sugli ordinativi: il 16,6% si attende un aumento, il 29,5% una riduzione, mentre il 53,9% non prevede variazioni. Si attenua la caduta dell’export.

Il saldo ottimisti-pessimisti è negativo (-8,3 punti), ma il 64% delle aziende prevede stabilità. Aumenta il tasso di utilizzo degli impianti, che guadagna un punto rispetto a settembre, pur restando al di sotto della media storica. Resta negativo l’andamento della redditività. Migliora sensibilmente la situazione dei pagamenti: la percentuale di imprese che segnalano ritardi diminuisce di oltre 7 punti, dopo il miglioramento di quasi 20 punti osservato a settembre. Cala ulteriormente (oltre 4 punti) il ricorso alla CIG (35%), che rimane comunque decisamente elevato in prospettiva storica.

Nella maggior parte dei settori prevale un clima di attesa, con indicatori ancora recessivi sia pure generalmente migliori di quelli rilevati a settembre. È il caso del tessile-abbigliamento, dei minerali non metalliferi, delle industrie manifatturiere varie e della carta grafica. Nell’alimentare il peggioramento degli indicatori riflette le stagionalità tipiche del comparto, dopo il boom natalizio. Nella metalmeccanica le aspettative restano sfavorevoli, con indicatori in linea con quelli di settembre ma con importanti differenze tra i diversi segmenti.

Nella meccanica strumentale le attese sono recessive: la ripresa degli investimenti è lontana. Sostanziale stabilità nel comparto automotive e in quello dei prodotti in metallo; negative le valutazioni dell’industria elettrica e della metallurgia.

Nel comparto dei servizi gli indicatori peggiorano in misura piuttosto sensibile rispetto a settembre. Come nel manifatturiero, la grande maggioranza delle imprese non prevede variazioni nel livello di attività (59%); il 15,1% si attende un aumento, il 25,7% una riduzione. Il saldo ottimisti-pessimisti peggiora di 8 punti rispetto a settembre (-10,6%). Indicazioni del tutto analoghe riguardano gli ordinativi: anche in questo caso quasi il 60% delle aziende si attende un portafoglio ordini stabile. Sostanzialmente stabili tasso di utilizzo delle risorse aziendali (77%) e ricorso alla CIG (26,7%), ancora elevato per gli standard del settore. In calo di qualche punto la quota di imprese che segnala ritardi nei pagamenti (39,7%).

Il peggioramento osservato a livello regionale nasce da andamenti molto diversi tra Torino e resto del Piemonte. A livello torinese, infatti, le attese delle imprese dei servizi peggiorano in modo molto sensibile: il saldo ottimisti-pessimisti relativo ai livelli di attività arretra di 18 punti rispetto a settembre. Nelle altre province, al contrario, l’indicatore non si discosta molto da livello di equilibrio ed è allineato al valore osservato tre mesi fa.

A livello territoriale nella manifattura gli indicatori non si muovono in modo uniforme. Ad Alessandria, Cuneo e Verbania il clima di fiducia rimane sfavorevole, con un lieve miglioramento delle prospettive. Analogo trend è riferibile a Biella, dove però il quadro è decisamente più negativo, con un elevato ricorso alla CIG. Ad Asti e Vercelli si riscontra un sensibile peggioramento del clima di fiducia. A Torino, Ivrea e Novara gli indicatori sono sostanzialmente allineati a quelli di settembre, ma in un clima complessivo di impronta diversa: più positivo a Novara, più prudente nelle altre aree.

“Ci troviamo – commenta Marco Gay, Presidente di Confindustria Piemonte – in una fase di attesa ed incertezza. È quindi chiaro che il recupero a livello economico avverrà in modo non graduale. L’obiettivo realistico è un ritorno ai livelli di attività pre-crisi nel 2023. Fino ad allora manifattura, automotive, infrastrutture e tecnologia vanno difesi e rafforzati, puntando sui progetti strategici di grande impatto che il nostro territorio sta portando avanti e che potranno essere realizzati anche grazie al programma Next Generation Eu, che confidiamo tenga il Piemonte in grande considerazione.

Si tratta dello strumento perfetto per avviare la transizione, la ripartenza e la ripresa di questo territorio. Un percorso in cui le imprese faranno la loro parte, ed avranno un ruolo centrale. Lavoriamo ogni giorno perché queste risorse possano rafforzare e rendere concreta l’attrattività del Piemonte”.

