La crisi causata dal Covid -19 ha colpito tutti i comparti dell’artigianato in maniera indistinta ma molte imprese si trovano in una situazione “anagrafica” più difficile, considerato che la maggioranza degli artigiani del nostro campione ha oltre i 60 anni e che presenta difficoltà ad effettuare un passaggio generazionale di competenze e saperi.
E proprio per misurare lo “stato di salute” delle imprese artigiane nella fase della ripresa, Confartigianato Torino ha predisposto un’indagine interna sul tema relativo al “passaggio generazionale” eseguita su un campione di associati, caratterizzato prevalentemente da ditte individuali (44,4%) e da società di persone (38,9%), mentre il 16,7% ha una società di capitali.
Il tessuto delle imprese artigiane è costituito da micro e piccole imprese: la maggioranza del campione (58,3%) ha tra i 2 e i 5 addetti, il 19,4% ha un solo addetto, il 13,9% ha tra i 10 e i 15 addetti e il restante campione tra 6 e 9 addetti.
Per quanto riguarda l’età anagrafica degli imprenditori, emerge che la maggior parte del campione (44,5%) ha oltre i 60 anni; il 36,1% ha tra i 50 e i 60 anni, mentre il 19,4% ha tra i 40 e i 50 anni.
“Una fetta rilevante delle imprese è guidata da imprenditori che hanno superato i 60 anni – commenta Dino De Santis, Presidente di Confartigianato Torino – Un problema che caratterizza tutte le pmi italiane in cui solo il 30% dei business sopravvive nel passaggio dalla prima alla seconda generazione, il 12% dalla seconda alla terza e appena il 4% dalla terza alla quarta generazione.”
“In Piemonte dal 2007 al 2019 abbiamo perso circa 18.148 imprese artigiane, con una perdita globale di 72.547 posti di lavoro, questo default delle pmi, aggravato dal recente lockdown, ha sortito un decisivo slittamento anagrafico verso l’alto con uno scarso ricambio generazionale – prosegue De Santis – La trasmissione familiare dei saperi molto spesso si interrompe, i figli si sono disinnamorati dei mestieri artigiani dei padri.
Il problema sta diventando ancora più critico perché nei prossimi mesi ci aspettiamo un bilancio ancora più negativo: il tasso di mortalità aziendale potrà essere più elevato per una maggior propensione degli imprenditori invecchiati a chiudere i battenti.”
La maggioranza del campione (54,3%) ha dichiarato di non effettuare un passaggio generazionale.
Le motivazioni rilevate sono: per mancanza di un successore (42,9%), perché tasse, fisco e burocrazia limitano la voglia di fare impresa (38,1%) e per mancanza di redditività (19%).
Mentre il 45,7% del campione ha dichiarato di effettuare un passaggio generazionale: il 28,5% lascia l’impresa ai figli; l’8,6% lascia ai dipendenti/collaboratori e la stessa percentuale (8,6%) dichiara di lasciare a soggetti esterni.
La decisione di procedere con il ricambio generazionale (45,7%) viene così motivata: 37,5% per garantire la continuità del servizio, la stessa percentuale (37,5%) per garantire una sicurezza professionale ai figli e il 25% per tramandare sapere, esperienza e conoscenza.
“La tendenza rilevata dall’indagine è quella di non effettuare un ricambio generazionale-prosegue De Santis-Una tendenza che andrebbe contrastata da politiche che promuovano l’imprenditorialità giovanile. Prima di chiudere un’azienda guidata da un over 60 si dovrebbero incentivare i giovani a subentrare rilevandone l’attività. Insomma, abbiamo bisogno di una sensibilità politica pro impresa e di una visione lungimirante del mondo del lavoro”.
La maggioranza del campione non ha ancora pianificato il passaggio generazionale nella sua azienda, mentre il 42,4% non prevede di predisporre un piano specifico.
Il 60% ritiene che il passaggio generazionale sia difficile ma affrontabile, mentre il 40% lo ritiene complesso e problematico.
“Come Confartigianato-conclude De Santis-sollecitiamo l’introduzione della neutralità fiscale per le cessioni d’azienda a titolo oneroso; per favorire la trasmissione d’impresa occorrono incentivi simili a quelli previsti per le start up. Serve un approccio nuovo. L’alternanza scuola-lavoro potrebbe essere un primo passo per ridurre il divario tra azienda e nuove generazioni, far incontrare il sapere e il saper fare può rendere noto l’enorme valore potenziale che può offrire uno sbocco professionale nell’artigianato per costruire il proprio avvenire sulle proprie abilità e competenze, sulle proprie passioni.
Bisogna comprendere che l’opportunità che l’impresa offre ai giovani tirocinanti incarna quella valenza sociale propria del fare impresa, come ad esempio il presidio del territorio: non è dunque concepibile che ciò comporti ulteriori oneri a carico dall’azienda, come l’iscrizione a un Albo, l’ennesimo, una tassa d’iscrizione camerale e una serie di adempimenti in materia di sicurezza, fermo restando il rispetto di quelli già in essere”.