Inizio d’anno in frenata per l’industria novarese e vercellese

Inizio d’anno in frenata per l’industria novarese e vercellese. Secondo le previsioni congiunturali di Confindustria Novara Vercelli Valsesia (Cnvv) per il trimestre gennaio-marzo 2020 (riportate integralmente su www.cnvv.it) il saldo tra la percentuale degli imprenditori che, rispetto al trimestre precedente, si dichiarano ottimisti e quella di coloro che sono pessimisti sull’incremento della produzione registra andamenti contrastanti nelle due province: mentre nel territorio novarese rimane positivo (a 9,5 punti contro i precedenti 8,7) in quello vercellese cala da -1,1 a -11,1 punti, in linea con un trend regionale a -0,5 punti rispetto ai 4 di fine 2019. I saldi ottimisti/pessimisti riferiti agli ordini totali rimangono stabili, a 8,7 punti, per Novara, mentre calano da -5,3 a -9,1 punti per Vercelli, a fronte di una media piemontese lievemente negativa (-0,5 punti).

Negativo in entrambe le province, invece, il saldo ottimisti/pessimisti relativo alle attese di ordini esteri, che si riduce da 13,8 a 3,8 punti per Novara e da -3,2 a -7,3 punti per Vercelli, in linea con il peggioramento registrato nell’intero Piemonte (da -0,6 a -1,7 punti).

«Non possiamo non essere preoccupati – commenta il presidente di Cnvv, Gianni Filippa – perché, soprattutto per quanto riguarda il Vercellese, il calo della produzione e il peggioramento delle attese di ordini dal mercato interno, che è quello strutturalmente più debole, per la prima volta non vengono compensati dalle attese di esportazioni, che hanno un’importanza notevole in entrambe le province.

Per fortuna numerose aziende continuano a esprimere vitalità e resilienza dimostrando, anche grazie alla competenza delle loro maestranze e alla lungimiranza dei loro imprenditori, una notevole capacità competitiva. Serve però un impegno più forte da parte della politica per rafforzare e aumentare le dotazioni infrastrutturali, materiali e immateriali, la cui carenza è sempre più dannosa per l’economia territoriale».

Sul fronte del mercato del lavoro il saldo ottimisti/pessimisti relativo alle aspettative di nuova occupazione cresce lievemente (da 11,8 a 12,7 punti) in provincia di Novara, mentre cala (da 3,2 a -3 punti) in provincia di Vercelli, con una media regionale in riduzione da 6,4 a 3,8 punti. La percentuale di imprese che dichiarano l’intenzione di ricorrere alla Cassa integrazione guadagni si allontana dai minimi storici, salendo dal 2,4% al 4,1% a Novara e dall’8,5% al 16,5% a Vercelli, a fronte di un dato regionale in aumento dal 9,6% all’11,4%.

«Il peggioramento complessivo del contesto economico – osserva il direttore di Cnvv, Aureliano Curini – rischia di avere ricadute negative anche sul fronte occupazionale, che è sempre più lento a riprendersi dopo le fasi di criticità. Non possiamo che attendere le prossime rilevazioni, auspicando che si tratti di un’inversione soltanto temporanea, e continuare a impegnarci per colmare un gap formativo sempre più ampio tra offerta e domanda di figure professionali specializzate, soprattutto per quanto concerne i diplomi superiori tecnici. Quest’anno avvieremo anche iniziative formative per imprenditori e manager, aumentando le sinergie con l’Università del Piemonte Orientale, per far crescere il know how interno alle imprese».

Le intenzioni di effettuare investimenti, sia “significativi” sia “marginali”, risultano costanti in entrambi i territori: le variazioni relative ai primi sono dal 29,4% al 31,7% nel Novarese e dal 20,2% al 22,4% nel Vercellese, con una media regionale stabile al 24%; quelle relative ai secondi si posizionano, rispettivamente, dal 54% al 52% e dal 45,7% al 44,9%, con l’indicatore regionale al 49,1%.

Il grado di utilizzo degli impianti, in Piemonte al 76,1%, si conferma stabile all’80,2% nel territorio novarese e all’85,9% in quello vercellese. Positiva, infine, la dinamica della percentuale di imprese che dichiara ritardi negli incassi rispetto ai tempi di pagamento pattuiti (in Piemonte stabile al 28,2%), che scende dal 25% al 21,8% nel novarese e dal 25,5% al 19,4% (il livello più basso degli ultimi sei anni) nel Vercellese.

