Bollette e materie prime: sette imprese su dieci si sono “giocate” la ripresa e il 7% paventa fermo attività 

Ci siamo già “giocati” gran parte della cosiddetta ripresa. Il caro bollette e il caro materie prime stanno gravando fortemente sul settore dell’artigianato e della micro impresa piemontese. Secondo i dati di un’indagine di CNA: 

  • Gli incrementi risultano infatti compresi tra il +18,6% nella filiera del turismo e il +33,1% nel settore delle costruzioni 
  • Le imprese che intendono ritoccare i listini al rialzo sono, infatti, il 62,8% nella manifattura e il 54,4% nelle costruzioni 
  • Il 77,5% ritiene invece che l’aumento del costo dell’energia possa determinare una riduzione dei margini di guadagno. Il resto si divide tra quanti pensano di dovere ridurre la produzione (10,6%) e quanti paventano addirittura il fermo dell’attività (6,8%) 
  • Il 37% delle imprese che intende rinviare gli investimenti programmati 

Sul fronte del caro materie prime, i numeri arrivano suddivisi per provincia all’interno della Regione Piemonte grazie a una sezione dedicata del rapporto Monitor Piccole Imprese 2021, presentato il 26 gennaio scorso e curato dal prof Daniele Marini, docente di sociologia dei processi economici all’Università di Padova, direttore scientifico di Research&Analysis di Community e responsabile scientifico del progetto Monitor Piccole Imprese di CNA Piemonte in collaborazione con UniCredit. 

  • In Piemonte i costi di approvvigionamento di materie prime sono aumentati in modo significativo per 81,3% delle imprese 
  • La metà fra gli interpellati (55,6%) dichiara aumentato il livello di prezzo dei prodotti finiti. Mentre il 41,2% ha ritenuto più utile mantenere i livelli di prezzo, assorbendo così la maggiorazione dei costi e limando i propri margini. Molto poche sono le ditte che hanno potuto abbassare i prezzi ai clienti (3,2%) 
  • In ambito provinciale, sono le ditte cuneesi (+61,2) e alessandrine (+61,2) ad avere incrementato maggiormente i prezzi finali, mentre verbanesi (+45,9), astigiane (+45,5) e biellesi (+42,4) sono fra quelle che più di altre l’hanno mantenuto invariato.  
  •  Chi in misura maggiore ha cercato un aumento dei prezzi finali sono state le ditte più strutturate (+61,5, 5-9 addetti). Soprattutto sono le ditte dell’edilizia (+70,2) ad aver incrementato i prezzi finali. 

“Il panorama che avevamo davanti qualche mese fa all’insegna dell’ottimismo e della crescita, oggi si porta dietro il tema del rallentamento. Elemento significativo ed estremamente preoccupante sono il calo dei consumi e l’aumento dell’inflazione che stiamo registrando nelle ultime settimane. Sono elementi che fotografiamo nei timori della popolazione e nella parallela risposta dei mercati. Per questo abbiamo chiesto e chiediamo che i decisori politici nazionali e regionali si impegnino prioritariamente su questo fronte” ha dichiarato il segretario regionale di CNA Piemonte Delio Zanzottera. “Dobbiamo lavorare insieme alla Regione Piemonte e alle altre istituzioni alla creazione di politiche pubbliche a favore delle nostre imprese in un momento delicato come quello che stiamo vivendo. Siamo infatti ben lontani dalla fine dell’emergenza. Qualora questo momento rappresentasse la fine della pandemia come l’abbiamo vissuta, l’emergenza per le nostre imprese permarrà ancora per un tempo che non siamo in grado di circoscrivere”, ha aggiunto il presidente regionale di CNA Piemonte Bruno Scanferla. 

 

Bollette – Caro Energia: le imprese si riducono i guadagni o aumentano i prezzi finali, col rischio del blocco della produzione 

 Per le imprese che hanno partecipato all’indagine CNA nella media dei dodici mesi 2021 gli aumenti delle bollette risultano molto più marcati: rispetto al 2019 gli incrementi risultano infatti compresi tra il +18,6% nella filiera del turismo e il +33,1% nel settore delle costruzioni.  

La portata degli aumenti del prezzo dell’energia pagato dalle imprese potrebbe concorrere ad alimentare le pressioni inflazionistiche in maniera significativa nel 2022. Il 53% delle imprese crede infatti di trasferire i rincari sui prezzi dei loro prodotti. Di queste, il 44,7% intende farlo in misura parziale, l’8,4% interamente. 

 L’aumento dei prezzi di vendita nei prossimi mesi appare più probabile nei settori dell’industria: le imprese che intendono ritoccare i listini al rialzo sono, infatti, il 62,8% nella manifattura e il 54,4% nelle costruzioni. Si tratta di settori che, se da un lato presentano processi produttivi con consumi energetici in media più elevati, dall’altro subiscono un effetto a cascata poiché operano in filiere nelle quali già i fornitori di beni intermedi e di semilavorati hanno aumentato i prezzi di vendita in risposta al caro-energia. 

 La più alta incidenza della spesa per le materie energetiche sui costi totali riguarda in particolare le imprese manifatturiere, mentre il rincaro dei beni intermedi sta interessando soprattutto il settore delle costruzioni alle prese anche con la scarsità dei prodotti intermedi e dei semilavorati. A questo proposito è probabile che nel settore delle costruzioni, che ha registrato una forte espansione nel 2021, il 17,6% delle imprese che dichiara di volere traslare interamente i rincari sui prezzi di vendita sia costretta a farlo anche a causa delle difficoltà di approvvigionamento. 

