Affitti e seconda ondata Covid: crollano i prezzi del breve termine, tiene il transitorio

Il clima di incertezza e l’emergenza pandemica hanno avuto un effetto molto deleterio sul comparto degli affitti brevi: al momento il prezzo medio degli affitti brevi si è ridotto del 7% mentre l’ occupancy del 54,3%, il tutto al netto del periodo di lockdown.

A registrare questi cambiamenti i dati di Hostmate, società specializzata in servizi dedicati ai proprietari di appartamenti..

Secondo fonti interne a Hostmate è prevista una ulteriore riduzione del 25% del numero di appartamenti a disposizione per gli affitti brevi sui principali portali dedicati.

Per quanto concerne l’affitto transitorio, quello superiori a 30gg, il prezzo al momento tiene, riducendosi solo del 5%, il tutto favorito dal cambio dell’abitudine dei consumatori (inquilini/turisti) e dalla possibilità di prenotare per periodi superiori a 30 giorni attraverso portali come Booking e Airbnb. Al momento il 70% del portafoglio in gestione da Hostmate risulta affittato attraverso questa formula.

L’aumento della volatilità di mercato, generato dalla pandemia da Covid-19, ha aumentato la necessità da parte dei proprietari immobiliari di perfezionare i propri modelli previsionali di guadagno per poter prendere decisioni strategiche sulla base di dati di mercato aggiornati alla situazione attuale.

Per rispondere a questo bisogno e permettere ai proprietari immobiliari di avere un quadro chiaro circa la migliore strategia di messa a reddito da adottare, Hostmate ha investito nel potenziamento dei propri tool di data & analytics lanciando l’Acceleratore Immobiliare.

Attraverso i propri strumenti di analisi, affiancati dall’esperienza diretta sul campo, l’azienda identifica la migliore strategia di messa a reddito degli immobili sulla base dell’andamento corrente di mercato. Il tutto unito con le competenze nella gestione operativa di portafogli di immobili che permette l’implementazione delle soluzioni in tempi brevi ed in continuità.

“I tool proprietari Hostmate – afferma Maurizio Sicuro, COO Hostmate – calcolano i guadagni attesi nell’arco dei prossimi 12 mesi in base a diverse soluzioni di messa a reddito: affitto breve, affitto transitorio e affitto lungo. In seguito, in base alla scelta del proprietario, Hostmate implementa la soluzione”.

 

 




Covid, Uecoop: emergenza neet per 2mln di giovani in Italia

Salgono a oltre 2 milioni i giovani fra i 15 e i 29 anni che in Italia non studiano e non lavorano e che sono aumentati nell’anno della pandemia Covid. E’ quanto emerge dall’elaborazione dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop) su dati dell’ultimo rapporto Istat sul Benessere dei territori. L’allarme riguarda quasi 1 su 4 (23,3%) che – spiega Uecoop – resta a casa senza fare nulla, sulle spalle di mamma e papà o a carico di qualche altro parente, in una situazione di sostanziale scoraggiamento rispetto a progetti, prospettive e futuro.

Il problema – evidenzia Uecoop – è cresciuto di più al Nord (+2,3%) e al Centro (+1,8%) mentre al Sud si registra un minimo calo (-0,4%) ma su un’incidenza che è pur sempre doppia (32,6% del totale) rispetto al Settentrione. La situazione di incertezza ha pesato sulle opportunità di lavoro e sulla fiducia degli italiani di poterne trovare uno, tanto che molti considerati inattivi ci hanno rinunciato più o meno definitivamente. Fra i motivi della mancata ricerca di un’occupazione si va dal “è tutto fermo” a “nessuno assume a causa Covid”, dal “timore del contagio” all’attesa “che si attenui la pandemia” fino a chi ha rinunciato a dare la caccia a un’occupazione perché ritiene proprio di non avere speranze di trovarlo spiega Uecoop.

La corsa del Pil nel 2021 con la ripartenza da record dell’economia è quindi una svolta strategica per il Paese anche dal punto di vista sociale – conclude Uecoop – con la necessità di ricostruire la fiducia nel futuro e la voglia di mettersi in gioco nello studio e nel lavoro con il mondo delle 80mila cooperative italiane che rappresenta un formidabile bacino di opportunità sia sul fronte dell’occupazione che su quello della formazione.




Coronavirus, Fondazione Gimbe: risalgono i contagi, ma ancora nessun impatto su ospedali

Il monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE rileva nella settimana 30 giugno-6 luglio 2021, rispetto alla precedente, un incremento di nuovi casi (5.571 vs 5.306) (figura 1); in calo invece i decessi (162 vs 220) (figura 2), i casi attualmente positivi (42.579 vs 52.824), le persone in isolamento domiciliare (41.121 vs 50.878), i ricoveri con sintomi (1.271 vs 1.676) e le terapie intensive (187 vs 270) (figura 3). In dettaglio, rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:

  • Decessi: 162 (-26,4%)
  • Terapia intensiva: -83 (-30,7%)
  • Ricoverati con sintomi: -405 (-24,2%)
  • Isolamento domiciliare: -9.757 (-19,2%)
  • Nuovi casi: 5.571 (+5%)
  • Casi attualmente positivi: -10.245 (-19,4%)

«Sul fronte dei nuovi casi settimanali – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – dopo 15 settimane consecutive di discesa si rileva un incremento del 5% rispetto alla settimana precedente.  Anche l’attività di testing, dopo 7 settimane di calo, registra un aumento del 15,5%, continuando tuttavia ad attestarsi su numeri troppo bassi, con conseguente sottostima dei nuovi casi e insufficiente tracciamento dei contatti». Dalla settimana 5-11 maggio il numero di persone testate settimanalmente si è progressivamente ridotto del 60,3%, passando da 662.549 a 263.213, per poi risalire questa settimana a 303.969 (figura 4). In 11 Regioni si registra un’inversione di tendenza con un incremento percentuale dei nuovi casi rispetto alla settimana precedente, mentre le restanti 10 Regioni si confermano in calo (tabella). I decessi, dopo l’apparente stabilizzazione della scorsa settimana verosimilmente imputabile a ricalcoli, hanno ripreso a scendere attestandosi nell’ultima settimana a 162 con una media di 23 al giorno rispetto ai 31 della settimana precedente.