«Le decisioni che verranno prese nei prossimi mesi saranno cruciali per definire il percorso di ripresa della nostra economia. In questa fase di emergenza – commenta il Presidente dell’Unione Industriale di Torino, Giorgio Marsiaj – la politica economica è stata decisiva per consentire a famiglie e imprese di limitare i danni. Anche nel 2021 sarà necessario il supporto di una politica monetaria accomodante e di interventi fiscali espansivi. La capacità di impegno e di spesa dei fondi europei, a partire naturalmente dal Next Generation EU, sarà fondamentale. Per il nostro Paese può essere questa un’occasione che non è esagerato definire unica e irripetibile, per riattivare i meccanismi dello sviluppo dopo 25 anni in cui abbiamo accumulato un gap di crescita di oltre 20 punti di Pil rispetto ai nostri partner europei».

Riportiamo in dettaglio i principali risultati dell’indagine.

Comparto manifatturiero.
Per le oltre 900 aziende del campione, non si attenua la negatività delle attese. Le previsioni per il quarto trimestre 2020 su produzione, ordini, export e occupazione sono ancora negative, in linea con la rilevazione di settembre. Rallenta il ricorso agli ammortizzatori sociali, che interessa il 35% delle imprese.
In particolare il saldo sulla produzione totale passa da -11,5% a -10,5% e quello sugli ordinativi totali da -13,3% a -12,8%. Le attese sull’export passano da -14,5%a -8,3%. Stabili anche le previsioni sull’occupazione, il cui saldo passa da -4,5% -4,1%.
In questa situazione di incertezza, si accentua la correlazione tra produzione e propensione alle esportazioni: tutte le imprese, di ogni dimensione, subiscono una battuta di arresto, ma quelle che non commerciano con l’estero soffrono in misura decisamente maggiore. Le piccolissime esportatrici, che vendono all’estero meno del 10% del fatturato, registrano un saldo ottimisti pessimisti fortemente negativo (-17,5%), le piccole che esportano dal 10 al 30% del fatturato totalizzano -13,7%. Per le medie esportatrici, che esportano tra il 30 e il 60% del fatturato, il saldo è -2,3%, mentre per le grandi (oltre 60% del fatturato) è -3,4%.
Cresce l’ampiezza del divario tra la performance delle imprese con oltre 50 addetti e quelle più piccole, con saldi rispettivamente pari a +6,5% (era +6,7% a settembre) e -19,2% (era -20,2%).

Si attenua il ricorso alla CIG, per la quale fa richiesta il 35,5% delle aziende (dal 39,2% della scorsa rilevazione, a settembre).
Il 20,7% delle rispondenti ha programmi di investimento di un certo impegno (erano il 16,1% a giugno). Recupera il tasso di utilizzo della capacità produttiva, che passa dal 69,3% al 70,5%.

Varia un poco la composizione del carnet ordini, in particolare calano le aziende con ordini per meno di un mese (26,5%) e aumentano quelle con visibilità 1-3 mesi (49,2%). Restano più o meno stabili quelle che hanno ordinativi per un periodo di 3-6 mesi (14,7%) e oltre i 6 mesi (9,6%).

Si assestano i tempi di pagamento che, dopo un temporaneo aumento, tornano di 83 giorni; per la Pubblica Amministrazione i tempi medi sono di 91 giorni. È fornitore degli enti pubblici circa il 18% delle aziende manifatturiere. Cala significativamente il numero di imprese che segnalano ritardi negli incassi (28,8%).
A livello settoriale la metalmeccanica registra un saldo ancora negativo tra ottimisti e pessimisti (-11,3%); soffrono in particolare metallurgia (-12,1%) e macchinari e apparecchi (-19,0%), industria elettrica (-12,5%). Prosegue il recupero dell’automotive (+3,7%).

Tra gli altri comparti manifatturieri, spicca l’andamento ancora negativo di legno (-26,7%), cartario-grafico (-13,3%), tessile-abbigliamento (-16,4%), manifatture varie (-8,9%), edilizia (-10,8%), impiantisti (-6,1%) e alimentare (-11,0%). Recupera leggermente la chimica (-13,0%), mentre resta positivo l’andamento della gomma-plastica (+6,1%), unico comparto con segno positivo, insieme all’automotive.
A livello territoriale gli indicatori ad Alessandria, Cuneo e Verbania migliorano leggermente, pur rimanendo negativi (con saldi rispettivamente -9,5%, -10,2% e -4,5%). Anche a Biella si registra un saldo meno negativo rispetto a settembre (da -28,2% a -20,3%), ma con una situazione un po’ più critica ed un elevato ricorso agli ammortizzatori sociali. Peggiora il clima di fiducia ad Asti e Vercelli (rispettivamente da -2,9% a -20,6% e da -10,8% a -22,8%), mentre a Torino e Ivrea gli indicatori sono sostanzialmente allineati a quelli di settembre (rispettivamente -5,8%, -3,2%). Unica zona in territorio positivo è Novara, con un saldo ottimisti pessimisti di +2,2%.

