Classe energetica immobili, la più diffusa è la G

I potenziali acquirenti sono stati sempre attenti alla prestazione energetica dell’immobile, ancora di più dopo il primo lockdown quando la permanenza forzata in casa li ha resi maggiormente consapevoli dei costi energetici.

Questi ultimi, alla luce anche dei rialzi in corso, saranno sempre più ponderati nella valutazione della scelta dell’immobile. L’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa ha analizzato le compravendite realizzate attraverso le agenzie del Gruppo in Italia e ha rilevato che, tra il 2019 e il 2021, è aumentata la percentuale di acquisti di abitazioni in classe energetica A: si passa infatti dal 3,0% del 2019 al 4,9% del 2021.

Le classi dalla B alla F mantengono un tasso sostanzialmente costante, mentre si registra una diminuzione della percentuale di compravendite di classe G, si passa dal 59,5% del 2019 al 57,5% del 2021. La classe G rimane comunque la classe energetica più scambiata in Italia, alla luce della vetustà del patrimonio abitativo italiano.

Negli anni scorsi una maggiore sensibilità all’argomento era stata rilevata tra gli acquirenti di casa vacanza che, utilizzando l’abitazione solo in alcuni periodi dell’anno, desideravano contenere i costi di gestione dell’abitazione. In generale negli ultimi tempi si inizia a capire come un immobile in classe energetica elevata conserva valore nel tempo, anche in una futura ottica di rivendita.

Per quanto riguarda le locazioni le classi dalla A alla E evidenziano percentuali di affitto sostanzialmente stabili, cresce la percentuale di affitti in classe F che passa dal 13,9% del 2019 al 15,6% del 2021, mentre diminuisce la percentuale di locazioni in classe G che passa dal 59,1% al 58,2%. Anche sul mercato delle locazioni le tipologie più affittate appartengono alla classe energetica G.

 




Prezzi, Coldiretti: da grano a pane aumentano di 10 volte

Le quotazioni record raggiunte dal grano si trasferiscono a valanga sul carrello della spesa con i prezzi che aumentano di 10 volte dal campo al pane sugli scaffali. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che il prezzo del grano tenero per la panificazione ha raggiunto i valori massimi del decennio a sulla base dei contratti future nei listini del Chicago Bord of Trade (CBOT), il punto di riferimento internazionale per il mercato future delle materie prime agricole.

 

Un chilo di grano tenero in Italia è venduto a circa 32 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini ad un valore medio di 3,2 euro al chilo con un rincaro quindi di dodici volte, tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito.

 

Ad incidere sul prezzo finale sono altri costi come dimostra anche l’estrema variabilità dei prezzi del pane lungo la Penisola mentre quelli del grano sono influenzati direttamente dalle quotazioni internazionali  Se a Milano una pagnotta da un chilo costa 4,25 euro, a Roma si viaggia sui 2,65 euro mentre a Palermo costa in media 3,07 euro al chilo secondo elaborazioni Coldiretti su dati dell’Osservatorio prezzi del Ministero dello Sviluppo economico a settembre

 

Peraltro i prezzi al consumo – continua la Coldiretti – non sono mai calati negli ultimi anni nonostante la forte variabilità delle quotazioni del grano, che per lungo tempo sono state al di sotto dei costi di produzione. Con il grano sottopagato agli agricoltori negli ultimi 4 anni si è passati da 543.000 ettari di grano tenero coltivati in Italia agli attuali poco meno di 500.000 ettari per una produzione di circa 2,87 milioni di tonnellate con l’aumento della dipendenza dall’estero che ha raggiunto addirittura il 64% del fabbisogno, sul quale ora pesa il calo delle produzioni in Russia e Ucraina per effetto del clima.

 

E a preoccupare sono le prossime semine con i costi che sono raddoppiati per gli agricoltori che – spiega la Coldiretti – sono costretti ad affrontare rincari fino al 50% per il gasolio necessario per le attività che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione ma ad aumentare sono pure i costi per l’acquisto dei fertilizzanti delle macchine agricole e dei pezzi di ricambio per i quali si stanno verificando addirittura preoccupanti ritardi nelle consegne.

Per ridurre la volatilità e stabilizzare i prezzi occorre – afferma la Coldiretti – realizzare rapporti di filiera virtuosi con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy e garantiscano la sostenibilità della produzione in Italia con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti. Una necessità – conclude la Coldiretti – per ridurre la dipendenza dall’estero da dove oggi arrivano oltre 6 chicchi di grano su 10 consumati in Italia.




Vola la spesa pubblica, quest’anno “sfonda” quota mille miliardi di euro

Quest’anno la spesa pubblica italiana “sfonda” quota mille miliardi di euro. Per tenere aperti gli uffici, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, le pensioni e per erogare i servizi di natura pubblica (sanità, sicurezza, scuola, trasporti, etc.), lo Stato spende per gli italiani quasi 3 miliardi di euro al giorno. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Una cifra gigantesca che, come era prevedibile, è aumentata anche a seguito delle importanti misure messe in campo per il 2021 dai Governi Conte bis e Draghi.

Provvedimenti che si sono resi indispensabili per fronteggiare  gli effetti negativi imposti dalla crisi pandemica. Rispetto al 2020, infatti, quest’anno le uscite complessive dello Stato sono aumentate di oltre 56 miliardi di euro (154,2 milioni al giorno in più rispetto al 2020). Intendiamoci, una spesa pubblica importante, per mitigare gli effetti di una crisi economica e sociale mai vissuta negli ultimi 75 anni, non costituisce un problema, anzi. Nel momento della difficoltà nessuno può essere lasciato indietro e lo Stato ha l’obbligo di mettere in campo tutte le misure necessarie per tutelare soprattutto le fasce sociali più deboli.

  • Quest’anno spendiamo 4 PNRR

I mille miliardi di spesa pubblica che usciranno nel 2021 dalle casse pubbliche sono  un importo di oltre 4 volte superiore a quanto saremo chiamati a spendere nei prossimi 5 anni con i soldi messi a disposizione  dal PNRR che, ricordiamo, ammontano a circa 235 miliardi di euro. Intendiamoci: nessuno mette in discussione l’importanza e l’utilità delle risorse straordinarie che saremo chiamati ad investire nei prossimi anni. Ci mancherebbe.  Tuttavia, vorremmo che il dibattito che si è aperto in questi ultimi mesi sulla necessità di spendere presto e bene queste risorse europee fosse sempre vivo. Una spesa, quella pubblica, che per quasi 900 miliardi è di parte corrente e viene utilizzata, in particolar modo, per liquidare gli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego, per consentire i consumi della macchina pubblica e per pagare le prestazioni sociali. L’assalto alla diligenza che abbiamo assistito in questi giorni in Parlamento con la presentazione di migliaia e migliaia di emendamenti alla legge di Bilancio, non lascia presagire nulla di buono. Il pericolo che nel 2022 la spesa pubblica  superi abbondantemente i mille miliardi toccati quest’anno è molto plausibile.

