Consumi deludenti e pressione fiscale in crescita. I dati sulla spesa delle famiglie nel 2024 diffusi oggi dall’Istat appaiono decisamente sotto le attese: in termini reali l’aumento dei consumi si è fermato allo 0,4%, appena un decimo in più rispetto al 2023, nonostante la variazione dei prezzi, misurata dal relativo deflatore, sia scesa al contempo dal +5% al +1,4%. Il calo dell’inflazione ha dunque mancato di tradursi in un’accelerazione della spesa, confermando la grande prudenza che impronta oggi le scelte di consumo delle famiglie.

Così Confesercenti in una nota.

A seguito di tali andamenti, i consumi si sono ulteriormente ridotti in quota di Pil, scendendo al 56,7%, in calo di sei decimi di punto rispetto al 2023 e 1,2 punti in meno rispetto al livello del 57,9% su cui si era risaliti nel 2022.

Va altresì rilevato che il dato di consuntivo 2024 è rimasto al di sotto dell’incremento registrato nei primi nove mesi dell’anno (+0,7%), il che fa ritenere che nell’ultimo trimestre la spesa delle famiglie possa avere segnato una contrazione, lasciando così un’eredità negativa a un 2025 che si presenta sempre più difficile.

Preoccupa, in particolare, la divaricazione venutasi a creare fra dinamica dei consumi e crescita delle retribuzioni. Nel 2024 il valore reale di queste ultime è infatti aumentato dell’1,5%, ossia tre volte in più rispetto all’incremento della spesa.

Lo scollamento fra dinamiche delle retribuzioni e dei consumi appare d’altronde collegato al consistente aumento della pressione fiscale, che nel 2024 è passata in quota di Pil dal 45,6 al 46,8% (+1,3 punti). Nel dettaglio, la quota delle imposte dirette sul Pil è passata dal 15,1% al 15,7%, mentre per le imposte indirette l‘aumento è stato dal 13,7 al 14,1%. Aumenti che hanno interamente assorbito la manovra sul cuneo fiscale, che ha consentito di contenere allo 0,2% l’aumento dei contributi.

Alla luce di questi dati, ci sembra urgente riprendere il percorso della riforma fiscale, ed evitare che il fiscal drag continui a mordere il recupero del potere d’acquisto dovuto ai rinnovi contrattuali.

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