Comparto dei servizi
Per le 350 aziende del campione si confermano indicatori negativi, come a marzo e giugno.
In particolare, il saldo ottimisti-pessimisti sui livelli di attività passa da -2,6% a -10,6%. Quello sugli ordini totali passa da -5,2% a -10,9%. Migliora il saldo sull’occupazione da -2,3% a +4,3%. Le imprese con programmi di investimento di un certo rilievo passano da 15,2%, a 17,5%.
Stabili il tasso di utilizzo delle risorse (77%), e il ricorso alla CIG (26,7%).
Anche nel terziario si registra qualche variazione per la composizione del carnet ordini. Salgono al 18,3% le aziende con ordini per meno di un mese, il 33,8% ha ordinativi per un periodo di 1-3 mesi, il 17,4% per 3-6 mesi, mentre salgono a 30,5% quelle con visibilità oltre i 6 mesi. Migliorano i tempi di pagamento. La media è di 68 giorni: il ritardo sale a 93 per la Pubblica Amministrazione, con cui ha rapporti di fornitura circa il 45% delle aziende del campione. In calo le imprese che segnalano ritardi negli incassi (40%).
A livello settoriale, com’era prevedibile, dopo la ripresa di settembre, crollano nuovamente i trasporti, a causa delle limitazioni dovute al Covid-19 (-30,6%). Si conferma il buon andamento di utility (+13,6%) e servizi alle imprese (+9,4%). Negativi altri servizi (-8,8%), ICT (-10,6%) e commercio e turismo (-22,4%).

 

 




Confindustria Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto bocciano il Decreto Energia

I Presidenti Francesco Buzzella (Confindustria Lombardia), Enrico Carraro (Confindustria Veneto), Pietro Ferrari (Confindustria Emilia-Romagna) e Marco Gay (Confindustria Piemonte) a seguito delle misure approvate dal Consiglio dei Ministri per arginare il caro energia, esprimono profonda insoddisfazione e preoccupazione.
Pur nella consapevolezza che l’intero sistema industriale italiano è a rischio paralisi tra aumenti delle materie prime, difficoltà di approvvigionamento delle forniture e costo dell’energia, nel decreto manca la determinazione di cui c’è assoluto bisogno in periodi eccezionali come quelli che stiamo vivendo.
Tra le imprese del Nord c’è fortissima preoccupazione: occorre intervenire immediatamente, con ogni misura possibile e sostenibile, per compensare l’aumento dei costi dell’energia – anche attraverso un price-cap/tetto sui prezzi – e gli effetti delle sanzioni legate alla guerra per i settori o le imprese direttamente colpite. L’Italia e la sua industria stanno pagando il prezzo più alto d’Europa.
La trasparenza del mercato energetico deve poter permettere di legare al costo delle forniture il prezzo al cliente, non ai valori oscillatori delle speculazioni quotidiane. Anche il sistema fiscale che grava sui prodotti energetici va reso lineare, chiaro e trasparente. Non è possibile che le imposte raddoppino il costo del carburante e siano la sommatoria di accise accumulate nei decenni senza più alcun riferimento alla situazione attuale. Perché non prendere esempio dal Portogallo dove il governo ha chiesto alla UE la riduzione dell’aliquota IVA dal 23% al 13%?
La scelta di intervenire con “sconti” e ristori temporanei limitati nel tempo e negli impatti, poi, è in contrasto con le previsioni, anche quelle meno pessimistiche, di alti livelli dei prezzi sui mercati energetici prolungati nel tempo.
Sono poi irricevibili, causa insostenibilità, le ipotesi o gli scenari di riduzione “teorici” dei consumi energetici dell’industria. Le strategie europee, a partire dal Fitfor55, costruite e calate dall’alto, vanno riviste in una logica di transizione “sostenibile”, non di obiettivi astratti irraggiungibili per tutti i settori industriali, dalle plastiche all’auto. La transizione va discussa, condivisa e programmata insieme all’industria. Visto il diverso impatto del costo dell’energia nei vari Paesi europei le imprese italiane sono quelle la cui competitività è maggiormente a rischio.
Il Paese deve definire rapidamente un vero e proprio Piano Energetico nazionale che preveda un nuovo mix di forniture e fonti. Occorre accelerare la realizzazione degli impianti di rinnovabili sbloccando, nell’interesse nazionale, gli iter autorizzativi, oggi di fatto bloccati in molti ambiti ed aree. Contemporaneamente è indispensabile accelerare l’aumento del prelievo nazionale di gas, anche con nuove esplorazioni, e riattivare gli investimenti previsti sui rigassificatori.
Il PNRR può essere parzialmente rivisto e rimodulato in funzione della necessità di sostenere gli investimenti in campo energetico, mentre con maggiore decisione devono essere riprese le riforme timidamente approcciate in questi mesi: prima di tutte quella del fisco, intervenendo strutturalmente sul cuneo fiscale. Gli effetti dell’inflazione sui salari rischiano di essere ulteriormente “deprimenti” per l’economia e per le imprese italiane.