  • Meno tasse solo con tagli strutturali alla spesa

Nei prossimi anni il problema sarà quello di ridurre progressivamente le uscite per consentire al Governo di reperire le risorse necessarie per realizzare, in particolar modo,  una strutturale e significativa riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese. Con un  rapporto debito/Pil che si aggira attorno al 154 per cento, questa riforma non potrà essere finanziata in deficit. Anche perché l’UE, molto probabilmente, non ce lo permetterebbe; alla luce del fatto che le disposizioni del Patto di Stabilità, che comunque dovrà essere revisionato, dovrebbero tornare operative dal 2023. Ovviamente, segnalano dalla CGIA, grazie anche alle risorse messe in campo dal PNRR, la crescita dovrà assumere dimensioni importanti. Solo così riusciremo ad aumentare significativamente la platea degli occupati che ci consentirà di spendere meno per sussidi, bonus, contributi a fondo perduto ed integrazioni al reddito. Non solo. Potremmo altresì beneficiare di maggiori entrate fiscali, grazie al versamento di nuova Irpef e di ulteriori contributi previdenziali.

  • Le politiche espansive spingono all’insù l’inflazione

Il forte aumento dell’inflazione registrato in questi ultimi mesi è sicuramente imputabile all’incremento dei prezzi delle materie prime (gas e petrolio in primis) ma, anche, dalle politiche espansive adottate dai singoli stati nazionali e dalla BCE. Tuttavia, sebbene nel biennio 2017-2018 la Banca Centrale Europea fosse arrivata ad acquistare fino a 80 miliardi di euro al mese di titoli di stato pubblici, ora ne acquista circa 15 al mese. Alla fine dello scorso ottobre con il Programma di acquisto dei titoli del Settore Pubblico (PSPP), la BCE  ne ha cumulati 2.603 miliardi, di cui 433 miliardi di titoli italiani (16,7 per cento del totale). In altre parole  è stata realizzata una grandiosa iniezione di liquidità nel sistema economico europeo che non ha precedenti. Alla luce di ciò, è evidente che se le banche centrali vorranno “raffreddare” il caro prezzi, molto probabilmente dovranno ridurre l’iniezione di liquidità immessa in questi ultimi anni. Per un Paese come l’Italia che ha un debito pubblico  gigantesco, questo scenario rischia di peggiorare ulteriormente il nostro quadro finanziario.

  • Tra le uscite spiccano le pensioni: deficit a 167,7 miliardi

Secondo la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2021, la voce di spesa corrente più significativa che registriamo  quest’anno nel nostro Paese è quella pensionistica che ammonta a 287,6 miliardi di euro. Seguono i redditi da lavoro dipendente con 179,4 miliardi,  i consumi intermedi con 161,9 miliardi, le altre prestazioni sociali con 116,3 miliardi e le altre spese correnti con 87,6 miliardi. Includendo anche gli interessi sul debito pubblico (pari a 60,5 miliardi), il totale spese correnti ammonta a 893,4 miliardi, di cui 129,4 per la spesa sanitaria. Se aggiungiamo anche le spese in conto capitale (ovvero gli investimenti), che per l’anno in corso sono pari a 107,3 miliardi, la spesa finale ammonta a 1.000,7 miliardi. Per contro, le entrate totali quest’anno raggiungeranno quota 832,9 miliardi: pertanto l’indebitamento netto si attesta a -167,6 miliardi di euro (-9,4 per cento del Pil).




Fondazione Gimbe: crescono ancora nuovi casi, ricoveri e terapie intensive

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 24-30 novembre 2021, rispetto alla precedente, un aumento di nuovi casi (86.412 vs 69.060) (figura 1) e un aumento dei decessi (498 vs 437). Crescono anche i casi attualmente positivi (194.270 vs 154.510), le persone in isolamento domiciliare (188.360 vs 149.353), i ricoveri con sintomi (5.227 vs 4.597) e le terapie intensive (683 vs 560) . In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 498 (+14%), di cui 14 riferiti a periodi precedenti
  • Terapia intensiva: +123 (+22%)
  • Ricoverati con sintomi: +630 (+13,7%)
  • Isolamento domiciliare: +39.007 (+26,1%)
  • Nuovi casi: 86.412 (+25,1%)
  • Casi attualmente positivi: +39.760 (+25,7%)

«Da sei settimane consecutive – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – continuano ad aumentare a livello nazionale i nuovi casi settimanali (+22%) con una media mobile a 7 giorni più che quintuplicata: da 2.456 il 15 ottobre a 12.345 il 30 novembre» (figura 4). L’aumentata circolazione virale è documentata dall’incremento sia del rapporto positivi/persone testate (da 3,6% a 17,1%) , sia del rapporto positivi/tamponi molecolari (da 2,4% a 7,2%) e positivi/tamponi antigenici rapidi (da 0,07% a 0,38%) .

In tutte le Regioni si rileva un incremento percentuale dei nuovi casi: dal 3,2% di Abruzzo e Umbria al 39% delle Marche . In 98 Province l’incidenza è pari o superiore a 50 casi per 100.000 abitanti e in 16 Regioni tutte le Province superano tale soglia: Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto. In 32 Province si registrano oltre 150 casi per 100.000 abitanti: Trieste (635), Bolzano (552), Gorizia (496), Rimini (362), Treviso (342), Forlì-Cesena (321), Padova (321), Venezia (300), Vicenza (298), Aosta (286), Pordenone (252), Ravenna (245), Ascoli Piceno (234), Imperia (233), Udine (219), Bologna (213), Rovigo (213), Belluno (209), Pesaro e Urbino (203), Fermo (200), Ferrara (192), Trento (188), Verona (184), Viterbo (177), Varese (176), Verbano-Cusio-Ossola (164), Cremona (164), Roma (161), Genova (160), Monza e Brianza (157), Ancona (155) e Como (151) .

In aumento i decessi: 498 negli ultimi 7 giorni (di cui 14 riferiti a periodi precedenti), con una media di 71 al giorno rispetto ai 62 della settimana precedente.

