Nel 2018, il numero di beneficiari resta stabile a 16 milioni rispetto al 2017. Ampia la disuguaglianza di reddito tra i pensionati: al quinto con redditi pensionistici più alti va il 42,4% della spesa complessiva. Un pensionato su quattro percepisce un reddito lordo da pensione sopra i 2.000 euro.
Oltre un terzo dei pensionati vive in coppia senza figli (35,5%), poco più di un quarto da solo (27,4%). Per quasi 7 milioni e 400mila famiglie con pensionati i trasferimenti pensionistici rappresentano più dei tre quarti del reddito familiare disponibile.
In calo i pensionati da lavoro che dichiarano di essere occupati (-21,3% rispetto al 2011).
La spesa per pensioni è il 16,6% del Pil
Nel 2018, i pensionati sono circa 16 milioni, per un numero complessivo di trattamenti pensionistici erogati pari a poco meno di 23 milioni. La spesa totale pensionistica (inclusa la componente assistenziale) nello stesso anno raggiunge i 293 miliardi di euro (+2,2% su variazione annuale).
Il peso relativo della spesa pensionistica sul Pil si attesta al 16,6%, valore appena più alto rispetto al 2017 (16,5%), segnando un’interruzione del trend decrescente osservato nel triennio precedente. Infatti, dopo l’aumento del rapporto tra spesa pensionistica e Pil indotto dalla forte contrazione dell’economia negli anni di crisi (con un picco del 17,0% nel 2014), l’andamento più favorevole della crescita e il dispiegamento degli effetti delle riforme sulla spesa hanno determinato una sua riduzione fino al minimo del 16,5% nel 2017 .
Gran parte della spesa (265 miliardi, il 91% del totale) è destinata alle pensioni IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti), legate a un pregresso contributivo proprio o di un familiare, a cui si aggiungono 4,2 miliardi erogati a copertura di 716mila rendite dirette e indirette erogate per infortuni sul lavoro e malattie professionali. Le pensioni assistenziali (invalidità civile, pensione sociale e pensione di guerra) sono circa 4,4 milioni e impegnano 23,8 miliardi.
Si riduce il rapporto tra numero di pensionati IVS e occupati, che misura il carico dei pensionati sopportato da quanti partecipano attivamente al mercato del lavoro. Nel 2018 ci sono 606 pensionati da lavoro – con pensione diretta o indiretta – ogni 1.000 persone occupate, erano 683 nel 2000. Il rapporto è diminuito di quasi 6 punti nei sei anni successivi alla riforma del sistema pensionistico del 2012, mentre nei precedenti dodici anni si era ridotto di 2 punti.
Le distribuzioni territoriali delle pensioni, dei relativi beneficiari e della composizione tra categorie di prestazioni risentono sia delle differenze nei livelli e nella dinamica dell’occupazione sia della diversa struttura per età della popolazione tra regioni, mediamente più anziana nel Nord del Paese.
Più del 50% della spesa complessiva è erogata a residenti al Nord, soprattutto come beneficiari di pensioni IVS – il resto nel Mezzogiorno (27,8%) e al Centro (21,1%).
Anche tenendo conto delle differenze territoriali nella struttura per età della popolazione, il tasso di pensionamento risulta più elevato al Nord (262 pensionati ogni 1.000 abitanti), scende nel Mezzogiorno (257) ed è in assoluto più basso al Centro (253). In media si calcolano 259 pensionati ogni 1.000 abitanti; tale valore è più alto per le donne in conseguenza della maggiore speranza di vita che aumenta la probabilità di diventare percettrici di pensione indiretta.
L’importo medio lordo dei singoli trattamenti nel 2018 non supera i 500 euro mensili per le pensioni assistenziali e ammonta a quasi 1.469 euro per quelle di vecchiaia (17.634 euro annui). Il reddito pensionistico, ottenuto considerando che un percettore può cumulare più trattamenti, sale in media rispettivamente a 1.175 euro e a 1.800 euro mensili.
Al 20% dei redditi pensionistici più bassi poco più del 5% della spesa
Il 36,3% dei pensionati riceve ogni mese meno di 1.000 euro lordi, il 12,2% non supera i 500 euro. Un pensionato su quattro (24,7%) si colloca, invece, nella fascia di reddito superiore ai 2.000 euro.