La preoccupazione manifestata dal sistema produttivo nei riguardi dei rincari energetici, che molto spazio ha trovato nei media, è confermata dalle indicazioni delle imprese intervistate. Tra queste, infatti, solo il 5% immagina che l’impennata dei prezzi dell’energia non avrà effetti significativi sulla loro attività. 

 Il 77,5% ritiene invece che l’aumento del costo dell’energia possa determinare una riduzione dei margini di guadagno. Si tratta di un dato preoccupante considerando che la ripresa registrata nel 2021, pur significativa, non è stata sufficiente in molti settori a ripianare le perdite determinate dalla recessione innescata dalla pandemia. 

Il resto del campione si divide tra quanti pensano di dovere ridurre la produzione (10,6%) e quanti paventano addirittura il fermo dell’attività (6,8%). 

Rispetto alla media del campione, il timore di una diminuzione dei profitti appare più diffusa nel commercio (85,9%) e nei servizi per la persona (79,2%). Si tratta di quei settori che più di altri hanno subito le restrizioni sociali necessarie per contrastare la pandemia (le attività commerciali sono state spiazzate dalla forte diffusione delle vendite on-line mentre i servizi per la persona, che comprendono estetisti e parrucchieri, sono stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire). 

 La possibilità di dovere ridurre la produzione è paventata invece soprattutto dalle imprese manifatturiere (13,4%) che, come detto, sono quelle con consumi energetici mediamente più alti. Il fermo dell’attività è infine una eventualità considerata soprattutto dalle imprese operanti nella filiera del turismo (24%). 

Le imprese sono intenzionate a intraprendere iniziative per mitigare gli effetti negativi derivanti dal caro-bollette. 

La riduzione delle spese correnti, diverse da quelle attinenti all’acquisto dei prodotti energetici, è l’azione di contrasto maggiormente richiamata dagli intervistati (43,6%) insieme ad un più frequente aggiornamento dei listini (42%). Rilevante appare poi la quota di imprese che intende rinviare gli investimenti programmati (37%). Le azioni appena citate rappresentano evidentemente interventi di rapida attuazione, posti in essere per tamponare immediatamente l’emergenza. 

 Meno diffuse appaiono invece le azioni di natura strutturale. Le imprese che dichiarano di volere investire in tecnologie di efficientamento energetico sono infatti il 19,2% del totale, quelle che invece pensano di dovere ridurre gli organici e/o il monte salari sono rispettivamente il 10,8% e il 7,6% del campione. 

Questo il quadro generale. A livello settoriale però le risposte delle imprese risultano piuttosto eterogenee. 

 

La riduzione delle spese correnti diverse dall’energia è una strategia che risulta diffusa soprattutto nel settore dei trasporti (53,6%). Si tratta di un dato non sorprendente considerando il forte peso dell’energia stessa (in questo caso i combustibili per autotrazione) sul totale dei costi aziendali. 

La manifattura è invece il settore dove si intende contrastare il caro-energia con un mix di interventi. Da un lato, infatti, circa la metà delle imprese (il 50,8%) contempla la possibilità di aggiornare frequentemente i listini. Dall’altro, data la consapevolezza di operare in condizioni di forte concorrenza (molte imprese manifatturiere rivolgono la loro offerta anche oltre confine), appare molto consistente la quota di rispondenti che pensa di reagire al caro-bolletta rinviando al futuro investimenti già programmati (41%). 

Le scelte più drastiche, che implicano un ridimensionamento strutturale delle attività svolte, sono segnalate con maggiore frequenza nei settori che hanno riportato le maggiori perdite durante la recessione. Tra questi spicca la filiera del turismo dove molto consistente è la quota di imprenditori che crede di dovere licenziare (24%) e/o ridurre il costo complessivo delle retribuzioni/compensi (19,8%). 

 

I costi delle materie prime: Asti e Cuneo le più colpite 

 I costi di approvvigionamento di materie prime per le imprese sono aumentati in modo significativo per una parte cospicua (81,3%) delle interpellate, in una misura eccezionale rispetto a tutte le rilevazioni precedenti. Mentre solo per il 17,4% sono rimasti stabili nell’ultimo periodo e per una quota marginale (1,3%) sono diminuiti. Il saldo sale a +80,0, nettamente più elevato rispetto agli anni precedenti. 

Primo semestre 2021: i costi delle materie prime (rispetto al secondo semestre 2020; val. %) 

Costi materie prime  Aumento  Stabile  Diminuzione  Saldo 
2021  81,3  17,4  1,3  +80,0 
2020*  37,0  57,2  5,8  +31,2 
2019**  55,2  43,4  1,4  +53,8 
2018***  61,1  37,1  1,8  +59,3 
Province         
Alessandria  87,1  12,0  0,9  +86,2 
Asti  82,8  16,1  1,1  +81,7 
Biella  72,8  27,2  0,0  +72,8 
Cuneo  85,4  14,6  0,0  +85,4 
Piemonte Nord  80,5  17,8  1,7  +78,8 
Novara  80,9  19,1  0,0  +80,9 
Verbania-Cusio-Ossola  76,5  22,3  1,2  +75,3 
Vercelli  80,0  13,3  6,7  +73,3 
Torino  81,4  16,9  1,7  +79,7 
Dimensione         
1 addetto (titolare)  76,3  21,3  2,4  +73,9 
2-4 addetti  81,4  17,1  1,5  +79,9 
5-9 addetti  85,7  13,7  0,6  +85,1 
Oltre 10 addetti  83,2  16,8  0,0  +83,2 
Settore         
Manifatturiero  85,6  13,3  1,1  +84,5 
Edilizia  90,0  9,4  0,6  +89,4 
Commercio e servizi  71,0  26,8  2,2  +68,8 
Fatturato         
Fino a 50mila€  78,8  19,0  2,2  +76,6 
50-100mila€  79,9  19,4  0,7  +79,2 
101-500mila€  81,7  17,5  0,8  +80,9 
Oltre 501mila€  85,8  13,5  0,7  +85,1 
Apertura mercati         
Diretta  83,4  14,8  1,8  +81,6 
Indiretta  79,8  19,0  1,2  +78,6 
Domestico  81,9  17,0  1,1  +80,8 