«Sul fronte ospedaliero – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – si registra un ulteriore incremento dei posti letto occupati da pazienti COVID: rispetto alla settimana precedente +13,7% in area medica e +22% in terapia intensiva». A livello nazionale, al 23 novembre, il tasso di occupazione è del 9% in area medica e dell’8% in area critica, con notevoli differenze regionali: la soglia del 15% per l’area medica e del 10% per l’area critica risultano entrambe superate nella Provincia Autonoma di Bolzano (rispettivamente 20% per l’area medica e 11% per l’area critica) e in Friuli-Venezia Giulia (rispettivamente 23% per l’area medica e 14% per l’area critica); inoltre, in area medica si colloca sopra soglia la Valle D’Aosta (21%), mentre per l’area critica superano la soglia Lazio (10,3%) e Umbria (13%). «Gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – puntualizza Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – continuano ad aumentare: la media mobile a 7 giorni è passata da 48 ingressi/die della settimana precedente a 56» .

Vaccini: forniture. Al 1° dicembre (aggiornamento ore 06.15) risultano consegnate 102.127.530 dosi. «Considerato che le forniture degli ultimi 7 giorni ammontano solo a 433mila dosi – commenta Mosti – l’attuale ritmo delle somministrazioni di terze dosi ha ridotto le scorte di vaccini a mRNA a quota 6,1 milioni».

Vaccini: somministrazioni. Al 1° dicembre (aggiornamento ore 06.15) il 79,7% della popolazione (n. 47.226.119) ha ricevuto almeno una dose di vaccino (+297.415 rispetto alla settimana precedente) e il 77,1% (n. 45.683.073) ha completato il ciclo vaccinale (+247.367 rispetto alla settimana precedente) . Cresce nell’ultima settimana il numero di somministrazioni (n. 1.984.561) con una media mobile a 7 giorni di 306.445 somministrazioni/die: decollano finalmente le terze dosi (+52,5% rispetto alla settimana precedente), affiancate da prime dosi di nuovo in crescita (+34,7% rispetto alla settimana precedente)

Rispetto ai target definiti dalla struttura commissariale per il periodo 1-12 dicembre, l’obiettivo per i giorni feriali (400-450 mila dosi dal lunedì al venerdì e 350 mila il sabato) appare realistico considerato che dal 24 novembre le somministrazioni giornaliere feriali si attestano stabilmente oltre quota 300.000. Meno probabile raggiungere 300.000 somministrazioni nei giorni festivi: durante l’ultimo mese, infatti, la domenica le somministrazioni non hanno mai raggiunto quota 100 mila, eccetto il 28 novembre in cui le somministrazioni sono state poco più di 150 mil

Vaccini: nuovi vaccinati. Dopo due settimane di stabilizzazione intorno a quota 127 mila, nell’ultima settimana il numero dei nuovi vaccinati è salito a 168.377 (+31,5%) . Tuttavia, dei 6,8 milioni di persone non vaccinate crescono troppo lentamente due fasce che preoccupano: da un lato 2,57 milioni di over50 ad elevato rischio di malattia grave e ospedalizzazione, dall’altro 1,16 milioni nella fascia 12-19 che influiscono negativamente sulla sicurezza delle scuole .

Vaccini: coperture. Le coperture con almeno una dose di vaccino sono molto variabili nelle diverse fasce d’età (dal 97,4% degli over 80 al 76,6% della fascia 12-19). Lo stesso si registra sul fronte delle coperture con terza dose, che negli over 80 hanno raggiunto il 52,1%, mentre si attestano ancora al 20,2% nella fascia 70-79 e al 16% in quella 60-69 anni .

Vaccini: efficacia. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità confermano la riduzione dell’efficacia vaccinale dopo 6 mesi dal completamento del ciclo primario, confermando la necessità del richiamo. In dettaglio:

  • l’efficacia sulla diagnosi scende in media dal 72,5% per i vaccinati entro 6 mesi al 40,1% per i vaccinati da più di 6 mesi;
  • l’efficacia sulla malattia severa scende in media dal 91,6% per i vaccinati entro 6 mesi all’80,9% per i vaccinati da più di 6 mesi.

Vaccini: terza dose. Al 1° dicembre (aggiornamento ore 06.15) sono state somministrate 6.543.004 terze dosi con una media mobile a 7 giorni che supera le 250 mila somministrazioni al giorno .

Sul repository ufficiale del Commissario Straordinario il 1° dicembre la platea per la terza dose (n. 20.548.124) è stata aggiornata sommando tutte le persone vaccinabili (con dose aggiuntiva o booster) secondo le indicazioni delle Circolari ministeriali dell’8 ottobre, 3 novembre, 11 novembre e 25 novembre. Il tasso nazionale di copertura vaccinale per le terze dosi calcolato sulla platea ufficiale è del 31,8% con nette differenze regionali: dal 21,6% del Friuli-Venezia Giulia al 44,5% del Molise .

Variante Omicron. Alla variante B.1.1.529 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha assegnato con il nome di Omicron, classificandola come variante di preoccupazione, per le numerose mutazioni presenti. Tuttavia, ad oggi i dati disponibili non permettono di sapere se, rispetto alla Delta, la variante Omicron è più trasmissibile, causa una malattia più severa, se è più probabile reinfettarsi e se può ridurre la risposta immunitaria ai vaccini.

«In questa fase d’incertezza – conclude Cartabellotta – bisogna potenziare tutti gli interventi, seguendo il principio della massima precauzione. In particolare, incrementare le attività di sequenziamento condividendo i risultati nel database GISAID, potenziare il tracciamento dei casi e monitorare attentamente le aree con rapido aumento di incidenza. Per la popolazione rimangono fondamentali i comportamenti già noti: vaccinarsi e sottoporsi alla terza dose quando indicata – con massima priorità per anziani e fragili, utilizzare la mascherina negli ambienti chiusi, possibilmente FFP2 se affollati, rispettare il distanziamento sociale e ventilare frequentemente i locali».




Vaccino, terza dose e privacy: i chiarimenti del Garante

La previsione della somministrazione di una terza dose di vaccino accende, ancora una volta, i riflettori sulla privacy e rende necessario l’intervento del Garante.

Alla base di questa nuova “querelle” le affermazioni di Guido Bertolaso, coordinatore della campagna vaccinale della Lombardia, rilasciate a margine di un evento organizzato presso l’Ambasciata di Israele a Roma, secondo il quale la privacy limiterebbe la possibilità di chiamare e sollecitare gli assistiti alla somministrazione della terza dose di vaccino.

Ancora una volta la privacy viene additata di essere inutile ostacolo che rallenta o impedisce attività di vario genere, invocando, per contro, le molteplici attività di marketing che “subiamo” quotidianamente (secondo quanto riportato dalla stampa le parole di Bertolaso sarebbero “Il Green Pass è la punta dell’iceberg di un dramma che si chiama privacy: ma di che cosa stiamo parlando, veniamo ascoltati e chiamati per qualsiasi pubblicità e poi non possiamo neanche chiamare direttamente le persone per sollecitarle a fare la terza dose perché violiamo la privacy. Non fatemi parlare di privacy perché altrimenti rischio qualche denuncia”).

