A gennaio 2020 rallenta la domanda di lavoro delle imprese piemontesi

Programmate circa 36.450 entrate, bene le costruzioni e i servizi,
in difficoltà il manifatturiero

Sono circa 36.450 le entrate programmate dalle imprese piemontesi per
gennaio 2020, 980 unità in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno
(-2,6%): il 63% riguarderà lavoratori dipendenti, mentre il 37% sarà
rappresentato da lavoratori non alle dipendenze.

Nel 31% dei casi le entrate previste saranno stabili (era il 23% a gennaio 2019), ossia con un contratto a tempo indeterminato o di apprendistato, mentre nel 69% saranno a termine (a tempo determinato o altri contratti con durata predefinita).

Complessivamente nel trimestre gennaio-marzo 2020 le entrate stimate
raggiungeranno le 78.960 unità, circa 7mila unità in meno rispetto a quanto previsto
nel I trimestre 2019.

Queste alcune delle indicazioni che emergono dal Bollettino mensile del Sistema
informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.

Delle 36.450 entrate previste in Piemonte nel mese di gennaio 2020, il 20,3% è
costituito da laureati (in crescita rispetto al 18% di gennaio 2019), il 38,0%
da diplomati 38%, le qualifiche professionali rappresentato il 25,7% e il 16%
è riservato alla scuola dell’obbligo.

Per quanto riguarda la dinamica settoriale sono, ancora una volta, i servizi a
formare la fetta più consistente della domanda di lavoro (68%, con una lieve
crescita rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), in particolare il
commercio, il turismo e i servizi alle persone.

Il comparto manifatturiero, che genera il 32% della domanda di inizio 2020, registra un calo di 1.180 unità rispetto a gennaio 2019. In crescita le entrate programmate delle costruzioni, che passano da 1.940 di gennaio 2019 a 2.130.

Il 32% delle entrate previste per gennaio 2020 in Piemonte sarà destinato a
dirigenti, specialisti e tecnici, quota superiore alla media nazionale (28%) e a quanto
previsto nel gennaio 2019 a livello regionale (27%), il 29% sarà costituito da operai
specializzati e conduttori di impianti, il 21% riguarderà professioni commerciali e dei
sevizi e solo il 9% sarà composto da impiegati.

Il nuovo anno, inoltre, è iniziato all’insegna di una più elevata difficoltà di
reperimento del personale. In 36 casi su 100 le imprese piemontesi prevedono
di avere difficoltà a trovare i profili desiderati (a gennaio 2019 incontrava difficoltà
di reperimento il 30% delle aziende). Le professioni più difficili da trovare nel periodo
considerato, sono i tecnici delle vendite, del telemarketing e della distribuzione
commerciale, gli operatori della cura estetica e gli specialisti in scienze informatiche,
fisiche e chimiche.




Confapi e Federmanager firmano il nuovo Ccnl dei manager delle Pmi

Confapi e Federmanager hanno sottoscritto il nuovo testo che regola il rapporto di lavoro dei manager delle Pmi di industria e servizi. Il Ccnl, con decorrenza 1° gennaio 2020 e durata fino al 2023, si applica a tre categorie di management: i dirigenti, i quadri superiori e i professional.

La novità principale riguarda il minimo contrattuale dei dirigenti, che si innalza a partire dal 1° gennaio 2021 per arrivare a 74.000 euro lordi annui nel 2023, ovvero circa il 4% in più della retribuzione minima attuale. Stessa percentuale di incremento per i quadri superiori, per i quali la soglia minima passa da 45.000 a 47.000 euro lordi annui già dal 2020.

Per il presidente Confapi, Maurizio Casasco: «L’accordo rafforza la già stretta collaborazione con Federmanager che non si limita al solo Ccnl. Abbiamo lavorato e continueremo a lavorare insieme, anche nei tavoli istituzionali, per proporre soluzioni che facciano crescere il nostro Paese, la nostra piccola e media industria privata e che valorizzino managerialità e skills professionali».

«La relazione tra noi e Confapi è di quelle “win win”: questo accordo rende vantaggioso per entrambi l’inserimento di manager nelle Pmi», commenta il presidente Federmanager, Stefano Cuzzilla. «Non era scontato, ma siamo riusciti a confermare tutti gli strumenti di managerialità già esistenti costruiti a misura di piccola impresa e abbiamo rilanciato, conferendo maggiore dignità al ruolo manageriale. In definitiva, l’accordo raggiunto testimonia l’ottimo stato di salute delle nostre relazioni industriali».

L’accordo prevede migliorie per la previdenza complementare, con il massimale contributivo al Fondo Previndapi elevato a 180.000 euro rispetto agli attuali 150.000. Anche in materia di sanità integrativa, è stata estesa fino al 2023 la convenzione tra il Fondo Fasdapi e Assidai.