Confindustrie del Nord: ecco l’ agenda per la riapertura delle imprese e la difesa dei luoghi di lavoro

Mai nella storia della Repubblica ci si è trovati ad affrontare una crisi sanitaria, sociale ed economica di queste proporzioni.

In questo gravissimo contesto, la salute è certamente il bene primario e ogni contributo affinché si possano alleviare e contrastare le conseguenze dell’epidemia è cruciale.

Le relazioni sociali ed economiche sono colpite in modo grave, imprevedibile fino a poche settimane orsono. Stiamo facendo grandi sacrifici, che mai avremmo pensato ci sarebbero stati richiesti, che implicano la limitazione di alcune libertà che abbiamo sempre dato per scontate.

Dobbiamo tuttavia essere consapevoli che all’emergenza sanitaria seguirà una profonda crisi economica: dobbiamo quindi essere in grado di affrontarla affinché non si trasformi in depressione e per farlo abbiamo bisogno innanzitutto di riaprire in sicurezza le imprese.

Se le quattro principali regioni del Nord, che rappresentano il 45% del PIL italiano, non potranno ripartire nel breve periodo il Paese rischia di spegnere definitivamente il proprio motore e ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia.

Prolungare il lockdown significa continuare a non produrre, perdere clienti e relazioni internazionali, non fatturare, con l’effetto che molte imprese finiranno per non essere in grado di pagare gli stipendi del prossimo mese.

Chiediamo quindi di definire una roadmap per una riapertura ordinata e in piena sicurezza del cuore del sistema economico del Paese. È ora necessario concretizzare la “Fase 2”.

Per farlo bisogna realizzare un percorso chiaro e decisioni condivise con una interlocuzione costante tra Pubblica Amministrazione, Associazioni di rappresentanza delle imprese e Sindacati, che indichi le tappe per condurre il sistema produttivo verso la piena operatività.

La salute è il primo e imprescindibile obiettivo: le imprese devono poter riaprire, ma è indispensabile che lo possano fare in assoluta sicurezza, tutelando tutte le persone. Le aziende sicure devono poter lavorare. Chi non è in grado di assicurare la sicurezza necessaria nei luoghi di lavoro non può aprire.

Bisogna quindi definire un piano di aperture programmate di attività produttive mantenendo rigorose norme sanitarie e di distanziamento sociale.

Occorre uscire dalla logica dei codici ATECO, delle deroghe e delle filiere essenziali a partire dall’industria manifatturiera e dai cantieri. È una logica non più sostenibile e non corretta rispetto agli obiettivi di sanità pubblica e di sostenibilità economica. Il criterio guida è la sicurezza.

Le imprese si sono già dotate di alcuni importanti strumenti per modulare i propri comportamenti in questa difficilissima situazione, in primis il Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro. Si tratta di un documento fondamentale, condiviso da tutti gli attori che deve trovare una rigorosissima applicazione, anche nei controlli, e costituire il principale riferimento.