Emerge in maniera evidente e incontrovertibile come, per l’ennesima volta, la privacy viene invocata a sproposito, facendo confusione tra aspetti che devono essere considerati in modo autonomo perché concettualmente diversi.
È dovuto intervenire, quindi, il Garante per fare chiarezza e per ribadire, ancora una volta, che nel caso di chiamate per la somministrazione della terza dose di vaccino non si viola la privacy.

Nel comunicato del 5 novembre [doc web 9715558] si legge testualmente “L’Autorità ribadisce quindi che le iniziative volte a promuovere la vaccinazione siano realizzate attraverso gli operatori del Servizio sanitario nazionale, coinvolgendo, auspicabilmente, i medici di medicina generale, a cui è nota la situazione sanitaria degli assistiti, anche riguardo ad aspetti che sconsigliano la vaccinazione in assoluto o temporaneamente. L’Autorità ricorda infatti che, a tutela della riservatezza degli assistiti, le iniziative per promuovere e sollecitare la terza dose di vaccino, non possono avvenire attraverso altri organi o uffici amministrativi regionali o comunali”.
Nessuna violazione della privacy, quindi, per il richiamo per la terza dose di vaccino.
Come anticipato, inoltre, la necessità di contattare i cittadini per la somministrazione della terza dose non può in alcun modo essere equiparata alle chiamate “per qualsiasi pubblicità”.

Queste ultime, infatti, rientrano tra le attività di marketing per le quali l’utente deve aver fornito il proprio consenso e, nell’ipotesi in cui l’attività venga effettuata senza questa indispensabile base giuridica, l’operatore è esposto alle sanzioni previste dal Regolamento europeo (l’art. 83 prevede sanzioni amministrative fino 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo).

Chissà da dove deriva quel consenso che, ipotizziamo sia un’attività lecita, consente all’operatore di chiamarci “per qualsiasi pubblicità”. Abbiamo letto le condizioni di contratto? Abbiamo letto le privacy policy dei siti che consultiamo? Delle app che utilizziamo? Cosa abbiamo accettato? Lo sappiamo? La risposta è negativa. Non lo sappiamo perché non leggiamo, non ci fermiamo e non prestiamo la dovuta attenzione alla tipologia di dati che forniamo e alle finalità per le quali verranno utilizzati. Salvo poi lamentarci se riceviamo “qualsiasi pubblicità” e invocare la violazione della privacy a giustificazione di comportamenti errati di cui siamo noi i principali artefici.




Covid, Uecoop: emergenza neet per 2mln di giovani in Italia

Salgono a oltre 2 milioni i giovani fra i 15 e i 29 anni che in Italia non studiano e non lavorano e che sono aumentati nell’anno della pandemia Covid. E’ quanto emerge dall’elaborazione dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop) su dati dell’ultimo rapporto Istat sul Benessere dei territori. L’allarme riguarda quasi 1 su 4 (23,3%) che – spiega Uecoop – resta a casa senza fare nulla, sulle spalle di mamma e papà o a carico di qualche altro parente, in una situazione di sostanziale scoraggiamento rispetto a progetti, prospettive e futuro.

Il problema – evidenzia Uecoop – è cresciuto di più al Nord (+2,3%) e al Centro (+1,8%) mentre al Sud si registra un minimo calo (-0,4%) ma su un’incidenza che è pur sempre doppia (32,6% del totale) rispetto al Settentrione. La situazione di incertezza ha pesato sulle opportunità di lavoro e sulla fiducia degli italiani di poterne trovare uno, tanto che molti considerati inattivi ci hanno rinunciato più o meno definitivamente. Fra i motivi della mancata ricerca di un’occupazione si va dal “è tutto fermo” a “nessuno assume a causa Covid”, dal “timore del contagio” all’attesa “che si attenui la pandemia” fino a chi ha rinunciato a dare la caccia a un’occupazione perché ritiene proprio di non avere speranze di trovarlo spiega Uecoop.

La corsa del Pil nel 2021 con la ripartenza da record dell’economia è quindi una svolta strategica per il Paese anche dal punto di vista sociale – conclude Uecoop – con la necessità di ricostruire la fiducia nel futuro e la voglia di mettersi in gioco nello studio e nel lavoro con il mondo delle 80mila cooperative italiane che rappresenta un formidabile bacino di opportunità sia sul fronte dell’occupazione che su quello della formazione.




Boom dell’e-commerce e dei negozi di vicinato, resiste la Gdo

Nel settore alimentare stanno radicalmente cambiando le abitudini d’acquisto dei consumatori, con mutamenti duraturi e irreversibili e ciò ha un forte impatto sulla produzione e la distribuzione alimentare, costringendo le aziende del settore a studiare in profondità i trend di cambiamento.

La grande distribuzione tiene ancora (anche se negli Usa comincia a dare chiari segni di sofferenza), ma crescono moltissimo da un lato un sistema di vendita relativamente nuovo come l’e-commerce che garantisce comodità, precisione e velocità, dall’altro l’antico sistema del negozio di vicinato che garantisce al consumatore di “non perdersi fra gli scaffali” e di vivere un’esperienza d’acquisto di qualità guidata dal venditore specializzato, che conosce i gusti e le abitudini del cliente.

Lo hanno affermato gli esperti intervenuti al primo incontro dell’undicesima edizione della rassegna “Economia sotto l’ombrellone”, in corso di svolgimento a Lignano Sabbiadoro, che si sono confrontati sul tema “La distribuzione alimentare fra locale e globale”: Paolo Ciani di Villa Food, Marco Tam di Greenway Group / Filare Italia e Luca Tonizzo di Venfri.

Stimolati dalle domande del moderatore Carlo Tomaso Parmegiani, responsabile editoriale Nord-Est di Eo Ipso, i tre relatori si sono poi confrontati sia sulle necessità per le aziende alimentari italiane di distribuire all’estero, sia sulla difficoltà a garantire una adeguata distribuzione alimentare nei piccoli borghi, soprattutto montani, a causa della mancanza di negozi.

«Per quanto riguarda la distribuzione all’estero bisogna sfruttare adeguatamente il Made in Italy che nell’alimentare ha un grande appeal -ha detto Tonizzo- e che può consentire alle aziende di produzione di trovare nuovi mercati contrastando la sofferenza che, comunque, si sta vivendo sul mercato interno».