 

All’interno dell’universo degli interpellati non si rilevano fratture di rilievo, a mettere in luce come il tema dei costi accomuni l’intero sistema produttivo. A voler individuare le realtà più problematiche possiamo sottolineare come le imprese alessandrine (87,1%) e cuneesi (85,4%) denuncino le maggiorazioni di costi più elevate, e così pure le ditte dell’edilizia (90,0%), quelle che presentano i fatturati più elevati (85,8%, oltre 500 mila €) o che hanno sbocchi diretti su mercati esteri (83,4%). In ogni caso, il tema dell’aumento dei costi coinvolge indifferentemente l’intero sistema produttivo. 

 

Primo semestre 2021: il prezzo dei prodotti finiti (rispetto al secondo semestre 2020; val. %) 

Prezzo prodotti finiti  Aumento  Stabile  Diminuzione  Saldo 
2021  55,6  41,2  3,2  +52,4 
2020*  21,3  69,1  9,6  +11,7 
2019**  26,2  66,7  7,1  +19,1 
2018***  31,0  62,8  6,2  +24,8 
Province         
Alessandria  63,8  33,6  2,6  +61,2 
Asti  48,9  47,7  3,4  +45,5 
Biella  47,8  46,8  5,4  +42,4 
Cuneo  62,2  36,8  1,0  +61,2 
Piemonte Nord  53,8  43,8  2,4  +51,4 
Novara  55,8  42,4  1,8  +54,0 
Verbania-Cusio-Ossola  47,1  51,7  1,2  +45,9 
Vercelli  57,1  35,8  7,1  +50,0 
Torino  56,1  40,3  3,6  +52,5 
Dimensione         
1 addetto (titolare)  51,4  43,8  4,8  +46,6 
2-4 addetti  53,6  42,8  3,6  +50,0 
5-9 addetti  63,8  33,9  2,3  +61,5 
Oltre 10 addetti  54,3  44,2  1,5  +52,8 
Settore         
Manifatturiero  46,8  49,7  3,5  +43,3 
Edilizia  71,2  27,8  1,0  +70,2 
Commercio e servizi  46,0  49,2  4,8  +41,2 
Fatturato         
Fino a 50mila€  48,7  47,0  4,3  +44,4 
50-100mila€  55,4  41,2  3,4  +52,0 
101-500mila€  59,1  38,3  2,6  +56,5 
Oltre 501mila€  63,7  34,9  1,4  +62,3 
Apertura mercati         
Diretta  61,3  35,6  3,1  +58,2 
Indiretta  53,2  41,6  5,2  +48,0 
Domestico  55,9  41,9  2,2  +53,7 

 

Parzialmente diversa è la questione dei prezzi dei prodotti finiti. Nonostante il costo dell’approvvigionamento sia aumentato per una quota importante, tale incremento si scarica solo parzialmente sul prezzo finale. La metà fra gli interpellati (55,6%) dichiara di avere realizzato un aumento, in decisa crescita rispetto alle precedenti rilevazioni. Mentre il 41,2% ha ritenuto più utile mantenere i livelli di prezzo, assorbendo così la maggiorazione dei costi e limando i propri margini. Molto poche sono le ditte che hanno potuto abbassare i prezzi ai clienti (3,2%). 

In questo caso, possiamo osservare alcune articolazioni interessanti: 

In ambito provinciale, sono le ditte cuneesi (+61,2) e alessandrine (+61,2) ad avere incrementato maggiormente i prezzi finali, mentre verbanesi (+45,9), astigiane (+45,5) e biellesi (+42,4) sono fra quelle che più di altre l’hanno mantenuto invariato. 

Chi in misura maggiore ha cercato un aumento dei prezzi finali sono state le ditte più strutturate (+61,5, 5-9 addetti). Soprattutto sono le ditte dell’edilizia (+70,2) ad aver incrementato i prezzi finali. 

Infine, sono state costrette a comprimere maggiormente i prezzi quelle imprese che hanno sbocchi diretti sui mercati internazionali (+58,2). 

Come si è potuto osservare, nel rapporto fra costi di approvvigionamento e definizione dei prezzi finali non esiste una correlazione simmetrica. Le ditte artigiane e le piccole imprese hanno conosciuto un aumento rilevante nel 2021 dei costi delle materie prime e dei servizi, ma cercano di contenere il rincaro dei prezzi finali, limando così i margini al fine di rimanere competitive sui mercati. Tuttavia, una simile strategia è plausibile per chi ha strutture dimensionali che consentano di distribuire all’interno dell’impresa il minor introito, chi realizza prodotti o servizi particolarmente richiesti dal mercato o è presente su mercati più ampi di quello domestico. Viceversa, le aziende con più difficoltà (le ditte edili o quelle con pochissimi addetti) cercano più di altre di scaricare il costo sul prezzo finale, ma con esiti che non sembrano sortire effetti particolarmente positivi

41,6  5,2  +48,0 
Domestico  55,9  41,9  2,2  +53,7 

 

Parzialmente diversa è la questione dei prezzi dei prodotti finiti. Nonostante il costo dell’approvvigionamento sia aumentato per una quota importante, tale incremento si scarica solo parzialmente sul prezzo finale. La metà fra gli interpellati (55,6%) dichiara di avere realizzato un aumento, in decisa crescita rispetto alle precedenti rilevazioni. Mentre il 41,2% ha ritenuto più utile mantenere i livelli di prezzo, assorbendo così la maggiorazione dei costi e limando i propri margini. Molto poche sono le ditte che hanno potuto abbassare i prezzi ai clienti (3,2%). 