«Il trend dei pazienti ospedalizzati – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – prosegue la sua discesa sia in area medica che in terapia intensiva, dove l’occupazione di posti letto da parte dei pazienti COVID si attesta al 2%. Tutte le Regioni registrano valori inferiori al 10% e sono 8 le Regioni che non contano pazienti COVID ricoverati in area critica». In dettaglio, dal picco del 6 aprile i posti letto occupati in area medica sono scesi da 29.337 a 1.271 (-95,7%) e quelli in terapia intensiva da 3.743 a 187 (-95%). Le persone in isolamento domiciliare, dal picco del 28 marzo, sono passate da 540.855 a 41.121 (-94,2%). «Gli ingressi giornalieri in terapia intensiva – spiega Marco Mosti, Direttore Operativo della Fondazione GIMBE – sono in calo da oltre 3 mesi e la media mobile a 7 giorni è di 5 ingressi/die» (figura 5).

Vaccini: forniture. Al 7 luglio (aggiornamento ore 6.12) sono state consegnate 60.989.653 dosi, pari all’80% di quelle previste per il 1° semestre 2021 (figura 6). In dettaglio:

Dosi di vaccini 1° semestre 2021
Vaccino Dosi previste Dosi consegnate
(% su dosi previste)
Dosi somministrate
(% su dosi consegnate)
Pfizer/BioNTech 41.463.630 41.019.070 (98,9%) 38.923.688 (94,9%)
Moderna 5.980.000 5.940.681 (99,3%) 5.339.711 (89,9%)
AstraZeneca 14.158.500 11.775.295 (83,2%) 9.409.833 (79,9%)
Johnson & Johnson 7.307.292 2.254.607 (30,9%) 1.254.600 (55,6%)
CureVac 7.314.904  (0,0%)  (0,0%)
TOTALE 76.224.326 60.989.653 (80%) 54.927.832 (90,1%)
Elaborazione GIMBE su dati Ministero Salute, Commissario Straordinario COVID-19
Aggiornamento: 7 luglio 2021 ore 06:12

«Rispetto alle forniture stimate nel Piano vaccinale – spiega il Presidente – nel secondo trimestre sono state consegnate 15.234.673 dosi in meno rispetto al previsto, sia per la mancata autorizzazione di CureVac (48% delle dosi mancanti), sia per le consegne inferiori all’atteso da parte di AstraZeneca (-2.383.205 dosi, 15,6% del totale) e Johnson & Johnson (-5.052.685 dosi, 33,2% del totale)». Per il terzo trimestre, invece, disponiamo “sulla carta” di 45.496.439 dosi di vaccini a mRna (48,3%), 41.950.684 dosi di vaccini a vettore adenovirale (44,5%), oltre a 6.640.000 dosi del vaccino di CureVac che, non avendo superato con successo i test clinici, dovrebbero essere eliminate nel prossimo aggiornamento del piano delle forniture, attualmente fermo al 23 aprile 2021 (figura 7).

Vaccini: somministrazioni. Al 7 luglio (aggiornamento ore 6.12), il 59,6% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino (n. 35.323.440) e il 36,4% ha completato il ciclo vaccinale (n. 21.593.307) (figura 8). Nell’ultima settimana si è registrata una nuova flessione delle somministrazioni che scendono del 4,1% (n. 3.734.039) (figura 9), con una media mobile a 7 giorni di 524.202 inoculazioni/die (figura 10). Un rallentamento imputabile all’incertezza relativa alle dosi in arrivo, oltre che alla diffidenza sempre maggiore nei confronti dei vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson. Rimangono tuttavia oltre 6 milioni di dosi già consegnate alle Regioni in attesa di essere inoculate: 2.095.382 di Pfizer/BioNTech, 600.970 di Moderna, 2.365.462 di AstraZeneca, 1.000.007 di Johnson & Johnson. «Va inoltre rilevato come la percentuale di prime dosi sul totale delle dosi somministrate – spiega Mosti – sia in riduzione da 3 settimane consecutive con un valore che dal 74% della settimana 7-13 giugno è sceso al 38% della settimana 28 giugno-4 luglio, con un calo del 49% in 3 settimane» (figura 11).

Vaccini: copertura degli over 60. L’87,2% ha ricevuto almeno una dose di vaccino, con alcune differenze regionali: se Puglia, Umbria e Lazio hanno superato il 90%, la Sicilia è ferma al 77,4%. In dettaglio:

  • Over 80: degli oltre 4,4 milioni, 4.042.314 (90,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 171.852 (3,8%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 12).
  • Fascia 70-79 anni: degli oltre 5,9 milioni, 4.006.932 (67,2%) hanno completato il ciclo vaccinale e 1.246.957 (20,9%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 13).
  • Fascia 60-69 anni: degli oltre 7,3 milioni, 4.084.858 (54,9%) hanno completato il ciclo vaccinale e 2.043.083 (27,5%) hanno ricevuto solo la prima dose (figura 14).

Variante delta. L’ultima indagine flash dell’Istituto Superiore di Sanità stima al 22,7% la prevalenza della variante delta con notevoli differenze regionali (range 0-70,6%). «I dati provenienti dall’Inghilterra e quelli, seppur preliminari, di Israele – puntualizza Gili – confermano l’elevata efficacia del ciclo vaccinale completo nel prevenire le forme severe di COVID-19, le ospedalizzazioni e i decessi. Tuttavia nel nostro Paese il tallone d’Achille della campagna vaccinale è attualmente rappresentato dagli oltre 5,75 milioni di over 60 a rischio di malattia grave privi di adeguata copertura contro la variante delta» (figura 15). In dettaglio, 2,29 milioni (12,8%) non hanno ancora ricevuto nemmeno una dose di vaccino con rilevanti differenze regionali (dal 22,6% della Sicilia al 7,7% della Puglia) (figura 16) e oltre 3,46 milioni (19,4%) devono completare il ciclo dopo la prima dose: 2.495.962 con AstraZeneca, 837.052 con Pfizer-BioNTech, 128.878 con Moderna. Peraltro, il trend di somministrazione delle prime dosi per fasce di età conferma ormai l’appiattimento delle curve degli over 80 e delle fasce 70-79 e 60-69 e registra una flessione da oltre 4 settimane per la fascia 50-59 anni e da circa 2 settimane per la fascia 40-49 (figura 17), seppure con notevoli differenze nelle percentuali di copertura tra le varie classi anagrafiche (figura 18).