«Nella distribuzione alimentare internazionale -ha confermato Tam- il marchio Made in Italy ha una grande forza, paragonabile a quello Made in Germany sui prodotti della meccanica, e noi dobbiamo assolutamente sfruttarlo, purtroppo, però, siamo carenti di protagonisti della Gdo internazionale di proprietà italiana e ciò ci pone in condizione di svantaggio rispetto, ad esempio, ai francesi che con catene distributive di proprietà danno priorità all’esportazione di prodotti Made in France nel mondo».

«Il food ormai -ha aggiunto Ciani- si è contaminato e oltre alla richiesta di prodotti local c’è una richiesta di prodotti global, si pensi allo zenzero che prima non esisteva e oggi è su tutte le nostre tavole, e questo offre grandi occasioni di distribuzione dei prodotti locali a livello internazionale e sicuramente i prodotti italiani hanno un grande appeal sui mercati esteri in tutto il mondo».

Sui negozi di montagna o dei piccoli borghi Tonizzo ha sottolineato come oggi essi facciano un vero e proprio “servizio sociale” e che le poche speranze di riuscire a tenerli aperti vengano da una crescita del turismo perché difficilmente un negozio riesce a reggere economicamente dove il mercato potenziale è così ristretto a causa del progressivo spopolamento. Al riguardo Tam ha sostenuto che è necessario un intervento legislativo che agevoli fiscalmente o in altri modi quegli “imprenditori coraggiosi” che decidono di tenere aperto un negozio nei piccoli borghi montani o isolati per fare un servizio alla comunità. Da parte sua Ciani, che ha alle spalle una lunga esperienza da amministratore regionale e la cui azienda ha sede in montagna, ha sottolineato di non credere molto nella politica dei sussidi, ma ritenere necessario rendere più vivibile la montagna, creando economia e aziende di eccellenza in quei luoghi, in modo che le persone siano invogliate a stabilirsi nei piccoli borghi, perché se la montagna continua a spopolarsi non ci sarà né contributo, né turismo, in grado di garantire l’esistenza duratura di un’attività commerciale.

I tre esperti hanno, poi, sottolineato come i grandi cambiamenti in atto nella distribuzione dipendono anche dalla sempre maggior attenzione del consumatore alla sostenibilità dei prodotti, alla loro qualità e agli aspetti salutistici della nutrizione.

«Le persone sicuramente -ha affermato Tam- desiderano prodotti sempre di maggior qualità, socialmente ed ecologicamente sostenibili, ma spesso non si rendono conto che tutto ciò ha un come contropartita un costo maggiore dei prodotti stessi e cercano, al contempo, prodotti sempre meno costosi. Negli anni, comunque, la richiesta di prodotti alimentari più sani e sostenibili continuerà a crescere».

«Oggi -ha confermato Tonizzo- l’etichetta è molto importante e tutta la filiera è responsabile del fatto che essa sia corretta e riporti tutte le informazioni richieste dai consumatori rispetto alla sostenibilità, alla salubrità, al benessere animale, alla tutela dei lavoratori, ecc.».

«C’è sicuramente un’evoluzione in corso -ha sottolineato Ciani- con un cambiamento di sensibilità del consumatore che è particolarmente spiccato nei più giovani. Oggi i ragazzi di 25/30 anni sono molto più attenti rispetto ai loro genitori e nonni. Ci sono prodotti che stanno sparendo da loro consumo, come ad esempio le carni di cavallo o di capretto, e altri molto richiesti e difficili da trovare come il pesce bio. Il trend principale per i prodotti del futuro è quello di avere la cosiddetta “etichetta bianca” ossia un’etichetta più pulita possibile senza conservanti, additivi e coloranti e che sia più “naturale” possibile. Senza dimenticare, però, ciò comporterà un aumento dei costi per i produttori e per i consumatori».

In conclusione, tutti e tre gli ospiti di “Economia sotto l’ombrellone” hanno concordato sull’aiuto che le nuove tecnologie possono dare per rendere sempre più naturali, sostenibili e salubri i prodotti che arrivano in casa. Ci sono, infatti, sistemi, come quelli adottati da Villa Food, di cottura a bassa temperatura e di conservazione ad alta pressione, che permettono di conservare a lungo le qualità dei prodotti senza additivi e conservanti, così come ci sono sistemi tecnologici di irrigazione e analisi con controllo a distanza delle coltivazioni, come quelli adottati da Filare Italia, per ridurre grandemente i consumi di acqua e fertilizzanti. Ci sono, poi, come ricordato dal titolare di Venfri, nuove tecnologie che permettono di automatizzare e controllare i magazzini delle aziende distributrici consentendo una migliore distribuzione dei prodotti deperibili, o di realizzare confezioni più sostenibili e leggere per ridurre l’inquinamento connesso alla distribuzione.

 

 

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L’undicesima edizione di Economia sotto l’Ombrellone è organizzata da Eo Ipso – comunicazione ed eventi con il patrocinio del Comune di Lignano Sabbiadoro e Turismo FVG. Co-main supporter: Greenway Group e Fidev Consulting; sponsor: Lignano Banda Larga, Villa Food, Venfri, Is Copy, Glp, Gabetti, Confidi Friuli, Karmasec e Calvin; sponsor tecnici: Filare Italia, Pineta Beach, Lignano Pineta Spa, Porto Turistico Marina Uno e Hotel Ristorante President. Media partner: Scriptorium Web-Tv.

 

I PROSSIMI INCONTRI

Ore 18.30, Chiosco numero 5 (Bandiera Svizzera), Lungomare Alberto Kechler 16, località Lignano Pineta a Lignano Sabbiadoro (UD)

 

Mercoledì 25 agosto

L’investimento immobiliare attraverso finanza e tecnologia

Mario Fumei – Wealth Advisor

Silvia Pasut – Gabetti Immobiliare

Pamela Campoblanco – Fidev Consulting

 

Mercoledì 1° settembre

Il futuro del turismo sulle due sponde del Tagliamento

Giorgio Ardito – Lignano Pineta Spa

Giuliana Basso – Consorzio Turistico Bibione Live

Alberto Granzotto – Faita Federcamping

Marco Zuin – Lignano Banda Larga




Monnezza 2.0, la gestione dei rifiuti in chiave digitale

Era il 1987 e Aldo Fabrizi,visibilmente commosso da quella commozione che soltanto le emozioni ingenue di un anziano vicino alla fine del viaggio può esprimere, fece un’ultima apparizione in televisione, recitando un sonetto ispirato alla celebre canzone “Buongiorno tristezza”, cantata da Claudio Villa. Il sonetto s’intitolava “Buongiorno monnezza” ed era una triste ode alla situazione imbarazzante della Capitale.