Inoltre, per i casi di morte e invalidità permanente, previsti nell’articolo 12 del CCNL, il massimale assicurativo è elevato per tutti, a prescindere dai carichi di famiglia, a 300.000 euro contro gli originali 220.000.

Nel nuovo testo fa il primo ingresso un articolo sulle pari opportunità. L’Osservatorio contrattuale nato all’interno della Fondazione IDI si occuperà quindi di raccogliere e diffondere le migliori “best practices” attuate dalle aziende, con l’obiettivo di eliminare il “gender pay gap” e valorizzare la funzione genitoriale.

«La promozione della parità di trattamento si concretizza anche nel rispetto del ruolo della maternità, che finalmente non è più associata a un evento negativo come la malattia, ma ha meritato un articolo specifico che tutela sia il durante il periodo di congedo sia dopo, al rientro al lavoro», sottolinea il presidente Federmanager, Stefano Cuzzilla.

Infine, conservando l’impianto complessivo, sono state alleggerite alcune disposizioni che riguardano la chiusura del rapporto di lavoro, per garantire flessibilità all’impresa e tutele al dirigente in uscita.

Per questo, hanno assunto centralità le politiche attive del lavoro che, a partire da gennaio 2020, consentono ai manager e alle aziende aderenti al Fondo Pmi Welfare Manager di beneficiare di una dotazione finanziaria aggiuntiva per supportare i processi di trasformazione digitale e la diffusione della figura dell’Innovation Manager.

Si è rafforzata la sinergia tra Fondazione IDI e Fondo dirigenti PMI per offrire una formazione sempre più qualificata e tarata sulle sfide che le Pmi devono affrontare.




Ex Embraco, Cirio: ” basta prendere in giro il Piemonte”

“La questione Embraco è ancora aperta. Ho incontrato i lavoratori non soltanto per dire che la Regione c’è, e non lascia solo nessun lavoratore che perde il proprio posto, ma perché è ora di finirla con le prese in giro del Piemonte da parte di imprenditori che vengono da lontano, prendono i contributi pubblici, danno il miraggio di creare posti di lavoro e poi prendono il giro le persone”: è quanto ha dichiarato il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, dopo aver ricevuto l’8 gennaio con l’assessore al Lavoro, Elena Chiorino, una delegazione di lavoratori in presidio davanti alla sede della Giunta, in piazza Castello a Torino.

“Anche il Governo non deve lasciare sole queste persone – ha dichiarato Cirio – La cassa integrazione finirà a giugno e il Ministero dello Sviluppo economico deve ancora dire se il il soggetto individuato ha un piano industriale serio. Non è più accettabile e non c’è più tempo da perdere perché con la pelle delle persone non si scherza”.

“Ci troviamo tutti d’accordo – ha detto Chiorino, che ha scritto una lettera al ministro Patuanelli per richiedere un tavolo di crisi urgente – sul fatto che non c’è più tempo da perdere e che il Ministero deve agire in modo incisivo. Per farlo c’è soltanto una strada da percorrere: convocare quanto prima un tavolo a Roma in cui, come richiediamo ormai dal mese di dicembre, sia presente anche Invitalia con già un programma di quello che può essere il destino della ex Embraco. Allo stesso tavolo deve essere invitata anche la Whirlpool. Questo perché occorre definire una volta per tutte quale può essere il futuro per la tutela dei lavoratori della ex Embraco e delle loro famiglie, che nel mese di dicembre non hanno percepito né lo stipendio e nemmeno la tredicesima e per tutti quei lavoratori che in estate vedranno venire meno gli ammortizzatori sociali”.




Consiglio regionale dichiara stato di emergenza occupazionale e salariale

Il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato all’unanimità l’ordine del giorno che dichiara “lo stato di emergenza occupazionale e salariale in Piemonte” e chiede il “rifinanziamento in deroga alla Cigs e il finanziamento di 150 milioni di euro per le aree colpite da crisi industriali in Piemonte, promessi dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte”.

Il documento è stato presentato da tutti i capigruppo, di maggioranza e di opposizione, dal presidente della Giunta Alberto Cirio e dal presidente del Consiglio Stefano Allasia.

Tutta la seduta è stata dedicata al problema del lavoro nella nostra regione, con l’apertura dei lavori del presidente Cirio e l’intervento dell’assessore Elena Chiorino, che ha evidenziato “un quadro critico con un calo di 17mila unità occupate.

In particolare l’industria manifatturiera perde 25mila addetti, mentre i servizi e l’agricoltura guadagnando rispettivamente 2mila e 4mila posti”.