Criticità campagna vaccinale. A poco più di 6 mesi dall’inizio della campagna vaccinale la Fondazione GIMBE rileva le seguenti criticità:

  • Disponibilità di dosi
    • Il numero di dosi consegnate è nettamente inferiore all’atteso: -14.266.090 (-50,5%) nel 1° trimestre e -15.234.673 (-20%) nel 2° trimestre.
    • Le consegne delle aziende produttrici, fatta eccezione per Pfizer/BioNTech, sono state discontinue per tempistiche e quantità, rendendo più difficile la programmazione regionale.
    • Nonostante una consistente disponibilità residua (oltre 3,36 milioni di dosi al 7 luglio 2021), i vaccini a vettore adenovirale non riescono ad essere adeguatamente impiegati sia per le modifiche alle indicazioni d’uso per fasce d’età sia per la crescente diffidenza della popolazione, rendendo la campagna sempre più dipendente dai vaccini a mRNA.
  • Rallentamento nella somministrazione delle prime dosi
    • L’accelerazione impressa alla campagna vaccinale a partire dal mese di aprile determina in questo momento la necessità di somministrare un elevato numero di richiami, riducendo nel breve termine la possibilità di effettuare prime dosi negli under 50, vista anche l’incertezza sulle forniture dei prossimi mesi che induce ad accantonare consistenti quantitativi per la somministrazione delle seconde dosi.
    • Negli over 50, soprattutto nella fascia 50-59 e 60-69, è evidente l’esitazione vaccinale, in particolare per i vaccini a vettore adenovirale, frutto di fake news e di una comunicazione istituzionale incapace di trasmettere il profilo rischio-beneficio della vaccinazione che può variare in relazione al contesto epidemiologico. Inoltre, nonostante i proclami, una vera strategia di chiamata attiva non è mai decollata a livello nazionale.

«L’incremento dei casi conseguente alla diffusione della variante delta – conclude Cartabellotta – destinato a continuare nelle prossime settimane non deve generare allarmismi. Certo il dato preoccupa per il suo potenziale impatto sugli ospedali che sarà inversamente proporzionale alla copertura vaccinale completa degli over 60. Ecco perché, oltre a potenziare contact tracing e sequenziamento, occorre sia mettere in campo strategie di chiamata attiva per gli over 60 che non si sono ancora prenotati, sia accelerare la somministrazione delle seconde dosi. Infine, siamo tutti chiamati a contribuire attivamente a rallentare la diffusione della variante delta mantenendo comportamenti responsabili ed evitando gli errori della scorsa estate».

 




Torna lo sviluppo foto nei supermecati

In Italia operano circa 43 milioni di smartphone. E’ stato calcolato che ogni smartphone scatta almeno 185 fotografie l’anno, scaricando nelle gallerie dei telefonini circa 8 miliardi di foto.
Quante di queste vengono sviluppate? E’ vero che parte di queste fotografie sono utilizzate, specie dai giovani, sui vari canali social, ma quanti consumatori stamperebbero parte dei loro scatti se avessero a disposizione, vicino casa, macchine automatiche di sviluppo immediato delle foto?

Il progetto di Cewe Italia è quello di diffondere i corner foto nei supermercati e nei drugstore, dove si va a fare la spesa alimentare, proprio come si usava ai tempi della fotografia analogica, quando si portavano i rullini al super. I risultati dei primi passi, un centinaio di corner di sviluppo foto nei punti vendita della Coop, di DM Drogherie, di Crai, di Migross (Gruppo Végé), sono positivi e si prevede una rapida espansione di questo servizio.

Il mercato dello sviluppo fotografico in Italia non è adeguato alle sue potenzialità, tanto più che si registra tra gli italiani un ritorno ai valori dei ricordi e della condivisione. E’ un mercato segnato da una crisi costante dei tradizionali negozi di fotografia e dall’emergere dello sviluppo on line.

I negozi dei fotografi sono 6.500, ma il loro fatturato è calato del 40% dal 2017 ad oggi, nonostante i fotografi abbiano diversificato la loro attività (matrimoni, video, fotografia commerciale). E l’emergenza pandemica ha colpito duramente questo comparto, tanto che si stima possano chiudere circa il 30% di questi negozi a fine 2022.

Lo sviluppo delle foto on line sta crescendo, specie tra i consumatori giovani (si ordina la stampa via web e poi le foto arrivano a casa con una normale spedizione postale), con una significativa espansione dal 2015 in avanti: oggi valgono il 70% dell’intero mercato (con PhotoSi e Cheerz leader di mercato). Il resto del mercato si divide tra i negozi dei fotografi e le stampanti ad hoc per la casa o l’ufficio.

I corner per la stampa immediata delle foto hanno, tuttavia, il vantaggio di saltare un passaggio, quello della consegna delle foto sviluppate, e quindi di poter proporre un prezzo concorrenziale. Consentono di sviluppare istantaneamente le foto (anche sotto forma di biglietti di auguri, cartoline e altro) servendosi del solo smartphone: nella postazione si troveranno già i cavetti per ogni tipo di cellulare, oppure si può optare per il collegamento bluetooth, non servono chiavette Usb, si paga in cassa.