Bongiorno monnezza,
è l’alba e te ritrovo nella via,
è inutile ch’ aspetti,
‘n ce sta nissuno che te porta via.
Nell’aria che olezza
i variopinti montarozzi tuoi
ovunque tu sei
raggiungono l’altezza di un tramvai
vagano
a centinaia i gatti intorno a te…
chiedono
i forestieri, al vigile: “Scusi, che monumento è?”
Ma è tutta monnezza, è un’aria di folclore e di poesia
induce il turista a rimontà sul treno e scappà via

Da quel lontano giorno, sono passati più di 30 anni, il mondo è cambiato grazie alla digitalizzazione, ma la gestione dei rifiuti è rimasta tale e quale e “Buongiorno monnezza” è quanto di più attuale ci possa essere: un’ode efficace all’incapacità dei dirigenti e degli operatori che lavorano nelle aziende in cui viene gestito il ciclo deidei rifiuti. Tutto sommato, la differenza tra la gestione dei dati e la gestione dei rifiuti non è poi tanto diversa: può sembrare paradossale, ma entrambi, seppur per aspetti diversi, hanno un valore enorme e creano ricchezza. Il nuovo petrolio, direbbero i giornalisti del qualunquismo un tanto al chilo. I dati hanno un ciclo di vita che inizia dalla raccolta e termina nella produzione di conoscenza. Per i rifiuti vale lo stesso ragionamento: il loro ciclo di vita inizia dalla raccolta e termina nella produzione di nuovi prodotti, o materiali, attraverso il riciclo.

E il ciclo può terminare solo nel riciclo perché, c’è voluto del tempo per capirlo, le risorse di questo pianeta non sono infinite. Se per i dati, molto faticosamente, si tentano goffi tentativi di industrializzazione del ciclo produttivo, per i rifiuti, in molte città italiane, il problema è rimasto inchiodato alla raccolta e ai variopinti “montarozzi” di sacchi colorati, depositati fuori dai cassoni. Alcuni giorni fa, è apparsa sui giornali locali una notizia confortante: l’AMA, l’azienda municipalizzata che gestisce i rifiuti a Roma, ha pianificato la sostituzione totale dei vecchi cassonetti adibiti alla raccolta dell’immondizia.

Finalmente, ho pensato, e la mia mente ingenua, che soffre di visioni digitali, è andata subito ai contenitori smart o smart bin: connessi a internet, collegati a un sistema informativo a cui trasmettere i dati, autoalimentati dai pannelli solari, geolocalizzati, muniti di videocamere e sensori attraverso i quali misurare il peso, il volume, l’umidità, la temperatura e la quantità di rifiuti raccolti. Ho visto cittadini che, attraverso un’app a cui si accede tramite SPID, invece di fare le contorsioni per aprire dei coperchi mal progettati, ne comandavano l’apertura elettrica grazie a un motore alimentato da un accumulatore posizionato sul fondo del cassone e ricaricato dall’energia solare.

Ho visto sistemi informativi e di monitoraggio attraverso cui analizzare i dati e gestire una raccolta intelligente sulla base dell’effettivo stato di riempimento dei cassoni, ho visto notifiche e alert, tracciati dinamici e aggiornati in tempo reale da fornire agli operatori al posto dei giri approssimativi programmati dal capo squadra. Ho visto dashboard interattive attraverso cui modulare le tasse in base alla reale produzione dei rifiuti prodotti dai cittadini e dalle aziende e – ma quest’ultimo punto mi rendo conto che è abbastanza utopico- un sistema di tracciamento attraverso il quale capire in cosa (e da chi) vengono trasformati gli imballaggi e gli scarti, per misurare il valore dell’immondizia e l’efficienza dei sistemi di gestione e di raccolta attraverso degli indicatori prodotti dai dati raccolti.

Ho visto sistemi di intelligenza artificiale che identificano il tipo di rifiuto e registrano l’utilizzo improprio dei contenitori, sanzionando automaticamente gli “zozzoni” di turno. Ho visto sistemi di controllo pubblici delle aziende municipalizzate attraverso i quali far emergere le incapacità e le inefficienze dei dirigenti e dei dipendenti, e progetti di impianti di raccolta e trattamento dimensionati adeguatamente sulla base della produzione complessiva della spazzatura. In poche parole, ho visto come l’IOT (Internet Of Things) possa essere davvero utile per migliorare la vita nelle città in cui viviamo. Tutto ciò, in altre parti del mondo già esiste.

Dopo aver letto il titolo, le visioni digitali si sono ridotte a una triste presa di coscienza: il sonetto di Aldo Fabrizi rimarrà attuale per molti anni ancora. I nuovi contenitori, rispetto ai vecchi, di diverso avranno solamente il colore. Saranno colorati in base al tipo di rifiuto che dovranno ospitare. Una colorazione più efficace, per facilitare la raccolta differenziata. Naif. In linea con le direttive europee.

Tutto qua. Come se i romani fossero talmente deficienti, dopo oltre 15 anni di utilizzo, da non aver capito qual è il contenitore adatto a un certo tipo di rifiuto. I cittadini si lasciano andare al degrado se vengono costretti a vivere in un ambiente degradato. La storia, soprattutto quella della civiltà greca, dovrebbe aver insegnato cosa significhi coltivare la bellezza. I rifiuti abbandonati favoriscono l’inciviltà e l’abbandono di altri rifiuti. È vero, c’è una piccola parte di cittadini incivili che abbandona i rifiuti ingombranti davanti ai cassonetti: per questo le videocamere e un sistema efficiente di sanzioni sarebbero fondamentali.

Eppure, sui nuovi cassonetti non ci sarà nemmeno la vecchia tessera con la banda magnetica, ormai usata da più di vent’anni in alcuni comuni, per identificare e accertare il numero di utenti che utilizzano un certo contenitore della spazzatura e programmare una raccolta più organizzata. Un po’ di dati, sull’immondizia, servirebbero, quantomeno per non trovarsi sistematicamente nelle situazioni documentata tristemente ogni giorno dai cittadini.