In questo caso, possiamo osservare alcune articolazioni interessanti: 

In ambito provinciale, sono le ditte cuneesi (+61,2) e alessandrine (+61,2) ad avere incrementato maggiormente i prezzi finali, mentre verbanesi (+45,9), astigiane (+45,5) e biellesi (+42,4) sono fra quelle che più di altre l’hanno mantenuto invariato. 

Chi in misura maggiore ha cercato un aumento dei prezzi finali sono state le ditte più strutturate (+61,5, 5-9 addetti). Soprattutto sono le ditte dell’edilizia (+70,2) ad aver incrementato i prezzi finali. 

Infine, sono state costrette a comprimere maggiormente i prezzi quelle imprese che hanno sbocchi diretti sui mercati internazionali (+58,2). 

Come si è potuto osservare, nel rapporto fra costi di approvvigionamento e definizione dei prezzi finali non esiste una correlazione simmetrica. Le ditte artigiane e le piccole imprese hanno conosciuto un aumento rilevante nel 2021 dei costi delle materie prime e dei servizi, ma cercano di contenere il rincaro dei prezzi finali, limando così i margini al fine di rimanere competitive sui mercati. Tuttavia, una simile strategia è plausibile per chi ha strutture dimensionali che consentano di distribuire all’interno dell’impresa il minor introito, chi realizza prodotti o servizi particolarmente richiesti dal mercato o è presente su mercati più ampi di quello domestico. Viceversa, le aziende con più difficoltà (le ditte edili o quelle con pochissimi addetti) cercano più di altre di scaricare il costo sul prezzo finale, ma con esiti che non sembrano sortire effetti particolarmente positivi. 




“Allontanamento zero”, previsto tavolo di lavoro con Cirio

Per districare la matassa del Ddl 64 “Allontanamento zero. Interventi a sostegno della genitorialità e norme per la prevenzione degli allontanamenti”, è stato programmato per il 10 febbraio un incontro tra il presidente della Giunta regionale, Alberto Cirio sulle tematiche della legge in discussione, con le associazioni delle famiglie affidatarie e con alcuni docenti universitari. Al tavolo di lavoro sarà presente anche l’assessore al Welfare Chiara Caucino, che oggi era presente in Commissione Sanità, presieduta da Alessandro Stecco.

I lavori della Quarta sono comunque proseguiti, con l’esposizione degli emendamenti all’art. 1 e precisamente, l’illustrazione di tredici subemendamenti sottoscritti dai consiglieri delle opposizioni, primi firmatari Monica Canalis (Pd) e Marco Grimaldi (Luv), all’emendamento che riscrive il primo articolo della legge (finalità e i principi generali del provvedimento), presentato dalla Giunta.




Costi energetici: Filippa (Cnvv), “è in arrivo la tempesta perfetta” 

«Una tempesta perfetta, che potrebbe avere esiti devastanti per la nostra industria». Così il presidente di Confindustria Novara Vercelli Valsesia (Cnvv), Gianni Filippa, definisce l’aumento esponenziale dei costi di elettricità e gas naturale, che sta mettendo in crisi intere filiere produttive e non accenna a diminuire nel breve periodo.

«L’economia italiana, ma anche quella dei nostri territori – spiega Filippa – deve fronteggiare un drammatico aumento dei costi delle commodity energetiche, accompagnato da un significativo aumento dei prezzi delle materie prime. Il prezzo del gas è passato dai 9,9 centesimi di euro al metro cubo del 2020 ai 49 del 2021 (+396%), mentre i prezzi dell’energia elettrica sono passati dai 39 euro per MegaWattora del 2020 ai 125 del 2021 (+222%), con una fortissima volatilità nelle ultime quattro settimane dovuta principalmente ad attori finanziari che seguono dinamiche non compatibili con le logiche industriali.

A questi ritmi i costi energetici del 2022 potrebbero più che raddoppiare rispetto all’anno scorso, diventando insostenibili per molte aziende, che rischiano di dover interrompere l’attività. Purtroppo, non in tutti i Paesi nostri concorrenti sta succedendo la stessa cosa; per citare un esempio a noi vicino, in Francia il governo lo scorso ottobre ha allocato all’industria circa 100 TeraWattora (il 25% della produzione nazionale) al prezzo di 42,2 €/MWh e la scorsa settimana ha aumentato il contingente di energia prodotto da centrali nucleari per l’industria di un ulteriore 20%, una misura che su base annua è stimata in 20 miliardi di euro in valore».

«Per questo motivo – prosegue Filippa – il sistema Confindustria chiede al governo italiano alcune misure che dovranno essere prese con la massima urgenza: la cessione della produzione nazionale di gas ai settori industriali per dieci anni con anticipazioni dei benefici finanziari dal 2022; l’estensione dell’abbattimento degli oneri di sistema per gli impegni di potenza superiori ai 16,5 KiloWattora nel settore elettrico e l’aumento delle aliquote di agevolazione per le componenti parafiscali della bolletta nei limiti previsti dalla normativa europea.

Un intervento che non potrà essere realizzato a breve ma che è stimabile possa andare a regime entro un anno è anche l’incremento della produzione nazionale di gas naturale di almeno tre miliardi di metri cubi, che consentirebbe, attraverso un contratto decennale, la cessione alle aziende “gasivore” ad un prezzo compreso tra i 16 e i 20 €/mc. A queste misure si dovrebbe accompagnare l’aumento della remunerazione dell’interrompibilità tecnica dei consumi, sia di gas sia di energia».