Trovando il corner di sviluppo foto in ogni supermercato, i consumatori potrebbero facilmente scegliere di sviluppare alcune foto prima o dopo la spesa. Una scommessa, quella di Cewe, già vinta in Europa dove dispone già da tempo di 20mila corner foto nei punti vendita dei maggiori retailer.



Seconda casa: le bollette della luce delle ferie sono un salasso, fino a 262 euro

Chi dispone di una seconda casa in cui trascorrere le vacanze, quest’estate dovrà fare i conti con fatture della luce molto salate. Un’indagine SOStariffe.it ha stimato l’importo delle utenze di luce, gas e internet per tre utenti tipo (single, coppia e famiglia) per quest’estate. È emerso che i costi per la fornitura di energia elettrica incidono fino al 83% della spesa totale.

Le vacanze estive del 2020 per la maggior parte degli italiani sono state per lo più all’insegna del “turismo di prossimità”. Brevi gite fuori porta e per il resto soggiorni nelle seconde case, per chi può contare su un’altra residenza dove trascorrere giorni di relax e spensieratezza. Ma la permanenza nella villa o nella casa al mare comporta una serie di spese per luce, gas e per la connessione internet.

L’ultimo osservatorio SOStariffe.it ha simulato le fatture della seconda casa di tre utenti tipo del mercato libero: un single, una coppia e una famiglia di quattro persone. Per questi utenti, è stato ipotizzando un soggiorno di un mese nell’appartamento di villeggiatura. Il costo che più incide sui consumi delle vacanze è quello per la luce: un vero salasso se paragonato ai costi di gas e connessione internet.

L’energia elettrica incide dal 70% all’83% sulla spesa totale
La simulazione ha ipotizzato una permanenza di un mese in una seconda casa in Liguria. Una villetta con una superficie di 60 metri quadri in su e un contatore della luce con potenza impegnata pari a 3 kW. I costi registrati tengono conto delle offerte luce e gas del mercato libero nel mese di luglio 2020 per i tre clienti tipo e delle offerte internet mobile per single e coppia e internet a tempo da rete fissa per la famiglia. Nel complesso, i single sono quelli che pagano bollette della luce più salate (fino all’83,17% della spesa totale per le utenze).

Single: la bolletta estiva della luce è proibitiva (circa 224 euro per un mese)
Il primo profilo di consumo simulato è quello di un single. Un individuo in vacanza da solo nella seconda casa pagherà per le utenze una media totale di 270,35 euro. La somma andrà a coprire in prevalenza le bollette della luce.

Per questo profilo, l’indagine ha ipotizzato un consumo medio di 80 kWh di energia elettrica per un soggiorno di quattro settimane. Questo dato si tradurrà in una spesa complessiva di ben 224,84 euro di fattura della luce (pari all’83, 17% del totale per le utenze). Per il gas, invece, con un consumo medio stimato di 107 Smc, si registrerà una spesa di 34,66 euro. Infine, per connettersi dalla località di vacanza, in modalità mobile WiFi e disponendo di un’offerta internet mobile, la spesa registrata sarà di circa 10,85 euro in un mese (solo il 4,01% del totale).

Coppie: luce alle stelle (fino a 249 euro) ma anche il gas si fa sentire (46 euro)
Il secondo profilo di consumo esaminato è quello di una coppia. Nel complesso, la spesa totale per le utenze per due è di 306,75 euro. A conti fatti, poco di più rispetto al single, a fronte dell’utilizzo degli stessi servizi da parte di due individui.

Anche in questo caso è la bolletta della luce a incidere maggiormente (circa 81,35% del totale). La coppia, infatti, pagherà per un mese una bolletta di 249,53 euro, per un consumo di energia elettrica ipotizzato di 200 kWh.

C’è da dire, però, che in questo caso il gas pesa di più sul totale delle utenze (15,12% della spesa complessiva). Per questo profilo, si è ipotizzato un consumo mensile di 128 Smc. Questo dato, nel mercato libero, dà luogo a una bolletta di 46,37 euro.

Per completare i dati di spera di una coppia, bisogna considerare la connessione domestica che risulta una voce di spesa minima se rapportata alle altre. In questo caso, il costo sarà di 10,85 euro (pari al 3,54% del totale) per navigare sempre in modalità WiFi e con offerta Internet mobile.

Famiglia: in quattro si spende di più per navigare (circa 40 euro)
Nel caso della famiglia di quattro persone la spesa complessiva per le utenze durante un mese di villeggiatura è pari a 373,07 euro. In questo caso, i costi sono distribuiti in modo più omogeneo tra i vari servizi di cui si usufruisce.

Quella dell’energia elettrica resta, anche per la famiglia, la bolletta più salata, aggirandosi su 262,55 euro in media per un consumo di 300 kWh. Tuttavia, il costo della luce incide meno sul bilancio delle vacanze rispetto agli altri clienti-tipo esaminati (“solo” per il 70,38%).

In compenso la famiglia risente di più delle bollette del gas, trovandosi a pagare circa 70,62 euro per un fabbisogno di 161 Smc (che incide al 18,93% sul totale utenze). Infine, dobbiamo mettere in conto i costi per non rinunciare a internet neanche in vacanza: un nucleo di quattro componenti per navigare con una connessione casa a tempo potrà arrivare a spendere anche 39,90 euro in un mese.

Rispetto a single e coppie, dunque, i costi di connessione hanno un’incidenza più elevata sulla spesa mensile delle famiglie (10,70% del totale).

 




Barometro Crif: il 2020 si apre con una crescita delle richieste di prestiti

Nel mese di gennaio il numero di interrogazioni registrate sul Sistema di Informazioni Creditizie di CRIF relativamente alle richieste di prestiti da parte delle famiglie italiane (nell’aggregato di prestiti personali e prestiti finalizzati) ha fatto segnare un +5,9% rispetto allo stesso mese del 2019.