I dati relativi ai principali settori produttivi, elaborati in forma aggregata e con media ponderata sulle due province, segnalano un andamento contrastante nel metalmeccanico, dove i saldi ottimisti/pessimisti relativi alle attese di produzione sono negativi a fronte di ordini, totali ed esteri, in lieve miglioramento, e in attesa di conferme nel comparto della rubinetteria e del valvolame, dove la produzione è attesa ancora in calo, seppur in misura minore rispetto alla precedente indagine, a fronte di un miglioramento delle aspettative di ordini.

Indicatori positivi, ma con una crescente incertezza tra gli operatori del settore chimico e di quello alimentare: nel primo le attese di produzione sono ancora positive, pur con ordini in calo, mentre nel secondo il saldo ottimisti/pessimisti relativo alle aspettative di produzione si attesta a zero, sullo stesso livello di quello relativo agli ordini. Rimangono invece negative le prospettive del tessile-abbigliamento, dove l’ulteriore rallentamento delle attese di produzione è affiancato da un analogo calo degli ordini.




Le imprese presenti nei piccoli comuni generano più PIL

Le fabbriche, gli uffici, i negozi e le botteghe presenti nei piccoli Comuni con meno di 20 mila abitanti producono il 38 per cento del Pil generato da tutto il comparto economico privato presente nel Paese (industria e servizi); un’incidenza superiore a quella ascrivibile alle attività situate nelle grandi città (35 per cento del Pil), ovvero quelle con più di 100 mila abitanti.

E’ questo il principale risultato emerso da una elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della CGIA per conto di ASMEL, l’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali, che rappresenta oltre 2.800 Comuni in tutt’Italia.

“A differenza delle grandi città – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – i piccoli Comuni hanno pochi mezzi a disposizione e tanti problemi di dimensione sovracomunale da affrontare. La forte concentrazione delle attività produttive nelle realtà territoriali minori impone a questi Sindaci risposte importanti su temi come la tutela dell’ambiente, la sicurezza stradale, la mobilità, l’adeguatezza delle infrastrutture viarie e la necessità di avere un trasporto pubblico locale efficiente. Sono criticità che richiedono un approccio pianificatorio su larga scala che, spesso, non si può attivare a causa delle poche risorse umane e finanziarie a disposizione”.

Dei 750 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto da tutte le aziende private presenti nel Paese (pari a poco meno della metà del Pil nazionale), 286,6 miliardi sono generati nelle piccole Amministrazioni comunali e 261,2 miliardi nelle grandi. Nei medi Comuni (quelli tra i 20 e i 100 mila abitanti), il valore aggiunto ammonta a 202,2 miliardi (il 27 per cento del totale del Pil in capo al settore industriale).

“I Comuni con meno di 20 mila abitanti – segnala il segretario Renato Mason – sono importanti non solo perché ospitano tantissime imprese private e generano tanto Pil, ma anche perché costituiscono il 93 per cento del totale delle amministrazioni comunali presenti nel Paese, ci abita il 46 per cento di tutta la popolazione nazionale e ci lavora il 41 per cento degli addetti italiani presenti nelle aziende private. Assieme ai Comuni di media dimensione sono i principali soggetti economico/ istituzionali che la politica romana dovrebbe guardare con maggiore attenzione”.

Disaggregando il valore aggiunto totale prodotto dalle imprese private nelle due branche che lo compongono, industria e servizi, emerge la grandissima vocazione manifatturiera dei Comuni con meno di 20 mila abitanti. In questi piccoli enti locali risultano insediate il 54 per cento delle unità operanti nel settore dell’industria (pari a 533.410 imprese) il 56 per cento degli addetti (poco più di 2.944.200 lavoratori) e addirittura il 52 per cento del valore aggiunto (163,9 miliardi di euro).