«Importante – aggiunge il presidente di Cnvv – è anche una modifica strutturale del sistema gas europeo attraverso interventi sistemici con un nuovo meccanismo da applicarsi agli scambi “cross-border” tra stati membri che eviti la creazione di barriere tariffarie. Dobbiamo, inoltre, arrivare a una progressiva diversificazione delle direttrici di approvvigionamento del metano attraverso, ad esempio, il raddoppio del Tap, le importazioni dall’Algeria e le partecipazioni allo sfruttamento delle nuove disponibilità nel Mediterraneo.

Per quanto riguarda il mercato elettrico, invece, ulteriori misure da prendere nell’immediato sono la cessione di energia rinnovabile consegnata al Gse per un quantitativo di circa 25 TeraWattora e trasferita ai settori industriali ad un prezzo di 50 euro per MegaWattora, la compensazione dei costi indiretti derivanti dal meccanismo di scambio di quote di CO2 e alcune agevolazioni per le aziende più energivore. Sul piano strutturale, poi, nel settore elettrico è necessario intervenire accelerando il processo autorizzativo per lo sviluppo delle tecnologie di produzione da fonte rinnovabile, trasferendo al consumatore finale il trend di riduzione del costo delle nuove tecnologie, e intervenire, d’intesa con le Regioni, sulle modalità di assegnazione delle concessioni di derivazione idroelettrica secondo una logica di destinazione prevalente al consumo industriale».

«L’attività incessante del Consorzio “San Giulio”, la società per i servizi energetici di Cnvv – conclude Filippa – sta riuscendo a compensare, seppur parzialmente, l’aumento dei costi grazie a una gestione ad “Active Portfolio Management”. In mancanza di interventi strutturali da parte governativa, però, anche il nostro impegno diretto potrebbe rivelarsi insufficiente, con conseguenze irreparabili per il sistema manifatturiero».




Peste suina, Confagricoltura impegnata nell’emergenza al fianco delle istituzioni

Gli assessorati regionali alla sanità e all’agricoltura della Regione Piemonte, sulla base delle ordinanze ministeriali in materia di contrasto della peste suina africana, hanno emanato specifiche disposizioni per il monitoraggio dei cinghiali colpiti dalla malattia e per avviare azioni di contenimento della fauna selvatica, sia nella zona infetta e nell’area adiacente, sia nel resto del territorio piemontese.

Per contrastare l’epidemia nell’arco dei prossimi 12 mesi – spiega il presidente di Confagricoltura Piemonte Enrico Allasia – sarà indispensabile abbattere circa 50.000 cinghiali, che si sono rivelati, come purtroppo avevamo denunciato da tempo, vettori della peste suina africana. La proliferazione di questi selvatici è ormai abnorme e occorre riportare in equilibrio l’ambiente naturale che oggi è messo a rischio anche per quanto riguarda la tutela della biodiversità”.

Confagricoltura ricorda che il numero di 50.000 cinghiali è frutto di un preciso calcolo: in base al “Manuale operativo pesti suine” redatto dal Centro nazionale di lotta ed emergenza contro le malattie animali e dall’Unità centrale di crisi della Direzione Generale Sanità animale e Farmaci veterinari del Ministero della Salute, è infatti previsto che “un’efficace opera di depopolamento si raggiunge quando vengono abbattuti il doppio dei cinghiali abbattuti normalmente durante l’attività venatoria”.

Escludendo dal calcolo gli anni 2020 – 2021 nei quali l’azione di contenimento dei cinghiali è stata fortemente limitata dalla pandemia di COVID-19 che ha imposto una serie di restrizioni all’attività venatoria, in Piemonte vengono abbattuti annualmente circa 25.000 cinghiali e, nonostante questo, la proliferazione di ungulati è ancora eccessiva. “Questo perché la gestione venatoria degli ultimi vent’anni si è dimostrata totalmente inefficace – dichiara Allasia – per non dire fallimentare: adesso bisogna concentrarsi sul contenimento dei danni e parallelamente riprogrammare il sistema degli ambiti territoriali di caccia e dei comparti alpini, che non riescono a rispondere in modo adeguato alle esigenze di contenimento della forma selvatica sul territorio”.

Confagricoltura sta collaborando con l’unità di crisi della Regione Piemonte nell’attività di monitoraggio dei cinghiali, partecipando alla rilevazione delle carcasse di animali morti nei fondi condotti dagli agricoltori. “Stiamo lavorando con grande attenzione – aggiunge Enrico Allasia – per evitare che si verifichino troppi passaggi nelle aree infette e per far sì che la zona delimitata rimanga quella attualmente circoscritta. Sulla base delle informazioni che abbiamo ricevuto dalla Regione entro la prima settimana di febbraio si dovrebbero concludere i monitoraggi, dopodiché,
nell’area infetta, si potranno avviare le operazioni di abbattimento, a scopo precauzionale, dei suini allevati allo stato semi-brado e brado, avviando parallelamente l’azione di contenimento dei cinghiali selvatici negli altri territori”.
Confagricoltura accolto con favore la nomina di Giorgio Sapino a commissario per la gestione dell’emergenza la peste suina in provincia di Alessandria. “Sapino è un veterinario di lunga esperienza – dichiara Enrico Allasia – che conosce bene la zootecnia piemontese e saprà lavorare con la passione che l’ha sempre contraddistinto per contribuire a contenere i danni di questa emergenza“.
Grande apprezzamento viene anche espresso da Confagricoltura per la nomina del commissario interregionale per la gestione dell’emergenza peste suina: il governo, al termine della riunione di martedì scorso a Roma tra i ministri della Salute Speranza e delle Politiche Agricole Patuanelli, con i presidenti e gli assessori alla Sanità delle Regioni Piemonte e Liguria, ha affidato l’incarico ad Angelo Ferrari, 67 anni, direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. “La scelta di Ferrari ci rassicura – afferma Enrico Allasia – perché è stato individuato un tecnico di alto profilo che si è contraddistinto, nel corso della sua lunga carriera tutta interna all’istituto, per le sue doti di professionalità e competenza. Al dottor Ferrari, al quale assicuriamo la piena collaborazione di Confagricoltura, formuliamo i migliori auguri di buon lavoro, certi che saprà ancora nuove una volta mettere a servizio del comparto zootecnico il suo impegno per fronteggiare con determinazione una situazione difficile, nella quale è necessario agire con fermezza e con rigore scientifico”.