Motore della performance positiva sono stati i prestiti personali (+9,7%), ma anche i prestiti finalizzati contribuiscono al risultato positivo, facendo segnare un +2,9%.
Andamento delle richieste di prestiti personali e finalizzati

L’ultima rilevazione fa però registrare una lieve frenata dell’importo medio richiesto, che nell’aggregato di prestiti personali e finalizzati risulta pari a 9.408 Euro (-2,7% rispetto allo stesso mese del 2019).

Entrando nel dettaglio, per quanto riguarda i prestiti finalizzati a gennaio il valore mediamente richiesto è stato pari a 6.914 Euro (-0,4% rispetto a gennaio 2019), mentre per prestiti personali si è attestato a 12.415 Euro (-5,8%).

LA DISTRIBUZIONE PER CLASSE DI DURATA
L’analisi della distribuzione delle richieste di prestiti per durata del finanziamento conferma che anche nel mese di gennaio è la classe superiore ai 5 anni quella in cui complessivamente si sono concentrate le preferenze degli italiani, con una quota pari al 26,2% del totale. In crescita l’incidenza dei piani di rimborso inferiori ai 12 mesi, che passano dal 15,8% del 2019 al 16,4%.

Per quanto riguarda i prestiti finalizzati, la classe in cui si è concentrato il maggior numero di richieste è quella inferiore ai 12 mesi, con il 22,7% del totale, malgrado un calo di 2,4 punti percentuali, mentre le richieste di prestiti personali si orientano sempre di più verso piani di rimborso superiori ai 5 anni, che arrivano a spiegare il 44,0% del totale.

“In questa fase caratterizzata da una veloce evoluzione dei comportamenti della clientela retail, gli istituti di credito stanno ponendo una grande attenzione verso quello che tecnicamente viene definito ‘instant lending’, dove si saldano le tradizionali dottrine di valutazione del merito creditizio con i nuovi paradigmi del credito veloce derivanti dall’entrata in vigore della PSD2, la nuova normativa europea che ha aperto l’era dell’open banking – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF -. Questo sta obbligando gli operatori di settore ad attrezzarsi con soluzioni e processi in grado di rispondere in modo sempre più tempestivo ed efficace alle esigenze della clientela”.




Offerte Luce e Gas a prezzo fisso: l’energia costa di più

Il calo dei prezzi all’ingrosso dell’energia ha riportato sul mercato le tariffe luce e gas a prezzo bloccato, quasi sparite nel corso della seconda metà del 2022 a causa di un mercato fortemente instabile. Torna d’attualità, quindi, il confronto con le tariffe indicizzate che consentono l’accesso diretto al prezzo all’ingrosso dell’energia, risultando più convenienti nel breve periodo.

In vista di nuovi possibili aumenti, anticipati dalle stime di ARERA dello scorso mese di aprile, scegliere tariffe a prezzo bloccato è ora un’opzione concreta per i consumatori. La nuova indagine dell’Osservatorio SOStariffe.it in collaborazione con Segugio.it si concentra proprio su questo tipo di tariffe con l’obiettivo di valutarne la convenienza in relazione alle possibili evoluzioni del mercato all’ingrosso nel corso dei prossimi mesi.

Tariffe luce e gas a prezzo bloccato: il costo dell’energia è al valore minimo rispetto ai 12 mesi precedenti

Le tariffe luce e gas a prezzo fisso non sono mai sparite dal mercato: più semplicemente, il prezzo fissato dai fornitori era troppo alto per rendere queste soluzioni competitive. L’instabilità dei mercati all’ingrosso, infatti, non permetteva ai fornitori di proporre tariffe vantaggiose. Le cose oggi sono cambiate. Le offerte del Mercato Libero a prezzo fisso disponibili a maggio 2023, infatti, tornano ad essere vantaggiose.

La miglior offerta luce a prezzo bloccato di maggio 2023 garantisce l’accesso ad un prezzo più basso (0,2 €/kWh) rispetto a quanto registrato nel corso dei 12 mesi precedenti. Si tratta di un valore pari a meno della metà del massimo rilevato lo scorso anno (0,55 €/kWh a settembre 2022).

Rispetto alle attuali condizioni del mercato all’ingrosso, il divario è ancora significativo. L’ultimo dato relativo all’indice PUN (Prezzo Unico Nazionale), punto di riferimento del mercato dell’energia elettrica in Italia, è pari a circa 0,13 €/kWh (dato di aprile 2023).

Un trend analogo viene registrato dall’andamento della miglior offerta gas a prezzo bloccato del Mercato Libero. Nel corso del mese di maggio 2023, infatti, la tariffa più conveniente presenta un prezzo del gas (0,71 €/Smc) inferiore rispetto a quanto registrato nel corso dei 12 mesi precedenti.

Si tratta di un valore molto lontano dai dati di ottobre 2022 (2,4 €/Smc) e che rende nuovamente competitive le soluzioni tariffarie a prezzo fisso. Il mercato all’ingrosso, in ogni caso, continua a proporre condizioni più vantaggiose a cui è possibile accedere con le tariffe indicizzate. L’indice PSV è ora pari a 0,479 €/Smc (dato aggiornato ad aprile 2023).

Le migliori tariffe luce e gas attivabili, in questo momento, presentano ancora un prezzo nettamente più alto rispetto alle tariffe indicizzate più convenienti del momento che consentono l’accesso diretto alle attuali quotazioni all’ingrosso. Per la luce, infatti, il prezzo è superiore del +49% mentre per il gas si registra un prezzo più alto del +48%.

Il calo registrato rispetto ai mesi scorsi, in ogni caso, rende queste offerte attrattive grazie alla possibilità di andare a bloccare il costo dell’energia nel lungo periodo, potendo contare su di una difesa contro i possibili rincari del mercato energetico che potrebbero arrivare nei prossimi mesi.

Tariffe a prezzo fisso o indicizzato? Le simulazioni dell’Osservatorio

Nella scelta tra tariffe a prezzo fisso e tariffe indicizzate non è possibile sapere in anticipo quale sarà la soluzione più vantaggiosa. Una tariffa a prezzo bloccato garantisce una protezione contro i rincari ma risulterà meno conveniente nel caso in cui le quotazioni all’ingrosso dovessero continuare a calare.