“Come era facilmente prevedibile – dichiara Daniele Nicolai ricercatore dell’Ufficio studi – il settore dei servizi  è concentrato in particolar modo nelle grandi realtà urbane: nelle città con più di 100 mila abitanti, infatti, scorgiamo il 32 per cento delle unità locali di questo settore, il 37 per cento degli addetti e il 45 per cento del valore aggiunto”. I piccoli Comuni con meno di 20 mila abitanti, tuttavia, si ritagliano anche nei servizi un ruolo per nulla marginale, rappresentando il 38 per cento delle imprese (1.370.462 unità), il 33 per cento degli addetti (3.585.139 addetti) e il 28 per cento del valore aggiunto (122,7 miliardi di euro) (vedi Tab. 3).

Nel Triveneto vince l’alleanza piccoli Comuni e piccola impresa
Se non consideriamo la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata – che sono le uniche regioni italiane che non hanno Amministrazioni comunali con più di 100 mila abitanti – è il Triveneto l’area geografica del Paese dove nei piccoli Comuni si concentra il più alto numero di imprese, di addetti e anche di valore aggiunto.

Nei Comuni con meno di 20 mila abitanti, il Trentino Alto Adige guida la graduatoria con una incidenza pari al 64 per cento del totale delle unità locali dell’industria e dei servizi presenti nella regione. Seguono il Friuli Venezia Giulia con il 62 per cento, la Calabria con il 61 per cento e il Veneto con il 56 per cento.

Per quanto concerne gli addetti, invece, sempre nelle piccole amministrazioni locali con meno di 20 mila abitanti svettano il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige, entrambi con una incidenza del 63 per cento. Seguono il Veneto con il 57 per cento, e la Calabria con il 55 per cento .

In merito al valore aggiunto, infine, è ancora una volta il Friuli Venezia Giulia a registrare l’incidenza più alta nei territori caratterizzati dalla presenza dei piccoli Comuni (64 per cento). Tallonano la regione più nordestina del Paese il Trentino Alto Adige (58 per cento), il Veneto (57 per cento) e l’Abruzzo (51 per cento).

 




Nel III trimestre 2019 sono quasi 430mila le imprese

Nel periodo luglio-settembre 2019 il sistema produttivo regionale ha evidenziato un lieve incremento della propria base imprenditoriale.

Il III trimestre 2019 si è chiuso, infatti, con un risultato debolmente positivo per il tessuto imprenditoriale piemontese. In base ai dati del Registro imprese delle Camere di commercio, emerge come – nel periodo in esame – siano nate in Piemonte 4.861 imprese, performance migliore rispetto a quella evidenziata nello tesso periodo del 2018. Anche le cessazioni (valutate al netto delle cancellazioni d’ufficio) hanno, tuttavia, mostrato un incremento rispetto al III trimestre 2018, attestandosi a 4.286: il saldo è risultato quindi positivo per sole 575 unità.

Lo stock di imprese complessivamente registrate a fine settembre 2019 presso il Registro imprese delle Camere di commercio piemontesi ha raggiunto le 429.449 unità.

Il bilancio tra nuove iscrizioni e cessazioni si è tradotto in un tasso di crescita del +0,13%, dato analogo rispetto a quello registrato nel III trimestre 2018 (+0,11%). L’intensità dello sviluppo della base imprenditoriale piemontese risulta, ancora una volta, inferiore a quella rilevata a livello medio nazionale (+0,23%).

“I dati non brillanti dei primi nove mesi dell’anno ci restituiscono una regione fragile. Ora più che mai, l’intervento di tutte le istituzioni deve essere coordinato. Occorre da una parte focalizzare i nostri interventi su poche linee strategiche e dall’altra utilizzare a pieno i fondi europei, con misure volte a potenziare ulteriormente le nostre eccellenze; in questa maniera potremo fare vera politica industriale e supportare il nostro sistema imprenditoriale”, commenta Vincenzo Ilotte, Presidente Unioncamere Piemonte.

Il dato piemontese scaturisce da andamenti differenziati a livello territoriale. Il nord della regione mostra maggiori difficoltà: Novara e Biella registrano tassi negativi, rispettivamente pari a -0,48% e -0,19%, mentre il tessuto imprenditoriale del Verbano Cusio Ossola (+0,04%) e di Vercelli (+0,05%) risulta sostanzialmente stazionario. Anche Alessandria (+0,02%) e Asti (+0,09%) segnano tassi di crescita di modesta entità e inferiori al dato medio piemontese. Al di sopra del risultato regionale si collocano, invece, Cuneo (+0,7%) e Torino (+0,27%).