“Ringrazio il Consiglio per aver accolto la mia proposta di dichiarare lo stato di emergenza occupazionale in Piemonte – ha commentato Cirio – Ringrazio anche tutti i consiglieri di aver votato un documento condiviso che avrà delle ricadute concrete, dandoci la possibilità di rivendicare dal Governo non solo il rifinanziamento della cassa integrazione e degli ammortizzatori sociali, ma anche certezze sugli investimenti promessi personalmente al nostro territorio dal premier Conte.

Abbiamo bisogno di sapere quanto andrà al Piemonte dei 150 milioni di euro previsti per tutta Italia dal governo per le crisi industriali e quanto verrà stanziato per gli specifici accordi di programma che riguardano la Città dell’aerospazio e il Manufacturing and Competence Center, dal momento che di questo in Finanziaria non c’è traccia. La solidarietà non basta, ora alle promesse del Governo devono seguire fatti concreti”.

Anche il capogruppo della Lega Alberto Preioni ha parlato di un “Piemonte che negli ultimi anni ha perso competitività. A livello regionale puntiamo su un piano strategico per lo sviluppo, concordato anche con l’assessore Tronzano, mentre a livello nazionale sarebbe quanto mai urgente la flat tax: abbiamo una pressione fiscale abnorme che fa scappare le imprese”.

Per il Pd è intervenuto Raffaele Gallo, secondo il quale “è vero che i fondi statali potrebbero aiutarci, ma per il momento non ci è chiaro cosa faremmo con quelle risorse.Se chiediamo soldi per mettere in campo le misure illustrate da Chiorino, non risolveremo il problema. Il Piemonte deve essere percepito come territorio di opportunità per imprese, il pubblico deve investire nella ricerca e innovazione industriale”.

Secondo il capogruppo Fdi Maurizio Marrone, “l’emergenza lavoro sarà grande tema su cui la legislatura regionale sarà giudicata dagli elettori. Oggi diamo un segnale forte con la dichiarazione di stato di emergenza per far capire al governo che il tempo della propaganda è finito. Il contributo statale, per il momento limitato, si è fermato solo a Fca ma l’economia manifatturiera piemontese è anche altro”.

È quindi intervenuto Marco Grimaldi (Luv), spiegando che “siamo riusciti ad affermare che la crisi non è solo occupazionale, ma anche salariale, denunciando i fenomeni dei working poor e della precarietà, e a introdurre l’impegno ad applicare il protocollo d’intesa firmato dalla Giunta regionale del Piemonte e dalle sigle sindacali per affermare la giusta retribuzione e lo stralcio del costo del lavoro dai ribassi delle offerte negli appalti pubblici e nelle concessioni di lavori, forniture e servizi”.

Per Paolo Ruzzola (Fi), “gli ammortizzatori sociali sono strumenti utili, chiederemo all’assessore che siano integrati: ma non possono essere la risposta strutturale, che vada oltre il momento dell’emergenza. Dobbiamo creare opportunità per creare lavoro vero e duraturo con misure come il taglio dell’Irap regionale e l’esenzione del bollo che abbiamo fatto inserire in Legge di Stabilità”.

A nome del M5s, Sean Sacco ha spiegato che “il problema delle delocalizzazioni si è verificato perché anche a livello europeo quasi tutte le forze politiche erano d’accordo. Il libero mercato ha creato fortissima diseguaglianza, con conseguente stagnazione e calo dei salari. In Italia bisogna colmare il ritardo: contro le delocalizzazioni possiamo fare ancora qualcosa, ad esempio approvare la nostra proposta di legge regionale. Sarebbe un segnale importante per disincentivare il trasferimento della produzione al di fuori del Piemonte”.

A parere di Silvio Magliano (Moderati), “la grande sfida si gioca sulla competitività. Noi come regione, abbiamo perso di competitività su molti scenari imprenditoriali. Ci sono responsabilità precise, sia da parte datoriale che da parte sindacale. Dobbiamo lavorare tutti insieme per ritornare a essere competitivi”.

Per Mario Giaccone (Monviso), il “Piemonte è diventato la “Spoon river” dell’azienda: crisi e chiusure si moltiplicano. Siamo fanalino coda tra le regioni nord. Vero che subiamo concorrenza sleale e anche concorrenza fiscale, ma certe imprese hanno un atteggiamento predatorio perché non restituiscono quanto ottenuto dal territorio in cui sono nate e prosperate”.