Allo stesso modo, però, se i prezzi all’ingrosso aumentano, chi ha scelto una tariffa a prezzo bloccato non sarà colpito dai rincari. Questo meccanismo ha permesso ai consumatori che hanno attivato una tariffa a prezzo bloccato prima dell’inizio della crisi energetica di evitare, almeno in parte, gli aumenti record registrati nel corso degli ultimi due anni.

Lo studio dell’Osservatorio ha, quindi, effettuato tre diverse simulazioni per analizzare la convenienza delle tariffe luce e gas a prezzo bloccato rispetto alle tariffe indicizzate che consentono agli utenti finali di poter accedere ai prezzi all’ingrosso, accettando però un aggiornamento del costo dell’energia su base mensile, in base all’andamento del mercato. Per valutare la spesa per i prossimi 12 mesi attivando una tariffa a prezzo bloccato e una a prezzo indicizzato sono stati considerati tre possibili evoluzioni del prezzo all’ingrosso dell’energia:

  1. nel corso dei prossimi 12 mesi il prezzo medio mensile degli indici del mercato all’ingrosso (PUN per la luce e PSV per il gas) resterà stabile
  2. nel corso dei prossimi 12 mesi il prezzo medio mensile degli indici del mercato all’ingrosso aumenterà del 25%, registrando un aumento leggermente superiore alle stime di ARERA diffuse lo scorso aprile
  3. nel corso dei prossimi 12 mesi il prezzo medio mensile degli indici del mercato all’ingrosso tornerà ad essere in linea con quello di dicembre 2022, prima dell’inizio del calo registrato nel 2023

Nei casi 1 e 2, così come nel caso in cui i prezzi di PUN e PSV dovessero continuare a diminuire nel corso dei prossimi mesi, le tariffe indicizzate continueranno ad essere più vantaggiose rispetto alle migliori tariffe a prezzo bloccato disponibili attualmente sul mercato. Nell’ipotesi indicata al punto 3, invece, attivare oggi tariffe a prezzo bloccato sarà più vantaggioso.

Un aumento significativo delle quotazioni all’ingrosso, infatti, esporrà nuovamente gli utenti che hanno scelto tariffe indicizzate a nuovi rincari. Chi, invece, opta oggi per tariffe a prezzo fisso per luce e gas eliminerà il rischio di aumenti in bolletta nel corso della seconda metà del 2023 ma dovrà accettare, almeno nel breve periodo, di dover fare i conti con una spesa mensile più alta.

Sia nel caso 1 che nel caso 2, scegliere una tariffa a prezzo fisso porterà ad una spesa maggiore rispetto all’attivazione di una tariffa indicizzata (rispettivamente di 502 euro e 244 euro). Questo per via del fatto che le tariffe indicizzate continueranno ad essere vantaggiose grazie ai valori ridotti degli indici del mercato all’ingrosso che determinano il prezzo applicato al cliente.

Nel caso 3, con un ritorno ai prezzi di dicembre 2022, le tariffe a prezzo bloccato entreranno “in azione” garantendo uno scudo dai rincari e comportando un risparmio di 985 euro sulla spesa annuale per le bollette di luce e gas rispetto alle tariffe indicizzate.

Per quanto riguarda l’energia elettrica, l’attivazione di una tariffa a prezzo bloccato comporta una spesa di 540 euro in un anno mentre con una tariffa indicizzata si va da un minimo di 362 euro ad un massimo di 783 euro, in base al caso considerato.

Situazione simile per il gas naturale: con una tariffa a prezzo bloccato attivata oggi, infatti, la spesa annuale per l’acquisto della materia prima sarà pari a 994 euro. Scegliendo una tariffa indicizzata, invece, bisognerà mettere in conto una spesa compresa tra 671 euro e 1.736 euro, in base a quale dei tre casi della simulazione si concretizzerà.

Per determinare la spesa per luce e gas è stato considerato il profilo della “famiglia tipo” (consumo annuo di 2.700 kWh e potenza impegnata di 3 kW per l’energia elettrica e di 1.400 Smc per il gas naturale, con una fornitura attiva a Milano). I dati relativi alla spesa annuale per luce e gas sono al netto dei componenti della bolletta non legati alla tariffa attivata e uguali per tutti i clienti domestici

Tariffe a prezzo fisso o indicizzato? Ecco come scegliere la più adatta alle proprie necessità

Per scegliere le tariffe luce e gas più convenienti è possibile fare riferimento alla comparazione online accessibile tramite SOStariffe.it. Basta indicare una stima del proprio consumo (recuperando il dato dall’ultima bolletta o calcolandolo con il tool integrato) per individuare subito le tariffe più vantaggiose da attivare per alleggerire il più possibile le bollette nei prossimi mesi.

Come confermano i dati raccolti dall’indagine, puntare sulle tariffe indicizzate è la scelta giusta per i seguenti profili di consumatore tipo:

  • chi vuole ottenere un risparmio immediato in bolletta, accedendo al prezzo più basso possibile dell’energia
  • chi è pronto a seguire l’andamento del mercato all’ingrosso e, eventualmente, cambiare fornitore nel caso di aumento delle quotazioni passando, ad esempio, ad una tariffa a prezzo bloccato

Le tariffe a prezzo bloccato, ora che sono tornate ad avere condizioni più sostenibili, possono rappresentare la scelta ottimale per un consumatore che:

  • intende proteggersi dai futuri rincari del mercato energetico, accettando di pagare l’energia ad un prezzo più alto rispetto a quello del mercato all’ingrosso
  • vuole attivare una buona tariffa e non intende seguire periodicamente l’andamento del mercato all’ingrosso per cambiare fornitore in caso di aumenti delle quotazioni




Prezzi, Coldiretti: da grano a pane aumentano di 10 volte

Le quotazioni record raggiunte dal grano si trasferiscono a valanga sul carrello della spesa con i prezzi che aumentano di 10 volte dal campo al pane sugli scaffali. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che il prezzo del grano tenero per la panificazione ha raggiunto i valori massimi del decennio a sulla base dei contratti future nei listini del Chicago Bord of Trade (CBOT), il punto di riferimento internazionale per il mercato future delle materie prime agricole.