L’analisi per forma giuridica evidenzia segnali positivi per le società di capitale, che rappresentano il 18,7% delle imprese aventi sede legale in Piemonte e che hanno realizzato, nel III trimestre del 2019, un tasso di crescita dello +0,50%. Si registra un incremento anche per le ditte individuali (+0,17%), che rappresentano oltre la metà delle imprese, e per le altre forme (+0,10%). In negativo solo le società di persone che, con una quota del 22,6% del tessuto imprenditoriale regionale, registrano un tasso del -0,24%.

Nel terzo trimestre dell’anno tutti i settori di attività hanno registrato tassi di variazione dello stock positivi. Il turismo (+1,67%) e gli altri servizi (+1,32%) hanno realizzato le performance migliori. Il comparto del commercio ha manifestato una crescita del +1,07%, seguito dalle imprese delle costruzioni che crescono dell’1,0%. Più modesta, ma sempre positiva, la variazione evidenziata dal tessuto imprenditoriale dell’industria in senso stretto (+0,65%) e dell’agricoltura (+0,48%).




Aperte le iscrizioni a “Piemonte Fabbriche Aperte” 2019

Sono aperte le iscrizioni all’edizione 2019 di “Piemonte Fabbriche Aperte”, che si terrà l’8 e il 9 novembre.

Per visitare i 120 luoghi della produzione aderenti c’è tempo fino alle ore 12 del 7 novembre: collegandosi al sito www.piemontefabbricheaperte.it si può consultare l’elenco e una breve descrizione delle attività, ottenere le informazioni di tipo logistico, conoscere le richieste particolari per poter effettuare la visita. In alcuni casi, ad esempio, è sufficiente indicare il proprio nominativo, in altri è necessaria anche un’età minima per partecipare. Ogni specificità è comunque ben spiegata nelle schede, in modo da avere tutti i dettagli utili per programmare la visita che meglio si adatta alle proprie esigenze e ai propri interessi.

Diverse e variegate le proposte: tutti i principali settori industriali del Piemonte sono ben rappresentati, con una forte presenza di meccanica e automazione industriale dell’automotive e del comparto agroalimentare, ma anche di tessile, aerospazio, chimica, ICT ed elettronica, prodotti di design, logistica, servizi avanzati.

In questa nuova edizione – evidenziano gli assessori regionali alle Attività produttive, Andrea Tronzano, e alla Ricerca e Innovazione, Matteo Marnativiene ulteriormente amplificato il concetto della fabbrica come luogo di produzione di valore, elemento strategico e identitario della tradizione industriale del Piemonte nel passato, nel presente e nel futuro. L’apertura straordinaria dei vari siti, concentrata in un unico evento e su scala piemontese, intende accendere i riflettori sulla manifattura di eccellenza e sull’innovazione tecnologica mediante la dinamica esperienziale delle visite agli stabilimenti. In questo modo il pubblico può rendersi conto direttamente del ricco patrimonio industriale del Piemonte, che vanta eccellenze a livello internazionale, ed avere l’opportunità di conoscere alcuni dei Poli creati per favorire la diffusione dell’innovazione e lo scambio di competenze tra Atenei, centri di ricerca e imprese”.

Quest’anno “Piemonte Fabbriche Aperte” si raccorda con il primo Festival della Tecnologia, organizzato dal Politecnico di Torino dal 7 al 10 novembre. Il Politecnico, in occasione del 160° anno di attività, e la Regione Piemonte hanno sottoscritto un accordo di collaborazione per massimizzare le sinergie tra le due manifestazioni, unite dall’obiettivo di posizionare Torino e il Piemonte come “motore” dell’innovazione, della ricerca e conseguentemente della produzione industriale avanzata.

“Piemonte Fabbriche Aperte” rientra fra le attività di comunicazione istituzionale della Regione Piemonte riguardanti i programmi operativi dei fondi strutturali europei 2014-2020, perché dà la possibilità di verificare direttamente gli effetti delle politiche regionali di sostegno all’innovazione, alla sostenibilità, alla produzione intelligente e alla ricerca, in particolare quelle legate al Fondo europeo di Sviluppo regionale. Molte fra le aziende che partecipano alla manifestazione, infatti, sono coinvolte in progetti di ricerca e sviluppo e di investimento sostenuti con il Fesr.