Bisogna mettere le imprese in condizione di attuarlo, assicurando loro la possibilità di:

  • mettere le imprese nelle condizioni di reperire tutti i dispositivi di protezione individuale e garantire il loro approvvigionamento mediante un agevole percorso di fornitura che passi da un flusso costante e prioritario nelle procedure doganali;
  • velocizzare il percorso di autorizzazioni da parte dell’ISS per i dispositivi prodotti in deroga alle normative sanitarie, ma che dimostrino requisiti di protezione soddisfacenti
    mettere in campo un pacchetto di misure di finanziamento a fondo perduto che supportino gli investimenti delle imprese nella sicurezza basato su alcune linee d’azione fondamentali: adozione di protocolli di sanificazione degli ambienti di lavoro;
  • ripensamento degli spazi lavorativi per ridurre al minimo i contatti tra le persone; nuova mobilità da e per i luoghi di lavoro e all’interno dei siti produttivi;
  • ricorso allo smart working.

Chiediamo un impegno per definire insieme un piano di contenimento del virus sui luoghi di lavoro basato su:

una collaborazione tra Autorità preposte, imprese e sindacati per consentire una efficiente gestione dell’operatività delle imprese nel periodo di emergenza, funzionale ad evitare pericolose situazioni di contrasto che metterebbero a repentaglio gli sforzi di collaborazione. Ciò deve poter avvenire anche a livello territoriale e regionale per costruire e sperimentare nuovi “modelli” di lavoro.

a livello regionale occorre condividere con i Servizi Sanitari modelli di collaborazione in cui le imprese diventano luoghi in cui si attuano le politiche per la salute a partire dalle attività di screening preventivo sulle quali si attendono decisioni tempestive e univoche delle autorità competenti: con l’ausilio fondamentale di test sierologici validati o con programmi coordinati di “tamponi” sul territorio.

In sintesi, occorre ripartire rapidamente per dare al Paese, alle imprese e ai lavoratori un’agenda chiara e un quadro certo in cui operare.

Il criterio guida è la sicurezza: le aziende sicure sono tutte uguali. Per questo occorre condividere un modello di collaborazione con Istituzioni, Autorità sanitarie, Associazioni industriali, Organizzazioni sindacali.




Imprese e sindacati insieme per la sicurezza anti-covid

L’Organismo Paritetico Provinciale di Torino, istituito dall’Unione Industriale di Torino e da CGIL/CISL/UIL, ha elaborato una check-list per facilitare l’implementazione a livello aziendale dei contenuti del Protocollo sottoscritto il 24 aprile 2020 dal Governo e dalle principali Organizzazioni datoriali e sindacali.

La check-list, che tiene conto delle più recenti novità a livello normativo e scientifico, si articola nei 13 punti previsti dal Protocollo ed in due appendici, dedicate alla gestione dell’aria negli ambienti indoor (con particolare riferimento agli impianti di ventilazione/climatizzazione) ed al monitoraggio dei lavoratori in smart working.

L’intenzione è di consentire alle imprese una verifica rapida e puntuale delle misure anti-Covid adottate, con il coinvolgimento dei Comitati aziendali previsti dal Protocollo.

Si tratta di un’iniziativa che rientra nel più ampio percorso che, fin dalla prima fase della pandemia, l’Unione Industriale e CGIL/CISL/UIL hanno condiviso per approfondire le normative, affrontare le criticità e diffondere il più possibile la cultura della sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro, anche nella specifica declinazione legata al contenimento della diffusione del Covid-19.

“Nella consapevolezza che solo un’attenta e condivisa gestione della quotidianità lavorativa possa davvero fare la differenza – ha spiegato Massimo Richetti, Responsabile Relazioni Sindacali dell’Unione Industriale di Torino – abbiamo cercato di realizzare uno strumento utile e concreto, per agevolare imprese e lavoratori nell’adozione e nel rispetto delle misure di sicurezza. Ora più che mai il futuro del nostro sistema economico e sociale dipende dalla nostra capacità di coesione, anche e soprattutto nei luoghi di lavoro”.

“Fin da subito, nella fase più difficile della pandemia – aggiungono Federico Bellono CGIL Torino, Cristina Maccari CISL Torino, Teresa Cianciotta UIL Torino – si sono costituiti i Comitati Aziendali nel cui ambito Aziende e Delegati sindacali hanno percorso la strada del confronto, con l’obiettivo di trovare soluzioni condivise per conciliare produzione e massima sicurezza. Non possiamo però abbassare la guardia e la check list si pone in questa logica di monitoraggio preciso e costante; nei prossimi mesi saremo inoltre impegnati in attività di formazione, rivolta ad imprese e lavoratori, con l’obiettivo di rendere il posto di lavoro un luogo sempre più sicuro per i lavoratori e l’intera comunità.”