 

Un chilo di grano tenero in Italia è venduto a circa 32 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini ad un valore medio di 3,2 euro al chilo con un rincaro quindi di dodici volte, tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito.

 

Ad incidere sul prezzo finale sono altri costi come dimostra anche l’estrema variabilità dei prezzi del pane lungo la Penisola mentre quelli del grano sono influenzati direttamente dalle quotazioni internazionali  Se a Milano una pagnotta da un chilo costa 4,25 euro, a Roma si viaggia sui 2,65 euro mentre a Palermo costa in media 3,07 euro al chilo secondo elaborazioni Coldiretti su dati dell’Osservatorio prezzi del Ministero dello Sviluppo economico a settembre

 

Peraltro i prezzi al consumo – continua la Coldiretti – non sono mai calati negli ultimi anni nonostante la forte variabilità delle quotazioni del grano, che per lungo tempo sono state al di sotto dei costi di produzione. Con il grano sottopagato agli agricoltori negli ultimi 4 anni si è passati da 543.000 ettari di grano tenero coltivati in Italia agli attuali poco meno di 500.000 ettari per una produzione di circa 2,87 milioni di tonnellate con l’aumento della dipendenza dall’estero che ha raggiunto addirittura il 64% del fabbisogno, sul quale ora pesa il calo delle produzioni in Russia e Ucraina per effetto del clima.

 

E a preoccupare sono le prossime semine con i costi che sono raddoppiati per gli agricoltori che – spiega la Coldiretti – sono costretti ad affrontare rincari fino al 50% per il gasolio necessario per le attività che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione ma ad aumentare sono pure i costi per l’acquisto dei fertilizzanti delle macchine agricole e dei pezzi di ricambio per i quali si stanno verificando addirittura preoccupanti ritardi nelle consegne.

Per ridurre la volatilità e stabilizzare i prezzi occorre – afferma la Coldiretti – realizzare rapporti di filiera virtuosi con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy e garantiscano la sostenibilità della produzione in Italia con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti. Una necessità – conclude la Coldiretti – per ridurre la dipendenza dall’estero da dove oggi arrivano oltre 6 chicchi di grano su 10 consumati in Italia.




Vola la spesa pubblica, quest’anno “sfonda” quota mille miliardi di euro

Quest’anno la spesa pubblica italiana “sfonda” quota mille miliardi di euro. Per tenere aperti gli uffici, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, le pensioni e per erogare i servizi di natura pubblica (sanità, sicurezza, scuola, trasporti, etc.), lo Stato spende per gli italiani quasi 3 miliardi di euro al giorno. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Una cifra gigantesca che, come era prevedibile, è aumentata anche a seguito delle importanti misure messe in campo per il 2021 dai Governi Conte bis e Draghi.

Provvedimenti che si sono resi indispensabili per fronteggiare  gli effetti negativi imposti dalla crisi pandemica. Rispetto al 2020, infatti, quest’anno le uscite complessive dello Stato sono aumentate di oltre 56 miliardi di euro (154,2 milioni al giorno in più rispetto al 2020). Intendiamoci, una spesa pubblica importante, per mitigare gli effetti di una crisi economica e sociale mai vissuta negli ultimi 75 anni, non costituisce un problema, anzi. Nel momento della difficoltà nessuno può essere lasciato indietro e lo Stato ha l’obbligo di mettere in campo tutte le misure necessarie per tutelare soprattutto le fasce sociali più deboli.

  • Quest’anno spendiamo 4 PNRR

I mille miliardi di spesa pubblica che usciranno nel 2021 dalle casse pubbliche sono  un importo di oltre 4 volte superiore a quanto saremo chiamati a spendere nei prossimi 5 anni con i soldi messi a disposizione  dal PNRR che, ricordiamo, ammontano a circa 235 miliardi di euro. Intendiamoci: nessuno mette in discussione l’importanza e l’utilità delle risorse straordinarie che saremo chiamati ad investire nei prossimi anni. Ci mancherebbe.  Tuttavia, vorremmo che il dibattito che si è aperto in questi ultimi mesi sulla necessità di spendere presto e bene queste risorse europee fosse sempre vivo. Una spesa, quella pubblica, che per quasi 900 miliardi è di parte corrente e viene utilizzata, in particolar modo, per liquidare gli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego, per consentire i consumi della macchina pubblica e per pagare le prestazioni sociali. L’assalto alla diligenza che abbiamo assistito in questi giorni in Parlamento con la presentazione di migliaia e migliaia di emendamenti alla legge di Bilancio, non lascia presagire nulla di buono. Il pericolo che nel 2022 la spesa pubblica  superi abbondantemente i mille miliardi toccati quest’anno è molto plausibile.

  • Meno tasse solo con tagli strutturali alla spesa

Nei prossimi anni il problema sarà quello di ridurre progressivamente le uscite per consentire al Governo di reperire le risorse necessarie per realizzare, in particolar modo,  una strutturale e significativa riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese. Con un  rapporto debito/Pil che si aggira attorno al 154 per cento, questa riforma non potrà essere finanziata in deficit. Anche perché l’UE, molto probabilmente, non ce lo permetterebbe; alla luce del fatto che le disposizioni del Patto di Stabilità, che comunque dovrà essere revisionato, dovrebbero tornare operative dal 2023. Ovviamente, segnalano dalla CGIA, grazie anche alle risorse messe in campo dal PNRR, la crescita dovrà assumere dimensioni importanti. Solo così riusciremo ad aumentare significativamente la platea degli occupati che ci consentirà di spendere meno per sussidi, bonus, contributi a fondo perduto ed integrazioni al reddito. Non solo. Potremmo altresì beneficiare di maggiori entrate fiscali, grazie al versamento di nuova Irpef e di ulteriori contributi previdenziali.