Il divario di genere è a svantaggio delle donne, più rappresentate nelle fasce di reddito fino a 1.500 euro. La concentrazione di percettori uomini, invece, è massima nella classe di reddito più alta (3.000 euro e più) dove ci sono 266 pensionati ogni 100 pensionate (Tavola 4 in allegato).
Le donne sono la maggioranza sia come percettrici di pensioni (55,5%) sia come pensionate (52,2%), ma ricevono il 44,1% della spesa complessiva. L’importo medio delle pensioni di vecchiaia è più basso rispetto a quello degli uomini del 36,7%, quello delle pensioni di invalidità è del 33,8%. Per le pensioni di reversibilità invece le donne percepiscono 1,5 volte l’importo degli uomini.
Lo svantaggio delle donne si spiega con il differenziale salariale dovuto a carriere contributive più brevi e a una minore partecipazione al mercato del lavoro. Le donne sono titolari del 44,3% delle pensioni di vecchiaia, del 45,8% delle invalidità previdenziali e del 26,5% delle rendite per infortunio sul lavoro. La presenza femminile è invece dominante tra le pensioni ai superstiti (86,3%), anche per una più elevata speranza di vita, e tra le pensioni assistenziali .
Complessivamente più di due terzi dei pensionati (67,2%) beneficiano di una sola prestazione, un quarto ne percepisce due, il restante 8% tre o più. Il cumulo di più pensioni riguarda soprattutto le donne: le pensionate rappresentano il 58,6% tra i titolari di due pensioni e salgono al 69,4% tra i titolari di tre o più prestazioni. In media però il reddito pensionistico delle donne è il 27,9% in meno di quello degli uomini, differenza che sale al 36,7% per l’importo delle singole pensioni. Essere titolari di più prestazioni riduce quindi lo svantaggio rispetto agli uomini.
La distribuzione dei beneficiari secondo il reddito da pensione mostra che il 20% di quanti percepiscono i redditi pensionistici più bassi dispone del 5,2% del totale delle risorse pensionistiche mentre il quinto più ricco ne possiede otto volte di più (42,4%).
In generale, per le donne è più frequente una presenza nel segmento più povero della distribuzione dei redditi pensionistici mentre quella degli uomini cresce all’aumentare dei quintili: una pensionata su quattro (24,7%) appartiene al quinto con pensioni di importo più basso e solo il 13,2% si colloca in quello più elevato; per gli uomini, invece, tali quote si attestano, rispettivamente, al 15,3% e al 27,4%.
I pensionati con redditi da pensione meno elevati risiedono soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono più diffuse le pensioni assistenziali a svantaggio di quelle da lavoro e dove il quinto di popolazione che appartiene alla fascia di reddito da pensione più basso percepisce fino a 7 mila euro lordi annui; nel Nord la soglia sale a quasi 9 mila euro. Il quinto di pensionati con redditi pensionistici più elevati percepisce al Centro e al Nord-ovest oltre 27 mila euro lordi annui, nelle Isole oltre 24 mila euro
Redditi pensionistici cresciuti molto più delle retribuzioni tra 2000 e 2018
I beneficiari dei trattamenti pensionistici di vecchiaia sono maggiormente concentrati negli ultimi due quinti (49,4%) e assorbono, complessivamente, quasi i tre quarti di questo tipo di trasferimenti (73,6%). Al contrario, quasi il 60% dei pensionati di invalidità da lavoro si colloca nei primi due quinti; inoltre, al quinto più elevato (12,6%) è destinato il 32% del reddito, quota analoga a quella che va complessivamente ai due quinti più bassi.
All’estremo opposto, i titolari di prestazioni assistenziali sono particolarmente concentrati nel primo (74%) e nel secondo quinto (24,7%) della distribuzione, riflesso della scarsa variabilità negli importi di questo tipo di prestazioni. Allo stesso modo i beneficiari di rendite corrisposte a seguito di infortunio sul lavoro (pensioni indennitarie) si collocano in grande maggioranza nel primo quinto (83,5%).