Sono quindi intervenuti i rappresentanti sindacali.
Giovanni Esposito (Cigl): “Le prospettive ci preoccupano: i dati dicono che fino al 2018 le aziende crescevano, ma c’è stata un’inversione di rotta dal 2018/2019, soprattutto a causa dei dazi. Oggi siamo la quarta manifattura dell’Italia, abbiamo perso posizioni. Manca una visione europea e nazionale, si compete fra regioni e dentro la stessa regione, fra le varie province. Si crea una competizione al ribasso e non si punta alla qualità del prodotto”.

Giovanni Cortese segretario generale Uil: “Il Piemonte è ormai agli ultimi posti. La disoccupazione è superiore dell’1,5% rispetto alle altre regioni dell’arco alpino. Quella giovanile dell’8%. Rispetto a 2007, in Piemonte la disoccupazione è aumentata del 60%. Siamo preoccupati anche per l’automotive: senza gli accordi firmati nel 2010/2011 le aziende sarebbero state già chiuse”.

Alessio Ferraris, segretario generale Cisl Piemonte: “la mancanza di crescita porterà ad una povertà che non saremo più in grado di governare. Ci vuole un’alleanza di scopo per il Piemonte per parlare con il governo e ottenere fondi per riavere gli ammortizzatori sociali”.

Armando Murella, segretario generale Ugl: “La politica oggi è debole, le multinazionali hanno potuto fare quello che volevano. Serve un’inversione di tendenza, l’apertura dei grandi supermercati non ha portato tutta l’occupazione annunciata, certi settori sono sottopagati. Non si può andare avanti con contratti di solidarietà, bisogna creare vero lavoro”.

A fine seduta sono stati inoltre approvati due ordini del giorno di Maurizio Marrone su Torino Zona Economica Speciale e sui cosiddetti rider (emendato da Marco Grimaldi).




Imprenditori e imprenditrici laureati sono oltre 205mila e hanno fondato oltre 236 mila imprese

E’ stato presentato il Rapporto “Laurea e imprenditorialità”, il primo studio sull’imprenditorialità dei laureati in Italia, curato da Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna e Unioncamere, che ha analizzato i dati, a livello individuale, di 2.891.980 laureati in atenei italiani tra il 2004-2018 e i dati, a livello aziendale, delle 236.362 imprese da essi fondate.

 

Dal Rapporto emerge che il 7,1% dei laureati è fondatore di impresa (al momento della creazione di un’impresa possiede una quota di capitale e ricopre un ruolo imprenditoriale come amministratore, titolare o socio): complessivamente si tratta di 205.137 laureati. Le imprese da loro fondate sono 236.362, e rappresentano il 3,9% del totale delle imprese presenti in Italia a settembre 2019.

 

Il 61,3% dei fondatori ricopre una carica da titolare, il 22,1% da amministratore e il 16,6% da socio. Il 37,1% dei fondatori ha creato la propria impresa prima di conseguire la laurea (il 13,4% prima di iscriversi all’università, il 23,7% durante gli studi universitari), mentre il 27,0% entro il terzo anno dalla laurea. La quota restante (35,9%) ha creato la propria impresa dopo il terzo anno dalla laurea. Tra i fondatori gli uomini rappresentano il 53,9% mentre le donne il 46,1% (nella popolazione di laureati le percentuali sono invece, rispettivamente, 40,1% e 59,9).

 

“Dall’indagine emerge il dato confortante che i nostri laureati hanno un significativo spirito imprenditoriale – commenta il Presidente del Consorzio AlmaLaurea Ivano Dionigi -. Lo studio mette altresì in evidenza che, anche in questo campo, come in quello dell’orientamento, il contesto socio-economico della famiglia esercita un ruolo decisivo. Pertanto, anche in considerazione dell’attuale scenario economico, la cultura imprenditoriale va incentivata attraverso efficaci attività di orientamento e di promozione di competenze che ne facilitino la diffusione”.

“L’indagine svolta dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea in collaborazione con Unioncamere e DiSA – aggiunge il Direttore del Consorzio AlmaLaurea Marina Timoteo -, mostra come l’imprenditorialità dei laureati abbia esiti positivi nell’ambito del contesto nazionale. Le imprese create dai laureati sono più vitali: hanno, infatti, un tasso di crescita e di sopravvivenza più alto, assumono forme giuridiche più complesse e contribuiscono a creare opportunità di lavoro anche nelle aree del territorio italiano che vivono maggiori difficoltà economiche. L’indagine conferma, quindi, il dato, già da tempo acquisito dalle indagini di AlmaLaurea: laurearsi conviene. Chi si laurea ha più chances di fare impresa e ha più chances di far durare l’impresa che ha creato”.