Congiuntura economica, ancora in rosso il dato sulla produzione industriale

Nell’ambito della consueta collaborazione tra Unioncamere Piemonte, Intesa Sanpaolo e UniCredit per il monitoraggio della congiuntura economica piemontese, Unioncamere Piemonte ha presentato oggi i dati della 191ª “Indagine congiunturale sull’industria manifatturiera” realizzata in collaborazione con gli Uffici studi delle Camere di commercio provinciali.

La rilevazione è stata condotta nei mesi di luglio e agosto con riferimento ai dati del periodo aprile-giugno 2019 e ha coinvolto 1.789 imprese industriali piemontesi, per un numero complessivo di 119.602 addetti e un valore pari a circa 64,6 miliardi di euro di fatturato.

Il II trimestre 2019 conferma la fase di stagnazione che ha colpito la manifattura piemontese a partire dalla seconda metà del 2018.

La produzione industriale ha segnato, per il quarto trimestre consecutivo, una variazione tendenziale negativa (0,8%), frutto del preoccupante trend esibito dai mezzi di trasporto e dal comparto tessile, nonché delle flessioni consistenti registrate, in termini produttivi, dalle principali realtà territoriali. La flessione del periodo aprile-giugno 2019 risulta, inoltre, di intensità superiore rispetto a quanto già evidenziato nei tre trimestri precedenti.

Il calo della produzione industriale si associa ai risultati solo debolmente positivi registrati dagli altri indicatori analizzati: si evidenziano, infatti, un andamento sostanzialmente piatto degli ordinativi interni (+0,2%) e una crescita stentata di quelli esteri (+1,0%); in media, il fatturato totale delle imprese manifatturiere intervistate aumenta dello 0,6% rispetto al periodo ottobre-dicembre 2018, con la componente estera che registra un incremento dell’1,2%; migliora rispetto al II trimestre 2018 il grado di utilizzo degli impianti che si attesta al 68,4%.

Il Presidente di Unioncamere Piemonte, Vincenzo Ilotte, ha commentato: “i dati del II trimestre piemontese ci mostrano una regione in affanno, che segna un’ulteriore battuta d’arresto. Il nord del Piemonte, che non può avvantaggiarsi del buon risultato dell’industria alimentare, soffre proprio nei comparti che lo hanno sempre caratterizzato quali mezzi di trasporto, industrie elettriche ed elettroniche e filiera tessile. Solo adottando misure ad hoc e politiche attive che facilitino l’attività delle nostre imprese, garantendo condizioni di insediamento e crescita occupazionale e promuovendo una vera valorizzazione del nostro know-how, si potrà rimettere in moto la nostra macchina produttiva. Spetta a noi attori economici e istituzionali fermare questo trend, attraverso uno sforzo coeso in direzione di politiche volte a un rilancio degli investimenti e della domanda interna”.

Paolo Musso, Direttore commerciale Imprese Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria: “La diversa vocazione delle provincie piemontesi si riflette molto bene nell’analisi congiunturale presentata oggi. Abbiamo, per esempio, un agroalimentare in crescita nel Piemonte Sud contro un automotive che sconta la riorganizzazione del comparto nel torinese. Se guardiamo al sentiment registrato dai nostri gestori sul territorio nella nostra survey periodica leggiamo tuttavia una buona fiducia sulla crescita delle esportazioni. La Germania rallenta, ma i mercati più lontani continuano ad offrire opportunità interessanti per le nostre produzioni.

Una delle leve su cui puntare sono ancora una volta le filiere, che permettono alle aziende che ne fanno parte di essere più resilienti rispetto alla media. L’internazionalizzazione e la crescita dimensionale delle piccole ma dinamiche imprese della regione sono altri due obiettivi da perseguire per dare forza al sistema.

In Piemonte ne abbiamo affiancate parecchie con i nostri programmi di crescita e di apertura del capitale a investitori venture. Abbiamo lavorato con imprese della circular economy, con modelli commerciali innovativi, capaci di valorizzare il design e il sapere artigianale italiano ma dall’hi tech sorprendente. Non dimentichiamo che il Piemonte negli ultimi 10 anni è cresciuto moltissimo – 10 miliardi di export in più – anche grazie al lavoro comune per far conoscere e portare le nostre aziende all’estero”.