 

C’è da dire che questa situazione a dir poco nauseabonda non è confinata soltanto alla Capitale, che ha un’estensione territoriale pari alla somma delle superficie di tutte le città metropolitane (con tutte le difficoltà gestionali che ne conseguono), ma si verifica in maniera ricorrente in molti altri centri urbani di grandi dimensioni. Però, seppur su una scala diversa, in termini di utenza, estensione territoriale e quantità di rifiuti prodotti, a Milano la situazione




Coronavirus, Fondazione Gimbe: risalgono i contagi, ma ancora nessun impatto su ospedali

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 30 giugno-6 luglio 2021, rispetto alla precedente, un incremento di nuovi casi (5.571 vs 5.306) (figura 1); in calo invece i decessi (162 vs 220) (figura 2), i casi attualmente positivi (42.579 vs 52.824), le persone in isolamento domiciliare (41.121 vs 50.878), i ricoveri con sintomi (1.271 vs 1.676) e le terapie intensive (187 vs 270) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 162 (-26,4%)
  • Terapia intensiva: -83 (-30,7%)
  • Ricoverati con sintomi: -405 (-24,2%)
  • Isolamento domiciliare: -9.757 (-19,2%)
  • Nuovi casi: 5.571 (+5%)
  • Casi attualmente positivi: -10.245 (-19,4%)

«Sul fronte dei nuovi casi settimanali – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dopo 15 settimane consecutive di discesa si rileva un incremento del 5% rispetto alla settimana precedente.  Anche l’attività di testing, dopo 7 settimane di calo, registra un aumento del 15,5%, continuando tuttavia ad attestarsi su numeri troppo bassi, con conseguente sottostima dei nuovi casi e insufficiente tracciamento dei contatti». Dalla settimana 5-11 maggio il numero di persone testate settimanalmente si è progressivamente ridotto del 60,3%, passando da 662.549 a 263.213, per poi risalire questa settimana a 303.969 (figura 4). In 11 Regioni si registra un’inversione di tendenza con un incremento percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente, mentre le restanti 10 Regioni si confermano in calo (tabella). I decessi, dopo l’apparente stabilizzazione della scorsa settimana verosimilmente imputabile a ricalcoli, hanno ripreso a scendere attestandosi nell’ultima settimana a 162 con una media di 23 al giorno rispetto ai 31 della settimana precedente.

«Il trend dei pazienti ospedalizzati – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – prosegue la sua discesa sia in area medica che in terapia intensiva, dove l’occupazione di posti letto da parte dei pazienti COVID si attesta al 2%. Tutte le Regioni registrano valori inferiori al 10% e sono 8 le Regioni che non contano pazienti COVID ricoverati in area critica». In dettaglio, dal picco del 6 aprile i posti letto occupati in area medica sono scesi da 29.337 a 1.271 (-95,7%) e quelli in terapia intensiva da 3.743 a 187 (-95%). Le persone in isolamento domiciliare, dal picco del 28 marzo, sono passate da 540.855 a 41.121 (-94,2%). «Gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – sono in calo da oltre 3 mesi e la media mobile a 7 giorni è di 5 ingressi/die» (figura 5).

Vaccini: forniture. Al 7 luglio (aggiornamento ore 6.12) sono state consegnate 60.989.653 dosi, pari all’80% di quelle previste per il 1° semestre 2021 (figura 6). In dettaglio:

Dosi di vaccini 1° semestre 2021
Vaccino Dosi previste Dosi consegnate
(% su dosi previste)
Dosi somministrate
(% su dosi consegnate)
Pfizer/BioNTech 41.463.630 41.019.070 (98,9%) 38.923.688 (94,9%)
Moderna 5.980.000 5.940.681 (99,3%) 5.339.711 (89,9%)
AstraZeneca 14.158.500 11.775.295 (83,2%) 9.409.833 (79,9%)
Johnson & Johnson 7.307.292 2.254.607 (30,9%) 1.254.600 (55,6%)
CureVac 7.314.904  (0,0%)  (0,0%)
TOTALE 76.224.326 60.989.653 (80%) 54.927.832 (90,1%)
Elaborazione GIMBE su dati Ministero Salute, Commissario Straordinario COVID-19
Aggiornamento: 7 luglio 2021 ore 06:12

«Rispetto alle forniture stimate nel Piano vaccinale – spiega il Presidente – nel secondo trimestre sono state consegnate 15.234.673 dosi in meno rispetto al previsto, sia per la mancata autorizzazione di CureVac (48% delle dosi mancanti), sia per le consegne inferiori all’atteso da parte di AstraZeneca (-2.383.205 dosi, 15,6% del totale) e Johnson & Johnson (-5.052.685 dosi, 33,2% del totale)». Per il terzo trimestre, invece, disponiamo “sulla carta” di 45.496.439 dosi di vaccini a mRna (48,3%), 41.950.684 dosi di vaccini a vettore adenovirale (44,5%), oltre a 6.640.000 dosi del vaccino di CureVac che, non avendo superato con successo i test clinici, dovrebbero essere eliminate nel prossimo aggiornamento del piano delle forniture, attualmente fermo al 23 aprile 2021 (figura 7).

Vaccini: somministrazioni. Al 7 luglio (aggiornamento ore 6.12), il 59,6% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino (n. 35.323.440) e il 36,4% ha completato il ciclo vaccinale (n. 21.593.307) (figura 8). Nell’ultima settimana si è registrata una nuova flessione delle somministrazioni che scendono del 4,1% (n. 3.734.039) (figura 9), con una media mobile a 7 giorni di 524.202 inoculazioni/die (figura 10). Un rallentamento imputabile all’incertezza relativa alle dosi in arrivo, oltre che alla diffidenza sempre maggiore nei confronti dei vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson. Rimangono tuttavia oltre 6 milioni di dosi già consegnate alle Regioni in attesa di essere inoculate: 2.095.382 di Pfizer/BioNTech, 600.970 di Moderna, 2.365.462 di AstraZeneca, 1.000.007 di Johnson & Johnson. «Va inoltre rilevato come la percentuale di prime dosi sul totale delle dosi somministrate – spiega Mosti – sia in riduzione da 3 settimane consecutive con un valore che dal 74% della settimana 7-13 giugno è sceso al 38% della settimana 28 giugno-4 luglio, con un calo del 49% in 3 settimane» (figura 11).

Vaccini: copertura degli over 60. L’87,2% ha ricevuto almeno una dose di vaccino, con alcune differenze regionali: se Puglia, Umbria e Lazio hanno superato il 90%, la Sicilia è ferma al 77,4%. In dettaglio:

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni, 4.042.314 (90,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 171.852 (3,8%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 12).
  • Fascia 70-79 anni: degli oltre 5,9 milioni, 4.006.932 (67,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.246.957 (20,9%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 13).
  • Fascia 60-69 anni: degli oltre 7,3 milioni, 4.084.858 (54,9%) hanno completato il ciclo vaccinale e 2.043.083 (27,5%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 14).