 

“Questa ricerca presenta i primi dati che combinano per un intero Paese i laureati delle sue università e le imprese da essi fondate in un lungo orizzonte temporale – spiega Maurizio Sobrero del Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna -. Si tratta di una novità importante nel panorama mondiale della ricerca sul ruolo delle Università nel supportare lo sviluppo economico non solo attraverso la formazione di figure professionali qualificate, ma anche offrendo opportunità concrete di sviluppo di progetti imprenditoriali. Si tratta di uno sforzo tecnico particolarmente complesso, reso possibile dalla collaborazione lungimirante di due istituzioni come AlmaLaurea e Unioncamere che, per la prima volta, incrociano i propri dati e danno loro ulteriore vigore per indirizzare in modo più approfondito e consapevole le scelte a supporto dell’imprenditorialità. Il Dipartimento di Scienze Aziendali ha fornito il supporto scientifico e continuerà a sostenere lo sviluppo delle analisi per mettere a disposizione delle comunità interessate nuove opportunità di studio e di intervento”.

 

“Dallo studio emerge un dato significativo: il 7% dei laureati nelle diverse discipline avvia una attività di impresa”, sottolinea il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli. “Per fondare una azienda serve certamente una idea brillante e innovativa, ma servono anche le conoscenze per la realizzazione del business plan e le competenze di carattere manageriale sugli aspetti finanziari del fare impresa. Su questo piano intervengono le Camere di commercio, lavorando, insieme alle associazioni, al fianco degli aspiranti e neo imprenditori. Un sostegno decisivo soprattutto per le imprese di minori dimensioni”.

 

 

Forma giuridica.

Il 60,2% è costituito da imprese individuali; il 24,8% da società di capitale, il 15,0% da società di persone, mentre il restante 0.01% assume altre forme giuridiche. Questa distribuzione è coerente con quella nazionale, nello stesso periodo, caratterizzata per il 52,1% da imprese individuali, per il 28,1% da società di capitale, per il 16,3% da società di persone e per il 3,5% da altre forme giuridiche. Negli ultimi dieci anni, nella nostra popolazione di imprese, la percentuale di società di capitale è cresciuta del 65,2%: circa due volte il tasso di crescita delle società di capitale a livello nazionale.

 

Settore economico.

L’11,6% delle imprese opera nel settore agricolo, il 9,4% in quello industriale e il 79,0% nei servizi. Nei servizi, per citare i più rappresentati, il 29,1% delle imprese opera nel ramo del commercio; il 9,8% nelle attività professionali, scientifiche e tecniche; l’8,9% nelle attività finanziarie ed assicurative; il 7,5% nelle attività di servizi di alloggio e di ristorazione; il 6,9% in servizi di informazione e comunicazione. A livello nazionale, la percentuale di imprese che opera nel settore agricolo risulta del 12,2%, mentre il 22,7% opera nel settore industriale ed il 65,1% nei servizi. Nello specifico, il 24,9% opera nel settore del commercio, il 3,5% opera nelle attività professionali, scientifiche e tecniche; il 2,1% nelle attività finanziarie ed assicurative; il 7,4% nelle attività di servizi di alloggio e ristorazione; il 2,2% nei servizi di informazione e comunicazione. In particolare, la percentuale di imprese che operano in attività professionali, scientifiche e tecniche è cresciuta negli ultimi dieci anni, dal 10,1% nel 2009 al 13,2% nel 2018. Osservando l’andamento a livello nazionale degli ultimi dieci anni, la percentuale di imprese che svolgono attività professionali, cresce dal 3,1% al 3,5%. Per le imprese che operano nel settore agricolo, la percentuale, per la nostra popolazione osservata, è aumentata negli ultimi cinque anni, in controtendenza con il trend nazionale.

 

Dimensione e impatto economico.

Usando la classificazione EU, le imprese fondate dai laureati sono così suddivise: il 96,1% è costituito da micro imprese, con un fatturato annuale inferiore a 2Ml€, il 3,9% è formato da piccole o medie imprese, con un fatturato tra 2 e 50Ml€ e solo lo 0,03% del totale delle imprese è costituito da grandi imprese, con fatturato superiore ai 50Ml€. Il 49,2% del fatturato totale è generato dalle micro imprese, il 43,5% dalle piccole e medie imprese; le grandi imprese danno origine al restante 7,3%. A livello nazionale, le micro imprese rappresentano il 95,3% delle imprese attive e contribuiscono per il 29,7% alla creazione di valore aggiunto. Le piccole e medie imprese costituiscono il 4,6% e contribuiscono per il 38,8% alla creazione di valore aggiunto. Infine le grandi imprese rappresentano lo 0,4% e contribuiscono al 31,5% del valore aggiunto realizzato.

Si fa qui riferimento all’ultimo dato disponibile nel database (2018 o anno precedente).

 

Area territoriale.

