ISTAT: Unimpresa, crescita troppo lenta, pressione fiscale continua ad aumentare

L’aumento della pressione fiscale al 42,6% del pil è un campanello d’allarme che non può essere ignorato: significa che le aziende versano più tasse ma non vedono un ritorno concreto in termini di incentivi, credito agevolato o riduzione del cuneo fiscale. Per le pmi, già alle prese con costi dell’energia elevati, burocrazia soffocante e difficoltà di accesso al credito, questa situazione è insostenibile».

Lo dichiara il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara, commentando i dati diffusi oggi dall’Istat relativi al 2024. «Bisogna invertire la rotta, sostenendo gli investimenti e rilanciando la competitività del sistema produttivo. Il governo deve intervenire con una strategia chiara per alleggerire il peso fiscale sulle imprese, rendere più semplice l’accesso ai finanziamenti e ridurre il costo del lavoro. Senza misure concrete, il rischio è che le nostre aziende continuino a operare in una condizione di stagnazione, con un impatto negativo sull’occupazione e sulla crescita del Paese. Le pmi rappresentano il cuore dell’economia italiana e devono essere messe nelle condizioni di lavorare, investire e crescere, non di resistere con fatica» aggiunge Ferrara.

 

I dati diffusi dall’Istat relativi al 2024 delineano un quadro macroeconomico caratterizzato da una crescita economica debole ma con un miglioramento nei conti pubblici, in particolare sul fronte del deficit, mentre la pressione fiscale è aumentata sensibilmente. Il pil è cresciuto dello 0,7%, un valore inferiore alla stima dell’1% contenuta nel Piano strutturale di bilancio del Governo, confermando un rallentamento rispetto agli anni precedenti, con un 2023 fermo alla stessa variazione e un 2022 più dinamico con un +4,8%.

La crescita è stata sostenuta da un incremento dello 0,6% nei consumi e dello 0,5% negli investimenti fissi lordi, mentre la variazione delle scorte ha inciso negativamente per -0,1%. Sul fronte estero, le esportazioni hanno registrato un +0,4% a fronte di un calo delle importazioni dello 0,7%, con un contributo netto positivo alla crescita. A livello settoriale, il valore aggiunto ha mostrato andamenti disomogenei. L’agricoltura ha registrato una crescita del 2,0%, il comparto delle costruzioni si è espanso dell’1,2% e i servizi hanno segnato un +0,6%, mentre l’industria in senso stretto ha subito una contrazione dello 0,1%, evidenziando le difficoltà del settore manifatturiero. Questi dati confermano una dinamica in cui i servizi restano il principale motore dell’economia, mentre la componente industriale fatica a trovare uno slancio.

Dal punto di vista delle finanze pubbliche, il 2024 si è chiuso con un deficit pari al 3,4% del pil, un valore inferiore al 3,8% previsto dal governo e in forte riduzione rispetto al 7,2% del 2023, segnalando un significativo aggiustamento dei conti pubblici. Il debito pubblico ha raggiunto il 135,3% del pil, in aumento rispetto al 134,6% del 2023 ma inferiore alla stima governativa del 135,8%. Il saldo primario ha segnato un miglioramento sostanziale, tornando positivo con un avanzo dello 0,4% del pil dopo il -3,6% registrato l’anno precedente, segnale di una gestione più rigorosa della spesa pubblica al netto degli interessi sul debito. Un aspetto critico riguarda l’incremento della pressione fiscale, salita al 42,6% del pil rispetto al 41,4% dell’anno precedente, con un aumento di oltre un punto percentuale. Il dato suggerisce un maggiore carico sui redditi di famiglie e imprese, potenzialmente riducendo la capacità di spesa e di investimento, con possibili ripercussioni negative sulla crescita economica nel medio termine. L’aumento potrebbe essere legato alla riduzione di alcune misure di sostegno fiscale come il superbonus e ad altri provvedimenti che hanno ampliato la base imponibile.