Variante delta. L’ultima indagine flash dell’Istituto Superiore di Sanità stima al 22,7% la prevalenza della variante delta con notevoli differenze regionali (range 0-70,6%). «I dati provenienti dall’Inghilterra e quelli, seppur preliminari, di Israele – puntualizza Gili – confermano l’elevata efficacia del ciclo vaccinale completo nel prevenire le forme severe di COVID-19, le ospedalizzazioni e i decessi. Tuttavia nel nostro Paese il tallone d’Achille della campagna vaccinale è attualmente rappresentato dagli oltre 5,75 milioni di over 60 a rischio di malattia grave privi di adeguata copertura contro la variante delta» (figura 15). In dettaglio, 2,29 milioni (12,8%) non hanno ancora ricevuto nemmeno una dose di vaccino con rilevanti differenze regionali (dal 22,6% della Sicilia al 7,7% della Puglia) (figura 16) e oltre 3,46 milioni (19,4%) devono completare il ciclo dopo la prima dose: 2.495.962 con AstraZeneca, 837.052 con Pfizer-BioNTech, 128.878 con Moderna. Peraltro, il trend di somministrazione delle prime dosi per fasce di età conferma ormai l’appiattimento delle curve degli over 80 e delle fasce 70-79 e 60-69 e registra una flessione da oltre 4 settimane per la fascia 50-59 anni e da circa 2 settimane per la fascia 40-49 (figura 17), seppure con notevoli differenze nelle percentuali di copertura tra le varie classi anagrafiche (figura 18).

Criticità campagna vaccinale. A poco più di 6 mesi dall’inizio della campagna vaccinale la Fondazione GIMBE rileva le seguenti criticità:

  • Disponibilità di dosi
    • Il numero di dosi consegnate è nettamente inferiore all’atteso: -14.266.090 (-50,5%) nel 1° trimestre e -15.234.673 (-20%) nel 2° trimestre.
    • Le consegne delle aziende produttrici, fatta eccezione per Pfizer/BioNTech, sono state discontinue per tempistiche e quantità, rendendo più difficile la programmazione regionale.
    • Nonostante una consistente disponibilità residua (oltre 3,36 milioni di dosi al 7 luglio 2021), i vaccini a vettore adenovirale non riescono ad essere adeguatamente impiegati sia per le modifiche alle indicazioni d’uso per fasce d’età sia per la crescente diffidenza della popolazione, rendendo la campagna sempre più dipendente dai vaccini a mRNA.
  • Rallentamento nella somministrazione delle prime dosi
    • L’accelerazione impressa alla campagna vaccinale a partire dal mese di aprile determina in questo momento la necessità di somministrare un elevato numero di richiami, riducendo nel breve termine la possibilità di effettuare prime dosi negli under 50, vista anche l’incertezza sulle forniture dei prossimi mesi che induce ad accantonare consistenti quantitativi per la somministrazione delle seconde dosi.
    • Negli over 50, soprattutto nella fascia 50-59 e 60-69, è evidente l’esitazione vaccinale, in particolare per i vaccini a vettore adenovirale, frutto di fake news e di una comunicazione istituzionale incapace di trasmettere il profilo rischio-beneficio della vaccinazione che può variare in relazione al contesto epidemiologico. Inoltre, nonostante i proclami, una vera strategia di chiamata attiva non è mai decollata a livello nazionale.

«L’incremento dei casi conseguente alla diffusione della variante delta – conclude Cartabellotta – destinato a continuare nelle prossime settimane non deve generare allarmismi. Certo il dato preoccupa per il suo potenziale impatto sugli ospedali che sarà inversamente proporzionale alla copertura vaccinale completa degli over 60. Ecco perché, oltre a potenziare contact tracing e sequenziamento, occorre sia mettere in campo strategie di chiamata attiva per gli over 60 che non si sono ancora prenotati, sia accelerare la somministrazione delle seconde dosi. Infine, siamo tutti chiamati a contribuire attivamente a rallentare la diffusione della variante delta mantenendo comportamenti responsabili ed evitando gli errori della scorsa estate».

 




Torna lo sviluppo foto nei supermecati

In Italia operano circa 43 milioni di smartphone. E’ stato calcolato che ogni smartphone scatta almeno 185 fotografie l’anno, scaricando nelle gallerie dei telefonini circa 8 miliardi di foto.
Quante di queste vengono sviluppate? E’ vero che parte di queste fotografie sono utilizzate, specie dai giovani, sui vari canali social, ma quanti consumatori stamperebbero parte dei loro scatti se avessero a disposizione, vicino casa, macchine automatiche di sviluppo immediato delle foto?

Il progetto di Cewe Italia è quello di diffondere i corner foto nei supermercati e nei drugstore, dove si va a fare la spesa alimentare, proprio come si usava ai tempi della fotografia analogica, quando si portavano i rullini al super. I risultati dei primi passi, un centinaio di corner di sviluppo foto nei punti vendita della Coop, di DM Drogherie, di Crai, di Migross (Gruppo Végé), sono positivi e si prevede una rapida espansione di questo servizio.

Il mercato dello sviluppo fotografico in Italia non è adeguato alle sue potenzialità, tanto più che si registra tra gli italiani un ritorno ai valori dei ricordi e della condivisione. E’ un mercato segnato da una crisi costante dei tradizionali negozi di fotografia e dall’emergere dello sviluppo on line.

I negozi dei fotografi sono 6.500, ma il loro fatturato è calato del 40% dal 2017 ad oggi, nonostante i fotografi abbiano diversificato la loro attività (matrimoni, video, fotografia commerciale). E l’emergenza pandemica ha colpito duramente questo comparto, tanto che si stima possano chiudere circa il 30% di questi negozi a fine 2022.

Lo sviluppo delle foto on line sta crescendo, specie tra i consumatori giovani (si ordina la stampa via web e poi le foto arrivano a casa con una normale spedizione postale), con una significativa espansione dal 2015 in avanti: oggi valgono il 70% dell’intero mercato (con PhotoSi e Cheerz leader di mercato). Il resto del mercato si divide tra i negozi dei fotografi e le stampanti ad hoc per la casa o l’ufficio.

I corner per la stampa immediata delle foto hanno, tuttavia, il vantaggio di saltare un passaggio, quello della consegna delle foto sviluppate, e quindi di poter proporre un prezzo concorrenziale. Consentono di sviluppare istantaneamente le foto (anche sotto forma di biglietti di auguri, cartoline e altro) servendosi del solo smartphone: nella postazione si troveranno già i cavetti per ogni tipo di cellulare, oppure si può optare per il collegamento bluetooth, non servono chiavette Usb, si paga in cassa.

Trovando il corner di sviluppo foto in ogni supermercato, i consumatori potrebbero facilmente scegliere di sviluppare alcune foto prima o dopo la spesa. Una scommessa, quella di Cewe, già vinta in Europa dove dispone già da tempo di 20mila corner foto nei punti vendita dei maggiori retailer.