L’emergenza sanitaria ha imposto alle imprese nuove modalità di lavoro da casa, per altro impiegato per periodi prolungati di tempo. Ma il cosiddetto smar work, o lavoro agile, non è una modalità lavorativa del tutto nuova, anche se prima del Covid era in Italia ancora poco applicata.
Oggi, come sono cambiate le logiche del ricorso allo smart work nel nostro Paese? Il Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino ha condotto per Utilitalia,Elettricità Futura e Terna una delle prime ricerche basate su casi di studio, con l’obiettivo di illustrare come la pandemia e i relativi lockdown abbiano cambiato le logiche di ricorso allo smart work.
Con un focus sulle interdipendenze tra organizzazione del lavoro e ruolo delle tecnologie digitali nel favorire comunicazione e collaborazione tra le persone, la ricerca evidenzia diverse implicazioni collegate all’evoluzione dello smart work da strumento di welfare a “nuova normalità” per i lavori di ufficio. “Le evidenze raccolte nel settore elettrico per questo studio possono essere generalizzate a tutti i settori dei servizi e, ancora più in generale, nei lavori di ufficio”, ha dichiarato Paolo Neirotti, docente del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione e responsabile scientifico della ricerca.
Nello specifico, la ricerca ha evidenziato che prima della pandemia lo smart work riguardava in generale un solo giorno a settimana in cui veniva concentrato il lavoro di tipo individuale e tendeva a coinvolgere ruoli dove il risultato del lavoro è più facilmente misurabile e non incide particolarmente sulla prestazione complessiva dell’impresa. Il professor Neirotti sottolinea invece come, anche al di fuori dei periodi di lockdown, nel 2020 lo smart work sia stato allargato alla quasi totalità dei lavori di ufficio e all’intera settimana lavorativa. Questa normalizzazione dello smart work richiede un generale snellimento dell’impianto normativo che regola in Italia l’adozione di questa modalità di lavoro e sta portando le imprese a rivedere i sistemi di controllo dei risultati, le competenze di leadership del middle management, oltre che l’insieme delle competenze soft, delle norme sociali e del sistema dei valori che regolano il lavoro delle persone.
In generale, il management e le Relazioni Industriali sono chiamate ad affrontare tre tipi di sfide che hanno implicazioni sistemiche per le politiche del lavoro in Italia. In primo luogo, è necessario rivedere il sistema di controllo del lavoro, sfida che è collegata alla revisione dei sistemi di remunerazione delle persone e alle modalità con cui queste sono regolate nei contratti collettivi nazionali. Il controllo del lavoro si deve infatti spostare dalla quantità di tempo lavorato ai risultati conseguiti.
C’è poi il tema della gestione del rischio di isolamento, nel momento in cui le persone lavorano da remoto e sono distribuite e quasi “esiliate” nelle loro abitazioni. Occorrono nuovi approcci alla condivisione della conoscenza necessaria per gestire i processi di lavoro, ma anche per far crescere le persone sul posto di lavoro e fornire loro equità nei sistemi di controllo e valutazione.
Il terzo aspetto riguarda l’utilizzo dei diversi strumenti digitali per costruire nuove pratiche di collaborazione, comunicazione e condivisione di esperienze.
Questi aspetti mettono in luce come il ricorso allo smart work generalizzato iniziato con la pandemia possa avviare, se non amplificare, il divario legato a quanto imprese e persone sono pronte da un punto di vista tecnologico e di organizzazione del lavoro a impostare parte della settimana lavorativa da remoto senza che le tecnologie digitali producano particolari disagi e svantaggi.