Con “PNRR Borghi” si investa sul forte di Fenestrelle, l’appello del territorio pinerolese

Il territorio Pinerolese unito lancia con la presente un forte appello affinché gli enti pubblici competenti a partire dalla Regione Piemonte ma, con ciò, interpellando e coinvolgendo anche il Ministero della Cultura, il Ministero del Turismo, la Città Metropolitana di Torino, l’Agenzia del Demanio Piemonte e Valle D’Aosta e la Soprintendenza alle Belle Arti si attivino affinché si avvii una valutazione di merito rispetto all’opportunità di individuare il forte di Fenestrelle quale bene faro del territorio – bene storico culturale di rilevanza mondiale – su cui attuare un progetto di rilancio attraverso i fondi del Piano Nazionale Borghi previsto dal PNRR.

In particolare con la Linea A del cd. “PNRR Borghi” che potrebbe mettere immediatamente a disposizione 20 Mln di euro per attuare un progetto di recupero, valorizzazione e sviluppo senza eguali a livello italiano e europeo.

 

Il Territorio Pinerolese ritiene infatti che il Forte di Fenestrelle anche in dialogo con il Forte di Exilles – beni di assoluto interesse regionale, nazionale e internazionale – possano davvero essere luoghi e spazi fisici adatti all’attuazione di un progetto esemplare per la rigenerazione culturale, sociale ed economica di un’area vasta di territorio metro-montano che necessita urgentemente di politiche di sostegno e sviluppo in ambito sociale, culturale ed economico.

Con questa assunzione crediamo possa essere più che evidente a tutti che, all’interno di un’auspicata visione e programmazione politica territoriale di vero approccio “metro-montano”, la candidatura del Forte di Fenestrelle e del Forte di Exilles sulla linea A del Piano Nazionale Borghi del PNRR sia non solo auspicabile ma assolutamente idonea e in linea con le finalità poste alla base della linea di finanziamento.

In particolare è da affermare che le due realtà, in dialogo con la Città di Torino e con l’area vasta del territorio su cui insistono, rappresentano un’opportunità unica in cui sperimentare un percorso di innovazione sociale, culturale, economica ed ambientale, incentrato sull’attuazione di progetti che prevedano, nell’assoluto rispetto dei luoghi e del loro valore storico-culturale, l’insediamento di nuove e innovative funzioni quali: infrastrutture e servizi nel campo della cultura, del turismo, del sociale o della ricerca, come ad esempio scuole o accademia di arti e dei mestieri della cultura, alberghi diffusi, residenze d’artista, centri di ricerca e campus universitari, residenze sanitarie assistenziali (RSA) dove sviluppare anche programmi a matrice culturale, spazi di smart working e/o co-working per lavoratori e nomadi digitali. Punto di partenza e svolta per l’attivazione di circoli virtuosi e importanti ricadute socio-economiche di grande impatto su tutto il territorio, non solo locale.

Come già affermato questo progetto sarebbe, infatti, perfettamente in linea con gli intenti del PNRR e capace di incidere realmente su dinamiche di riassetto territoriale e di sviluppo socio-economico importanti ed essenziali per tutta l’area riferimento, per l’intera Città Metropolitana di Torino e la Regione Piemonte stessa.

 

Sempre nella stessa ottica il Territorio Pinerolese lancia sin d’ora anche l’idea della candidatura del Forte di Fenestrelle a Patrimonio Mondiale dell’Unesco e chiede al MIC, alla Regione Piemonte, alla Città Metropolitana di Torino, alla Sovrintendenza e al Demanio di partecipare attivamente aprendo un tavolo con il Territorio Pinerolese per la redazione di un piano di valorizzazione pluridecennale che garantisca la possibilità di mettere in campo progettualità di altissimo livello e con obiettivi ambiziosi che valorizzino le professionalità attualmente esistenti, a garanzia degli attuali livelli occupazionali e potendo addivenire, a preziosi incrementi occupazionali. Questi progetti e percorsi avrebbero una maggiore potenzialità potendo contare sull’esperienza di donne e uomini, maturata attraverso la conoscenza diretta del valore del bene, della sua storia e dell’organizzazione. La possibilità di investire le risorse del PNRR in oggetto e, contestualmente, di avviare il suddetto percorso potrebbero certamente determinare un impatto molto importante con effetti che in buona parte potrebbero largamente superare con segno positivo le attese che si possono in questo momento solo immaginare.

 

Il Territorio Pinerolese finalmente unito e coeso, come si evince dal Protocollo sottoscritto a Dicembre 2021, in questo preciso momento storico fa proprie le urgenze e le emergenze di un’area che rischia di restare indietro e che ha perso molto e forse più di tutti nel corso degli ultimi decenni e, nello stesso tempo, si dichiara consapevole delle sue potenzialità e di avere tutte le carte in regola (e forse più) per accedere all’opportunità unica e straordinaria del PNRR. Va da sé che per quanto previsto dalle disposizioni in essere è però una scelta e un’assunzione di responsabilità che deve in primis essere assunta dagli enti sovra-comunali e sovra-territoriali e, in particolare, dalla Regione Piemonte a cui rivolgiamo questo appello e questa precisa richiesta.