“Il nostro territorio, ha sottolineato il Regional Manager Nord Ovest di UniCredit Fabrizio Simonini, rimane un tassello cruciale del nostro sistema e dispone di importanti risorse per lo sviluppo e la transizione industriale, costituendo per diversi aspetti un laboratorio sociale, economico, culturale per il Paese.  Aspetti questi emersi anche nel forum Nord Ovest di UniCredit che abbiamo organizzato la settimana scorsa. Per la sua storicità il Piemonte è strategico per sostenere il sistema produttivo dell’intero Paese e consolidare la capacità competitiva sui mercati internazionali.

Il PIL del Nord Ovest infatti rappresenta l’11% del PIL nazionale.   Gli investimenti fissi lordi rappresentano la quota del 13% sul nazionale come anche la quota di export, pari al 12%, e un saldo attivo con l’estero di 12 miliardi di euro.  Nel Nord-Ovest è presente un repertorio di aziende che, forgiato dalla crisi, è parte del nucleo di vertice dell’imprenditoria italiana.

La spesa in ricerca e sviluppo è ampiamente superiore alle altre regioni e per quanto riguarda la propensione alla “brevettazione”, il Piemonte si posiziona a ridosso delle regioni benchmark. Spetta a noi, come banca, il compito di sostenere ancora di più le aziende e i cittadini di questo territorio, attraverso le collaborazioni con le associazioni di categoria per valorizzare i settori tipici del territorio e spingere sempre più verso l’innovazione e l’internazionalizzazione delle imprese”.

A livello settoriale, l’unico risultato nettamente positivo appartiene, come nel I trimestre dell’anno, al comparto alimentare, la cui produzione cresce del 3,5%. Con il segno più anche la meccanica, che incrementa la produzione dello 0,8%. Stabile l’andamento delle industrie elettriche ed elettroniche (+0,1%). Tutti gli altri comparti di specializzazione della manifattura regionale evidenziano risultati negativi. In particolare la chimica flette dell’1,2%, i metalli segnano una contrazione dell’1,4%. Il calo del tessile e dell’abbigliamento appare ancora più consistente (-2,3%), ma il dato più penalizzante appartiene, ancora una volta, ai mezzi di trasporto (-5,1%).

Focalizzando l’attenzione sui mezzi di trasporto, attori principali della contrazione produttiva manifatturiera regionale, si rileva come la performance negativa del II trimestre 2019 risulti il frutto di una contrazione sostenuta della produzione di autoveicoli (-48,1%), di un calo importante dell’andamento della componentistica autoveicolare (-8,6%) e di una flessione dell’aerospazio (-7,1%).

L’analisi della dinamica della produzione industriale per classe di addetti evidenzia come, nel II trimestre 2019, una sostanziale stabilità caratterizzi solo le PMI, mentre micro e grandi imprese subiscono flessioni produttive. In particolare le imprese di piccole dimensioni (1049 addetti) registrano una variazione del +0,3% e le medie aziende (50-249 addetti) mostrano un andamento del tutto analogo (+0,4%). Per le realtà di grandi dimensioni (oltre 250 addetti), invece, la flessione produttiva è dell’1,6%, mentre le micro aziende segnano una contrazione dell’1,1%.

Il risultato negativo registrato a livello medio regionale trova conferma in 4 su 8 delle realtà provinciali piemontesi. Una flessione intensa della produzione industriale colpisce il biellese (-4,0%), a causa delle criticità vissute dal comparto tessile. Dato negativo anche per il capoluogo regionale, che segna nel II trimestre del 2019 un calo della produzione manifatturiera dell’1,8%.

In questo caso determinante è stato il contributo negativo offerto dai mezzi di trasporto. Meno intense, ma sempre con il segno meno, le variazioni tendenziali registrate da Asti (0,8%) e Vercelli (-0,7%). Grazie all’ottimo andamento mostrato dalle industrie alimentari e delle bevande e alla performance, seppur debolmente, positiva della meccanica, registrano incrementi dei livelli produttivi Cuneo (+1,1%), Novara (+1,0%), Alessandria (+1,4%) e Verbania (+1,5%).