Mario Raviolo, direttore della Maxiemergenza regionale 118, è stato sentito oggi, in qualità di primo commissario dell’unità di crisi per la gestione dell’emergenza Covid in Piemonte, dal gruppo di lavoro che sta svolgendo l’indagine conoscitiva all’interno della quarta Commissione.
Raviolo ha ricostruito le attività svolte prima in qualità di referente sanitario della Protezione civile regionale, poi di commissario dell’unità di crisi dal 22 febbraio, data di apertura della struttura, al 17 marzo, quando il coordinamento è passato a Vincenzo Coccolo: “in quella fase – ha spiegato – si è lavorato per dare supporto in prevalenza ai servizi ospedalieri, i primi sui quali ha impattato l’emergenza”.
Su richiesta del capogruppo Pd, Raffaele Gallo, e dei colleghi Diego Sarno e Domenico Rossi, l’ex commissario ha parlato dell’organizzazione interna dell’unità di crisi regionale e del suo rapporto con l’assessorato alla Sanità e l’unità nazionale: “Per le necessità di quella prima fase è stata rispettato il cosiddetto ‘metodo Augustus’, il sistema utilizzato per la pianificazione degli interventi in caso di maxi emergenza, che prevede un tavolo virtuale a cui siedono tutte le funzioni che impattano sulla società civile e che devono scambiarsi informazioni utili a prendere le decisioni operative. Gran parte di quelle strutture erano presenti nell’unità di crisi. Venne anche creato il Comitato tecnico scientifico, che si riuniva per dare risposte all’organo politico e all’Unità di crisi”.
Raviolo ha precisato che le riunioni dell’unità nazionale si svolgevano in collegamento con quelle regionali, che potevano intervenire per segnalare criticità: “In un primo momento partecipavano anche i referenti sanitari di Protezione civile, snodo importante nella gestione dell’emergenza – ha precisato – che poi sono stati esautorati della loro valenza istituzionale a livello nazionale”.
Raviolo ha anche risposto alle domande dei consiglieri Pd e del capogruppo di Luv, Marco Grimaldi, su tamponi, dispositivi di protezione individuale e residenze sanitarie assistite.
Sulla questione tamponi, l’ex commissario ha spiegato che il primo problema da affrontare è stato quello di organizzare la diagnostica per rispondere all’assalto di richieste: “I due laboratori attrezzati per processarli hanno risposto in modo egregio, lavorando anche di notte e nei fine settimana.
E’ stato fatto uno sforzo immane, tenuto conto che il personale era tarato per rispondere ad un’organizzazione ordinaria del lavoro e che un’attività di questo tipo non può essere svolta da chiunque, ma richiede professionalità e formazione specifiche”. Nella prima fase, erano gli stessi laboratori abilitati a comunicare il numero di tamponi che era possibile effettuare e l’autorizzazione veniva data dall’unità di crisi, sulla base delle motivazioni contenute nella richiesta.
Sui dpi, Raviolo ha affermato che da una prima ricognizione delle scorte e dei fabbisogni delle singole aziende sanitarie, fatta ancora prima dell’insediamento dell’unità di crisi, emerse una carenza generalizzata per far fronte ad una situazione straordinaria, per cui si decise di acquistarli e distribuirli centralmente.
L’ex commissario ha infine precisato che la situazione delle Rsa non gli venne sottoposta fino alla sua destituzione se non su segnalazione di casi specifici come quelli di Tortona e Villanova Mondovì: “Nei primi venti giorni dell’emergenza la mia attività si è concentrata sugli ospedali. Non posso affermare che quella delle Rsa fosse in quel momento una situazione tale da richiedere con tutta evidenza un impegno acuto e per la quale le risposte dovevano comunque essere date da un organo regionale”.