Sotto il profilo territoriale, il 37,4% delle imprese fondate dai laureati è localizzato nel Nord Italia, il 21,7% nelle regioni del Centro e il 40,8% nelle regioni del Sud Italia. La ripartizione territoriale delle imprese italiane presenta un quadro differente rispetto a quello delle imprese fondate dai laureati: sono per il 45% insediate nel Nord, per il 21% nel Centro e per il 34% nel Sud Italia.

 

Tasso di sopravvivenza.

Delle 9.821 imprese nate nel 2009, dopo dieci anni, è ancora attivo il 54,8% (si tratta di circa 5.400 imprese). A livello nazionale, delle 312mila imprese nate nel 2009, dopo 10 anni, è ancora attivo il 40,6% (circa 127mila).

 

Tasso di crescita.

Il tasso di crescita è dato dal rapporto tra il saldo fra iscrizioni e cessazioni, per ogni anno di osservazione, e lo stock delle imprese di laureati (236.362). Il tasso di crescita è aumentato negli ultimi dieci anni, passando dal 2,2% nel 2009 al 3,7% nel 2018. A livello nazionale, il tasso di crescita delle imprese (calcolato come rapporto tra il saldo fra iscrizioni e cessazioni e lo stock annuale delle imprese registrate) diminuisce: dall’1,2% nel 2009 allo 0,5% nel 2018.

 

Imprese femminili.

Le imprese femminili rappresentano il 38,0% (ossia 89.917) del totale delle imprese create dai laureati. Questa percentuale è maggiore di quella nazionale che è pari al 22,0%. Il 12,8% opera nel settore agricolo, il 7,4% nel settore secondario e il 79,8% opera nel settore dei servizi (nello specifico, il 33,0% nel commercio). La percentuale di imprese femminili nel settore professionale, tecnico e scientifico è pari al 7,7%. Si tratta di una percentuale minore di quella osservata nella nostra popolazione di imprese (9,8%), ma superiore a quella nazionale di imprese femminili che operano nello stesso settore (3,8%).

Le imprese femminili sono definite come imprese la cui partecipazione al controllo e alla proprietà è detenuta in prevalenza da donne.

 

Start-up innovative.

Le start-up innovative fondate dai laureati sono pari al 20,2% (2.127) di tutte le start-up innovative nate in Italia (10.546). Il 24,3% delle start-up innovative opera nel settore professionale, scientifico e delle attività tecniche.

Le start-up innovative per essere tali devono soddisfare almeno uno dei seguenti criteri: 15% o più di spese sostenute in ricerca e sviluppo; 1/3 o più del personale in possesso di dottorato di ricerca; 2/3 o più della manodopera in possesso di una laurea magistrale; essere titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale.

 

Famiglia di origine.

Tra i fondatori, si rileva una maggiore presenza di laureati con genitori che svolgono professioni di livello più elevato: l’11,5% ha un padre imprenditore (tale quota è del 4,7% nella popolazione dei laureati), il 39,0% ha un padre libero professionista (è il 30,2% nella popolazione), il 7,4% ha un padre dirigente e il 7,2% un padre direttivo/quadro (nella popolazione le percentuali sono, rispettivamente il 7,0% e l’8,4%). Tra i fondatori ha un padre impiegato il 21,2% e un padre operaio il 13,2% (nella popolazione le quote sono, rispettivamente, il 29,9% e il 19,2%). Se si prende in considerazione la professione delle madri dei fondatori, la distribuzione è differente, ma conferma tali tendenze.

 

Anno di laurea.

Tra i fondatori, il 58,5% ha conseguito il titolo negli ultimi 10 anni (nel periodo 2009-2018), il 41,5% da più di 10 anni (nel periodo 2004-2008); nella popolazione del complesso dei laureati le quote sono, rispettivamente, 68,8% e 31,2%.

 

Atenei.

Il 75,0% dei fondatori ha creato un’impresa nella medesima regione sede dell’ateneo di conseguimento del titolo; l’8,1% in una regione differente, ma nella medesima ripartizione territoriale dell’ateneo (nord, centro, sud e isole). Il restante 16,9% ha creato un’impresa in una ripartizione territoriale differente rispetto a quella degli studi universitari. Tra i laureati degli atenei statali la quota di fondatori è in linea con la media complessiva e pari al 7,0%, mentre sale al 9,4% tra i laureati degli atenei non statali. Tra i fondatori, proviene da un ateneo statale il 96,4% e da un ateneo non statale il 3,6%. Per il complesso dei laureati le quote sono, rispettivamente, 97,3% e 2,7%.

 

Gruppo disciplinare.