Negli ultimi anni, l’andamento dell’importo medio delle pensioni IVS ha seguito un trend crescente, frutto soprattutto del cambiamento della composizione di questa categoria di percettori: è, infatti, progressivamente aumentato il peso delle pensioni maturate nelle fasi di maggiore crescita economica – caratterizzate da una dinamica salariale favorevole – mentre è diminuito il peso dei trattamenti delle generazioni più anziane con una storia contributiva più breve e frammentata e profili salariali e contributivi mediamente più bassi.
In termini nominali l’importo medio delle prestazioni del 2018 è aumentato del 70% rispetto a quello del 2000, con una dinamica più marcata rispetto a quella registrata dalle retribuzioni medie degli occupati dipendenti. Rispetto al 2000, infatti, le retribuzioni sono aumentate del 35% in un contesto di crisi economica che si è associata anche a provvedimenti di blocco dei rinnovi contrattuali nel settore pubblico, favorendo così l’allargamento del gap tra le due curve.
Il progressivo raggiungimento dell’età pensionabile da parte di generazioni che possono vantare carriere lavorative più lunghe e in posizioni professionali più elevate ha favorito la redistribuzione dei redditi a vantaggio dei pensionati, contribuendo a ridurre il rischio di povertà per alcuni segmenti di famiglie più vulnerabili.
Secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro, i pensionati da lavoro che percepiscono anche un reddito da lavoro, pari a 406 mila, diminuiscono anche nel 2018 (-1,2% rispetto all’anno precedente e -21,3% dal 2011), soprattutto nelle regioni centro-meridionali. Si tratta di uomini in quasi otto casi su dieci, dei quali circa l’85% svolge un’attività lavorativa indipendente, oltre due terzi risiedono nelle regioni settentrionali mentre un terzo lavora a tempo parziale. La metà dei pensionati occupati ha al massimo la licenza media (31% per il complesso degli occupati), uno su quattro è in possesso di un diploma. Il segmento dei laureati, oltre un quinto del totale, è l’unico in aumento rispetto sia all’anno precedente sia al 2011.
In virtù dell’aumento dei requisiti anagrafici e contributivi necessari per il pensionamento, continua a crescere anche l’età media dei pensionati che lavorano. Circa il 77% ha almeno 65 anni (53,7% nel 2011) mentre il 39,5% è over 70 (25,0% nel 2011). Tra il 2011 e il 2018 si sono invece più che dimezzati i 60-64enni. L’età media dei pensionati con redditi da lavoro supera quindi i 68 anni e mezzo (66 nel 2011), con livelli più alti per gli uomini, anche se con un differenziale in diminuzione (69 anni contro i 68 delle donne).
Nel 2018, lavora nel settore dei servizi il 64,6% dei percettori di pensione (da lavoro) che continuano a essere occupati; di questi, meno di un terzo è impiegato nel commercio.
Il confronto con il collettivo degli occupati nel suo complesso mostra differenze significative. I pensionati che lavorano sono più spesso impiegati in agricoltura – con un’incidenza quattro volte superiore rispetto al totale degli occupati – e nel commercio (quasi una volta e mezzo superiore alla media) e risultano sovra rappresentati anche nelle attività professionali e servizi alle imprese. Nel settore istruzione e sanità e nell’industria in senso stretto, al contrario, l’incidenza è molto minore.
Oltre il 43% dei pensionati che lavorano svolge una professione qualificata (compresa nei primi tre grandi gruppi della classificazione delle professioni CP2011), una quota più alta rispetto al totale degli occupati, lo stesso si verifica per gli operai (31,0% contro 22,5%).
Considerando solo l’occupazione indipendente (85,3% dei lavoratori beneficiari di una pensione da lavoro), il 54,0% è rappresentato da lavoratori autonomi (in calo ininterrotto dal 2013), il 28,3% da liberi professionisti (in forte crescita rispetto al 2017), il 6,5% da coadiuvanti nell’azienda familiare mentre il 6,0% è formato da imprenditori, quota in diminuzione rispetto all’anno precedente. Tra l’esiguo gruppo dei dipendenti, invece, oltre la metà è operaio e circa il 30% è impiegato.