 

Ci auspichiamo che la presente venga presa in considerazione e che la Regione Piemonte voglia quanto meno attivare un confronto con quei territori come il nostro in cui certamente i 20 Mln di euro messi a disposizione dalla Linea A del “PNRR Borghi” potrebbero essere investiti in modo più che idoneo e con coerenza rispetto alle finalità con le quali sono stati stanziati dall’Europa in ragione dell’emergenza sanitaria, sociale e economica che tutti stiamo affrontando.

Siamo consapevoli inoltre che si tratta di debiti che graveranno sulle generazioni future, rispetto alle quali abbiamo almeno l’obbligo morale di fare di tutto quanto in nostro potere affinché le risorse che verranno investite possano davvero generare quanta più stabilità, ricchezza e benessere diffuso possibili su un ampio territorio di riferimento.

 

Ovviamente ci dichiariamo immediatamente disponibili per un confronto sul tema posto auspicandoci un vostro celere riscontro e attenzione.

 




Osservatorio export delle province di Novara e Vercelli

La dinamica dell’export complessivo e manifatturiero delle province di Novara
e Vercelli globalmente considerate

Nel terzo trimestre del 2021 prosegue il recupero delle esportazioni complessive,
osservabile sia a livello provinciale che a livello nazionale: l’export delle province di Novara
e Vercelli è infatti cresciuto del +7,3% rispetto al terzo trimestre del 2020; quello italiano è
risultato in progresso del +13,6%.

Si rileva, dunque, un certo rallentamento rispetto alle performance del trimestre precedente, ma occorre considerare che il secondo trimestre del 2020 è stato il più catastrofico dell’anno e che, di conseguenza, la componente del rimbalzo nel secondo trimestre del 2021 è stata più forte. Osservando il dato relativo ai primi nove mesi dell’anno, le esportazioni complessive delle province di Novara e Vercelli
sono cresciute del +13,6% tendenziale; quelle italiane del +20,1%.

Considerando le sole esportazioni manifatturiere delle province di Novara e Vercelli, pari a
5,8 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2021, si registra un incremento del +13,4%
rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; incremento trasversale a tutti i settori, con le sole eccezioni del piccolo comparto del coke e prodotti petroliferi raffinati, che flette del 20,6%; di quello più rilevante degli articoli farmaceutici e botanici, che si riduce del 2,5%; e degli articoli di abbigliamento, che si contraggono del 14,3%. All’interno dell’aggregato prodotti tessiliabbigliamentopelliaccessori (che nel complesso registra un progresso del +2,6%), l’export di prodotti tessili cresce invece del +13,5%. Quanto agli altri settori manifatturieri, le performance migliori si registrano per i mezzi di trasporto (+33,7%); i metalli di base e prodotti in metallo (+23,5%); i macchinari e apparecchi (+20,2%), con al loro interno il comparto della rubinetteria e valvolame che mette a segno un +20,6%.

Le sostanze e prodotti chimici crescono del +19,1%; i prodotti alimentari, bevande e tabacco del +16,8%; gli articoli in gomma e materie plastiche del +13,9%. Molto buona anche la crescita dell’export dei comparti più piccoli del legno, prodotti in legno, carta e stampa (+25,9%) e dei computer, apparecchi elettronici ed ottici (+15,9%); infine, gli apparecchi elettrici crescono di un più ridotto +5,4%.Per quanto riguarda la ripartizione geografica dell’export manifatturiero delle due province, nei primi nove mesi del 2021 si osserva un incremento tendenziale del +16,9% delle vendite dirette all’interno dell’Ue27 e del +8,8% verso i Paesi extraUe.

Le esportazioni di manufatti dirette verso i 27 Paesi Ue, pari a 3,35 miliardi di euro, rappresentano nei primi nove mesi del 2021 il 58,0% dell’export manifatturiero delle province di Novara e Vercelli considerate insieme; quelle dirette verso i mercati extraUe, pari a 2,43 miliardi di euro, equivalgono al 42,0% dell’export manifatturiero delle due province.


Quanto ai singoli mercati di sbocco, nei primi nove mesi del 2021 si evidenziano
performance molto buone verso tutti i principali Paesi di destinazione dell’export
manifatturiero delle province di Novara e Vercelli globalmente considerate, fatta eccezione
(come già rilevato nel precedente Osservatorio) per il Regno Unito, che flette del 1,8% ma
si conferma il quarto mercato di destinazione delle esportazioni manifatturiere delle due
province; e soprattutto per la Svizzera, che flette del 44,5% conservando, tuttavia, l’ottava posizione. Gli incrementi maggiori dell’export si registrano verso la Cina (+32,2%) che guadagna una posizione, divenendo sesta; il Belgio (+29,6%) che rimane fermo al decimo posto; i Paesi Bassi (+24,5%) che perdono una posizione divenendo settimi; e la Spagna (+20,4%) che si conferma quinta.




Misura 11 del Psr, Confagricoltura: la notifica di inizio attività biologica prorogata al 28 febbraio

La Regione Piemonte alla fine dell’anno scorso aveva preannunciato l’apertura di un bando per la presentazione di nuove domande ai sensi dell’operazione 11.1.1 con la precisazione che, ai fini dell’ammissibilità delle domande di sostegno, sarebbero state accettate le notifiche di inizio attività biologica presentate entro il termine del 31 gennaio 2022.

Confagricoltura aveva subito presentato alla Regione una richieste di proroga del termine, evidenziando la necessità di un periodo di tempo più lungo per l’esecuzione delle scelte produttive degli agricoltori, l’aggiornamento dei titoli di conduzione e, conseguentemente, del fascicolo aziendale.