Tra i fondatori, il 18,1% ha conseguito una laurea nel gruppo disciplinare economico-statistico, il 14,2% nel gruppo politico-sociale, il 9,4% in quello giuridico, l’8,6% in ingegneria, l’8,6% nel gruppo letterario, il 7,8% nel gruppo medico. Nel complesso della popolazione dei laureati, l’ambito disciplinare più diffuso è quello medico, con il 13,2%; il 12,7% ha invece conseguito una laurea nel gruppo disciplinare economico-statistico, l’11,8% nel gruppo politico-sociale, il 10,3% in ingegneria, l’8,6% nel gruppo letterario e l’8,5% in quello giuridico. Tutti gli altri gruppi disciplinari sono meno rappresentati, sia tra i fondatori sia tra i laureati complessivamente considerati.

 

 

 

 

 




Scuola e futuro, contro la “fuga di cervelli” il Piemonte punta sull’orientamento

Una rete di oltre 130 sportelli di orientamento in Piemonte e un sistema coordinato di azioni e servizi per ragazzi, scuole e famiglie: la Regione Piemonte dà il via alle nuove attività di orientamento, progettate per il triennio 2019-2022 e finanziate dal Fondo Sociale Europeo, con un investimento di 6,5 milioni di euro.

Obiettivi principali del sistema regionale, pensato per sostenere i ragazzi tra gli 11 e i 22 anni nella scelta consapevole dei percorsi più adatti, nei vari cicli di studio e nelle prime fasi della vita professionale, sono il coinvolgimento delle fasce scolastiche più precoci, il supporto per i casi di insuccesso o dispersione scolastica, il coinvolgimento dei genitori, la formazione degli orientatori, il raccordo con il mondo delle imprese e dei professionisti.

«Obiettivo Orientamento Piemonte si consolida e si rafforza su tutti i territori – spiega l’assessore regionale all’Istruzione, Elena Chiorino – garantendo interventi capillari e concertati: il sistema degli sportelli, infatti, copre l’intera regione, grazie a raggruppamenti territoriali di enti accreditati, che operano in chiave di coprogettazione con scuole, università, servizi per il lavoro, ma anche con istituzioni, organizzazioni datoriali, fondazioni e associazioni».

«Riteniamo l’orientamento una delle politiche attive più efficaci e da sosteneresottolinea il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio -. Per combattere la cosiddetta fuga di cervelli serve offrire ai giovani, già a partire dalle fasce d’età più basse, tutti gli strumenti e le informazioni che li aiutino a fare la scelta giusta per il proprio futuro. Non c’è nulla di male nell’andare a studiare o lavorare all’estero, a patto però che questa sia una scelta e non una necessità. Ecco perché l’orientamento diventa non solo importante, ma fondamentale per consentire ai ragazzi di costruire il loro futuro in Piemonte».

«Nessuno deve essere più costretto a “fuggire” – aggiunge l’assessore Chiorino – ed è nostro compito e volontà mettere in campo tutti gli strumenti per contrastare questo fenomeno, tra i quali un ruolo centrale è ricoperto proprio dall’orientamento».

Punti di orientamento per disoccupati più giovani sono attivi anche nei Centri per l’impiego. Nel Torinese, le attività sono gestite dalla Città Metropolitana di Torino. Tra le novità della nuova programmazione, il coinvolgimento delle scuole secondarie di primo e secondo grado che potranno attivare punti di accesso e consulenza orientativa, seminari informativi per genitori sull’offerta di istruzione e formazione, oltre alla creazioni di equipe territoriali di riferimento per i territori.

L’elenco gli sportelli è disponibile sul sito www.regione.piemonte.it

Ma quali sono le attività che vengono svolte negli sportelli di orientamento? Orientatori specializzati offrono una serie di servizi gratuiti e organizzano diverse attività individuali o laboratori in classe.

EDUCAZIONE ALLA SCELTA attraverso colloqui di informazione orientativa e definizione dei singoli fabbisogni.

RIPROGETTAZIONE DELLA CARRIERA SCOLASTICA E/O FORMATIVA attraverso un tutoraggio individuale, per studenti che hanno necessità di riprogettare un percorso, di rimotivarsi e di rientrare in istruzione/formazione.

SVILUPPO DI COMPETENZE ORIENTATIVE con attività utili a maturare la consapevolezza dei propri punti di forza e debolezza e confrontarli con le esigenze dettate dalle evoluzioni del mercato del lavoro e le proprie attitudini/i propri interessi.

ORIENTAMENTO ALLA PROFESSIONALITA’ attraverso incontri rivolti a gruppi di studenti per orientarli verso il mondo del lavoro, anche grazie a testimonianze qualificate su percorsi professionali ed esperienze di autoimprenditorialità.

I NUMERI.