  • Le politiche espansive spingono all’insù l’inflazione

Il forte aumento dell’inflazione registrato in questi ultimi mesi è sicuramente imputabile all’incremento dei prezzi delle materie prime (gas e petrolio in primis) ma, anche, dalle politiche espansive adottate dai singoli stati nazionali e dalla BCE. Tuttavia, sebbene nel biennio 2017-2018 la Banca Centrale Europea fosse arrivata ad acquistare fino a 80 miliardi di euro al mese di titoli di stato pubblici, ora ne acquista circa 15 al mese. Alla fine dello scorso ottobre con il Programma di acquisto dei titoli del Settore Pubblico (PSPP), la BCE  ne ha cumulati 2.603 miliardi, di cui 433 miliardi di titoli italiani (16,7 per cento del totale). In altre parole  è stata realizzata una grandiosa iniezione di liquidità nel sistema economico europeo che non ha precedenti. Alla luce di ciò, è evidente che se le banche centrali vorranno “raffreddare” il caro prezzi, molto probabilmente dovranno ridurre l’iniezione di liquidità immessa in questi ultimi anni. Per un Paese come l’Italia che ha un debito pubblico  gigantesco, questo scenario rischia di peggiorare ulteriormente il nostro quadro finanziario.

  • Tra le uscite spiccano le pensioni: deficit a 167,7 miliardi

Secondo la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2021, la voce di spesa corrente più significativa che registriamo  quest’anno nel nostro Paese è quella pensionistica che ammonta a 287,6 miliardi di euro. Seguono i redditi da lavoro dipendente con 179,4 miliardi,  i consumi intermedi con 161,9 miliardi, le altre prestazioni sociali con 116,3 miliardi e le altre spese correnti con 87,6 miliardi. Includendo anche gli interessi sul debito pubblico (pari a 60,5 miliardi), il totale spese correnti ammonta a 893,4 miliardi, di cui 129,4 per la spesa sanitaria. Se aggiungiamo anche le spese in conto capitale (ovvero gli investimenti), che per l’anno in corso sono pari a 107,3 miliardi, la spesa finale ammonta a 1.000,7 miliardi. Per contro, le entrate totali quest’anno raggiungeranno quota 832,9 miliardi: pertanto l’indebitamento netto si attesta a -167,6 miliardi di euro (-9,4 per cento del Pil).




Vacanze, 3 italiani su 4 in Malghe, frantoi e cantine

Tre italiani su quattro (75%) in vacanza al mare, in montagna o nel verde durante l’estate 2020 hanno scelto di visitare frantoi, malghe, cantine, aziende, agriturismi o mercati degli agricoltori per acquistare prodotti locali a chilometri zero direttamente dai produttori, ottimizzare il rapporto prezzo/qualità e garantirsi una spesa sicura.

E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti/Ixè che evidenzia come si tratti di una tendenza favorita dalla crescita del turismo di prossimità con la riscoperta dei piccoli borghi e dei centri minori nelle campagne italiane, in alternativa alle destinazioni turistiche più battute, per evitare pericolosi affollamenti con l’emergenza coronavirus.

 

Si tratta – sottolinea la Coldiretti – di una svolta patriottica importante in un momento in cui la mancanza quasi totale di turisti stranieri ha fatto venir meno una fetta importante della clientela particolarmente sensibile alla qualità e sostenibilità dell’alimentazione. Il cibo quest’anno rappresenta per quasi il 18% degli italiani – continua la Coldiretti – la principale motivazione di scelta del luogo di villeggiatura, mentre per un altro 50% costituisce uno dei criteri su cui basare la propria preferenza. Solo un 7% dichiara di non prenderlo per niente in esame.

 

La ricerca dei prodotti tipici è diventata un ingrediente importante – spiega Coldiretti – delle vacanze in un Paese come l’Italia che è leader mondiale del turismo enogastronomico potendo contare sull’agricoltura più green d’Europa con 305 specialità ad indicazione geografica riconosciute a livello comunitario e 524 vini Dop/Igp, 5155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con oltre 60mila aziende agricole biologiche e la più grande rete mondiale di mercati di agricoltori e fattorie di Campagna Amica, oltre alle numerose iniziative di valorizzazione come le strade del vino o dell’olio.

 

Il cibo – sottolinea la Coldiretti – è diventato la voce principale del budget delle famiglie in vacanza in Italia con circa un terzo della spesa di italiani e stranieri destinato alla tavola per consumare pasti in ristoranti, pizzerie, trattorie o agriturismi, ma anche per cibo di strada o specialità enogastronomiche. Un ruolo importante in tutto ciò è rappresentato dai piccoli borghi dove nasce il 92% delle produzioni tipiche nazionali secondo l’indagine Coldiretti/Symbola, una ricchezza conservata nel tempo dalle imprese agricole con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture storiche.

 

L’acquisto di un alimento direttamente dal produttore – sottolinea la Coldiretti – è anche una occasione per conoscere non solo il prodotto, ma anche la storia, la cultura e le tradizione che racchiude dalle parole di chi ha contribuito a conservare un patrimonio che spesso non ha nulla da invidiare alle bellezze artistiche e naturali del territorio nazionale. In molti casi la vendita – precisa la Coldiretti – è accompagnata anche dalla possibilità di assaggi e degustazioni “guidate” che consentono di fare una scelta consapevole difficilmente possibile altrove, ma anche di verificare personalmente i processi produttivi in un ambiente naturale tipico della campagna.

 

In un momento difficile per l’economia e l’occupazione nazionale acquistare prodotto del territorio significa anche aiutare l’economia e l’occupazione locale e per questo la Coldiretti è impegnata nella mobilitazione #MangiaItaliano. L’obiettivo è favorire il consumo di cibo 100% tricolore nei mercati, nei ristoranti, negli agriturismi con il coinvolgimento di numerosi volti noti della televisione, del cinema, dello spettacolo, della musica, del giornalismo, della ricerca e della cultura.