La Regione ha accolto la richiesta, concedendo la proroga dei termini al 28 febbraio prossimo, con la motivazione che la manifestazione del mutamento nelle scelte imprenditoriali, agronomiche e tecniche ai fini della conversione al biologico della Misura 11 deve avvenire entro la ripresa vegetativa per far sì che il periodo di svolgimento degli impegni e l’anno finanziario di riferimento per il pagamento siano il più possibile allineati e che le successive verifiche siano appropriate.  “Anche per gli anni a venire – ha precisato con una nota la Regione – il termine potrà essere il medesimo o addirittura anticipato, nella prospettiva di aperture a cadenza annuale di bandi per l’agricoltura biologica e di scadenze simili tra le diverse amministrazioni regionali”.




Questa mattina a Novi Ligure l’assemblea di zona di Confagricoltura Alessandria

Questa mattina alle 9.30 nel salone del Dopolavoro Ferroviario in Piazza Falcone e Borsellino 16 a Novi Ligure si riunisce l’assemblea zonale di Confagricoltura Alessandria.

La riunione si aprirà con una parte privata dedicata al rinnovo delle cariche sociali per il quadriennio 2022-2025.

A seguire un approfondimento sulla riforma della Pac 2023-2027 a cura del responsabile economico di Confagricoltura Alessandria, Roberto Giorgi.




Irap abolita per professionisti e imprenditori individuali 

La legge di Bilancio 2022 stabilisce che dal periodo di imposta 2022 l’Irap non è più dovuta dai contribuenti persone fisiche esercenti attività commerciali, arti e professioni.

Restano soggetti all’Irap gli altri contribuenti che già pagano l’imposta come :

  • gli studi professionali associati;
  • le società di persone;
  • le società di capitali;
  • gli enti commerciali in generale;
  • gli enti del terzo settore.

Ccoloro i quali aderivano al regime forfetario ne erano già esclusi, la modifica normativa allarga l’esclusione a tutti coloro che esercitano attività di impresa o di lavoro autonomo personalmente e individualmente.

Per le  partite IVA (professionisti, autonomi, ditte individuali) non aderenti al regime forfetario, l’ultimo versamento Irap sarà il saldo (eventuale) dell’imposta 2021, da versare a giugno 2022, dato che l’esonero dall’imposta decorre dall’anno fiscale 2022 e tali soggetti non possono avere un anno fiscale non coincidente con quello solare. Ovviamente non saranno dovuti gli acconti 2022, di solito previsti in giugno e in novembre.




Nati mortalità delle imprese 2021: il saldo di fine anno è positivo

Il 2021 si chiude restituendo segnali di crescita per il sistema imprenditoriale della provincia di Cuneo.

 

Nel periodo gennaio-dicembre 2021 la Camera di commercio di Cuneo riporta la nascita di 3.504 nuove iniziative imprenditoriali, 560 in più (+19,0%) rispetto all’anno precedente, e 3.240 cessazioni (al netto delle cancellazioni d’ufficio), 112 in meno                  (-3,3%) rispetto al 2020.

Queste dinamiche hanno consegnato un saldo positivo a fine anno di 264 unità, corrispondente a un tasso di crescita del +0,40% (-0,61% nel 2020 e -0,91% nel 2019).

Lo stock di imprese a fine dicembre 2021 è pari a 66.086 sedi, mentre sono 81.049 le localizzazioni (comprensive di unità locali; erano 80.994 a fine 2020).

“A fine 2021 il saldo tra iscrizioni e cessazioni è positivo ed il numero complessivo delle imprese è tornato a crescere. Dobbiamo continuare ad essere ottimisti – afferma il presidente Mauro Gola – anche se il Covid, l’inflazione e, soprattutto, il folle aumento della bolletta energetica rappresentano una seria minaccia per lo sviluppo. Il sistema imprenditoriale ritiene che sia assolutamente indispensabile che la politica adotti misure congiunturali e strutturali per arginare il caro energia. Dalla bontà di queste scelte dipendono la tenuta delle imprese, la loro competitività sui mercati internazionali e la crescita del Paese”.

 

Il tasso di crescita della provincia di Cuneo (+0,40%) risulta più contenuto rispetto a quello regionale (+1,10%) e nazionale (+1,42%).

 

L’analisi dei dati dal punto di vista della forma organizzativa delle aziende ribadisce il rafforzamento strutturale del sistema imprenditoriale provinciale. A evidenziare una sostenuta espansione sono infatti, anche nel 2021, le società di capitale che, con un peso del 13,6% sul totale delle aziende cuneesi, registrano un tasso di variazione del +3,57% a cui seguono le altre forme (in cui confluiscono cooperative e consorzi) con un +1,62%. Appare, invece, negativa la performance delle restanti forme giuridiche. Il risultato meno confortante è riportato dalle società di persone (-0,19%) seguite dalla ditte individuali (-0,10%) che costituiscono il 61,9% delle imprese provinciali.

 

Tra i settori di attività la dinamica più incoraggiante viene registrata dagli altri servizi (+2,22%) seguiti dalle costruzioni (+1,94%) che rappresentano il 13,3% delle aziende di Granda  e dal turismo (+0,83%) che presenta un risultato migliore rispetto a quello regionale (+0,13%), complice una stagione estiva che ha visto numeri incoraggianti soprattutto per l’area alpina e per tutto il comparto legato all’outdoor.

Negativi i trend esibiti dagli altri comparti provinciali. A pagare le maggiori conseguenze è l’agricoltura (-1,12%), seguita dall’industria in senso stretto (-0,69%) e dal commercio (-0,32%).