Sono stati più di 130 mila, nel periodo 2016-2019, gli adolescenti ed i giovani coinvolti nelle attività di orientamento del sistema regionale, oltre 400 le scuole coinvolte, 400 gli orientatori in rete. Per il triennio 2019/2022 i numeri sono destinati a crescere visto il consolidarsi della rete operativa, delle azioni di animazione territoriale a cui si aggiunge il coinvolgimento di genitori e dei ragazzi fin dal 1° anno della secondaria di 1° grado. 

GLI EVENTI E GLI STRUMENTI.

Obiettivo Orientamento Piemonte è presente con postazioni informative dedicate e seminari per le famiglie nei Saloni di orientamento e nelle manifestazioni organizzate sui territori, in cui vengono presentati anche gli strumenti di orientamento realizzati dalla Regione Piemonte, come le Guide di orientamento dopo il primo ciclo e dopo il secondo ciclo di studi.

Il palinsesto, gli strumenti, i referenti regionali dell’iniziativa e tutti gli approfondimenti sulla pagina del sito dedicata

 




Al via Garanzia Giovani in Piemonte; nuove chances per avvicinare i giovani al mondo del lavoro

Riparte Garanzia Giovani in Piemonte, il programma dedicato ai giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, che potranno accedere ai servizi di politica attiva erogati da Centri per l’impiego e Agenzie per il lavoro accreditate con la Regione. L’iniziativa europea volta a favorire l’occupazione giovanile si avvia in Piemonte con un investimento complessivo di 37 milioni di euro.

Diverse le attività previste per avvicinare gli under 30 al mondo del lavoro: orientamento specialistico (colloqui individuali e laboratori di gruppo), servizi di identificazione e validazione delle competenze, accompagnamento al lavoro e tirocini extracurricolari della durata di sei mesi a tempo pieno.

«Il fenomeno dei cosiddetti NEET, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano, non è da sottovalutare ma, al contrario, da comprendere a fondo e da affrontare con misure efficaci e produttive, ma anche con un’importante azione “culturale” – spiega l’assessore regionale al Lavoro, Elena ChiorinoSecondo i dati Istat aggiornati al 2016 in Piemonte i NEET in età compresa fra i 15 e i 34 anni erano 185mila, poco meno di un quinto dei giovani della stessa età: la percentuale più alta fra le regioni industrializzate del centro Nord e noi non possiamo accettarlo.

Per prima cosa dobbiamo far comprendere alle famiglie e a quei ragazzi che, in molti casi – non tutti ovviamente – decidono di non lavorare per scelta e non per mancanza di un’offerta, troppe volte ritenuta inadeguata alle loro aspettative, che soltanto partendo “dal basso” o perfezionandosi negli studi con fatica e dedizione si può imboccare la strada per arrivare al successo, alla realizzazione dei propri sogni e delle proprie legittime ambizioni». «Sappiamo bene – prosegue Chiorino – che, in Italia, il più importante ammortizzatore sociale è rappresentato dalle famiglie.

Ma quanto può durare, nel lungo periodo, questa situazione? Bisogna pensare al futuro e non adagiarsi su un presente senza reali prospettive. Occorre quindi evitare qualsiasi misura di stampo assistenzialista e puntare sulle politiche attive, proprio come Garanzia Giovani Piemonte, rafforzando e rendendo ancora più efficace, come stiamo facendo, l’orientamento scolastico, la formazione e l’apprendistato, in modo da poter offrire a questi ragazzi la possibilità di inserirsi virtuosamente nel sistema produttivo. Dobbiamo fare in modo – conclude Chiorino – che per i giovani piemontesi il futuro non rappresenti più un’incognita che spaventa, ma un’opportunità da vivere da protagonisti».

Per aderire alle attività proposte, il giovane deve iscriversi al portale nazionale Garanzia Giovani, completare la registrazione su un portale regionale dedicato e prendere appuntamento con il proprio centro per l’impiego, dove viene preso in carico e riceve un primo orientamento; può quindi scegliere l’operatore accreditato che erogherà le misure di orientamento specialistico e di politica attiva del lavoro. Il primo passo per accedere, però, è il possesso delle credenziali SPID.

La precedente edizione di Garanzia Giovani ha permesso la presa in carico di 88.317 giovani, l’85% dei quali ha avuto almeno un avviamento in impresa, nel 68% dei casi con un contratto di almeno tre mesi (in particolare: 22.762 sono stati inseriti con contratto di apprendistato; 16.611 con contratto a tempo determinato di durata 3-6 mesi; 15.401 con contratto a tempo indeterminato; 15.516 con contratto a tempo determinato di durata superiore a 6 mesi; 43.410 in tirocinio).