Anche alla luce delle recenti vicende politiche di carattere internazionale, Confagricoltura Piemonte esprime preoccupazione e perplessità sul divieto previsto dalla nuova PAC di coltivare nello stesso terreno, per due anni consecutivi, lo stesso prodotto, per ragioni di tutela ambientale e sostenibilità.
“Riteniamo che tale divieto sia fortemente penalizzante per gli imprenditori agricoli e per il Made in Italy in generale” dichiara il presidente Enrico Allasia e precisa “In un Paese in cui il contesto culturale e alimentare è profondamente diverso tra nord e sud, applicare indistintamente l’avvicendamento colturale comporta notevoli difficoltà socio – economiche”.
Ad essere coinvolte in prima linea in Piemonte sono le filiere cerealicole – foraggere e a cascata la zootecnia, per la quale tali coltivazioni sono prettamente destinate (si pensi che nel 2022 la superficie totale di mais, in Regione, è stata pari a 130.420 ettari).
Confagricoltura Piemonte sottolinea come questa PAC sia sempre meno orientata al mercato: in un quadro segnato da grandi incertezze, l’Italia, forte delle sue tradizioni, costituisce un modello per i Paesi del Mediterraneo e, in un’ottica di aumento della popolazione e di lotta contro la fame, ha grandi potenzialità per incrementare la sua capacità produttiva. “Si tratta in primis di sicurezza e qualità alimentare: vanno rispettate pedissequamente tutte le regole sulle importazioni, soprattutto da quei Paesi come il Brasile per la soia, la Turchia per il grano e l’India per il riso, che si sono affacciati ai nostri mercati come novelli esportatori”.
“È poi una questione di indipendenza alimentare: è fondamentale la salvaguardia del potenziale produttivo agricolo italiano, lasciando l’imprenditore libero di scegliere, valutare cosa sia più conveniente fare, anche dal punto di vista agronomico, oltre che da quello meramente economico” fa notare Allasia.
Sulla delicata questione, Confagricoltura Piemonte ha raccolto le perplessità dagli imprenditori agricoli riguardo le semine del 2024, incerte a causa del vincolo di lasciare il 4% di un terreno a riposo: quest’operazione comporta una perdita economica per l’agricoltore, che oltretutto su quella porzione paga le tasse. Così come le pratiche di sovesciamento che prevedono coltivazioni intermedie, che non vengono portate a fine ciclo ma arate e sotterrate prima della maturazione, garantendo sì al terreno un apporto di azoto e sostanze organiche utili alla coltura successiva ma non portando alcun beneficio economico per l’agricoltore, dal momento che quella produzione non viene né raccolta, né tantomeno venduta.